2 - Incontro inaspettato

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La sveglia sul comodino inizia a suonare, ma il mio tentativo di ignorarla viene bruscamente interrotto quando qualcuno spalanca la porta senza bussare.

So già chi è.

«Sveglia cuginetta!» grida Ludovica, con l'autorità di un comandante che mette in riga i suoi soldati.

Rispondo mettendomi il cuscino sulla testa, chiarendo che non gradisco la sua incursione.
«Ehi, dormigliona, farai tardi se non ti alzi!»

«Mhmm.»

Apro lentamente gli occhi. Ludovica, immobile davanti al mio letto con espressione corrucciata e le mani sui fianchi, sembra pronta e impeccabile dalla mattina presto. Tentando di addolcirla, pronuncio un gracchiante 'buongiorno', ma lei, con un sorrisetto beffardo, si dirige alla finestra e tira via le tende con un movimento secco.
Un fascio di luce mi colpisce dritto negli occhi ancora sensibili.
La odio...
Perlomeno, il temporale è passato e un pallido sole fa capolino tra lunghe strisce di nuvole.

«Che ore sono?»Biascico con voce impastata dal sonno.

«Alzati o perderai il pullman per Firenze.»

Le sue parole hanno lo stesso effetto di una doccia gelata. Ha ragione. Così, tiro via il lenzuolo e senza indugiare oltre, mi alzo.
Mi sento stanca.
A dirla tutta, sarei rimasta un altro po' nel letto, ma non voglio far aspettare la mia amica Mary.

In bagno, mi soffermo un attimo a osservare il mio riflesso allo specchio e per poco non lancio un urlo. I capelli sono un groviglio scuro con nodi sulle punte, mentre un colorito cinereo mette in evidenza occhiaie da zombie. Gli occhi verdi sembrano troppo grandi sul viso. Non ambisco a essere Miss Italia, mi accetto così come sono, ma c'è un limite a tutto!
Una parolaccia mi sfugge dalle labbra perché penso che mi servirebbe un bel po' di trucco e non ho tempo.
L'unica speranza è che una doccia calda mi renda presentabile.

«Forza Giulia,»mi esorto fissandomi nello specchio. «Ti voglio energica... porta quelle chiappe in doccia e sbrigati!»

Mi doccio e mi vesto in tempi record, scendendo trotterellando in cucina per prepararmi un caffè. Ludovica è seduta al bancone, di fronte alla sua colazione perfetta: uno yogurt bianco acidissimo, come se ne avesse bisogno, due fette biscottate appena sporcate di marmellata ai frutti rossi e un frutto.

Tutto molto triste...
Proprio come lei...

«Ho fatto il caffè,»mi dice con tono leggero, sorprendendomi.

Io bisbiglio un grazie tra le labbra e noto che mi concede un sorriso. Poi, quando il suo sguardo mi scandaglia dalla testa fino a posarsi sulle Converse bianche che spuntano da sotto la lunga gonna a pieghe, cambia improvvisamente espressione.

Sembra inorridita, forse schifata, ma chissenefrega, mi dico. Con una alzata di spalle la liquido. So che non sopporta i miei outfit e non si fa problemi a criticarli ogni volta.
Sono così assuefatta alle sue critiche da 'avvocatessa perfettina' che mi scivolano di dosso come l'olio di Argan dopo la doccia.

Passiamo cinque minuti in totale silenzio, ognuna persa nei propri pensieri. Poi, tra una cucchiaiata e l'altra, mi chiede: «Sei pronta?»

«Sì,»le rispondo, mentre lavo velocemente la tazzina del caffè per poi riporla nel ripiano della credenza.

ReCarlo ha iniziato a strusciarsi sulla mia gonna, cercando di attirare la mia attenzione. Ha fame, ma ho i minuti contati e dovrà rivolgersi a Ludovica se vuole mangiare.
Cerco di allontanarlo, ma lui continua imperterrito a seguirmi per tutta la cucina. È il gatto di Ludovica, eppure viene sempre da me quando ha fame; proprio non capisco.

«Che piccola canaglia! Vieni qui piccinino mio.»

Al suo richiamo, il gatto si stacca da me e trotterella con la coda dritta verso di lei, che l'aspetta a braccia aperte.
Fisso la scena con le sopracciglia inarcate, poi scuoto la testa ed esco da lì.
Salgo in camera per prendere lo zainetto che uso per le gite, preparato ieri sera. Controllo un'ultima volta che ci sia tutto, e mentre lo faccio, spunta fuori qualcosa dall'agenda che mi blocca: l'unica lettera di mia madre in tutti questi anni.

Ludovica intanto è salita anche lei e con ReCarlo in braccio, mi guarda curiosa. «Che c'è?»

Chiudo lo zainetto Chanel, tra l'altro un suo regalo di Natale super esagerato...
A pensarci, quanto lo deve aver pagato mi gira ancora la testa! Io, a confronto, non potrei permettermelo neanche dopo un anno di lavoro, figuriamoci!

«Niente,»le rispondo, incurante di lei, dandole le spalle.
Torno con il pensiero alla lettera; non so perché continui a custodirla nell'agenda che mi porto sempre dietro. Forse per abitudine o forse perché è l'unica cosa che mi rimane di lei, da quella mattina che decise di uscire di casa per non tornarvi più.

«Non pensarci,»mi sussurra Ludovica, venendomi alle spalle.

Mi giro a fissarla in silenzio. Sono indispettita, e sì, cazzarola... perché non si fa mai gli affari suoi e come fa a sapere che la tengo dentro l'agenda?!

Borbotto tra me uscendo di casa. Mi incammino sulla strada di lastricati grigi ancora bagnati e lucidi per il temporale della notte, notando con piacere che non passano macchine né scooter.

Silenzio.

I palazzetti in pietra irregolare, dall'aria aristocratica, mi fiancheggiano da entrambi i lati, e già mi sento meglio.
Devo arrivare alla stazione dei pullman, che dista solo dieci minuti di cammino...

Non incontro anima viva; la città è ancora addormentata.
A quest'ora, l'aria si profuma di una dolce fragranza di cornetti appena sfornati che mi fa venire l'acquolina in bocca.
Sono tentata di fare una piccola deviazione e passare da Lollo, la migliore pasticceria del rione, per comprarne un paio, ma poi guardo l'orologio e sbuffo.

È tardi, tardi!

Cammino più spedita, giro all'ultima traversa sulla destra, e finalmente arrivo al piazzale dei pullman.
Scorgo Mary aspettarmi all'angolo, sotto l'enorme cartello di divieto di sosta. Indossa il berretto blu degli Yankee, un regalo della madre e anche il suo portafortuna.
Conosco la sua mamma, è una persona amabile al primo sguardo...

Quel pensiero mi innesca nella mente un déjà-vu e in una frazione di secondo rivivo il ricordo di mia madre, ferma sull'uscio di casa a sistemarmi amorevolmente il cappuccio del
k-way in un giorno qualunque di pioggia. È un ricordo forse banale, ma al contempo impattante, che fa salire le lacrime agli occhi e riempie il cuore di malinconia, rabbia e rancore.

«Ehi, Lietta!»

La voce entusiasta di Mary mi riporta al presente, e sbatto le palpebre un paio di volte. Mi accorgo che si sta sbracciando per attirare la mia attenzione, così le sorrido e la saluto con la mano. Lei è un balsamo per i miei tormenti...

Corro per raggiungerla, saltellando qua e là, cercando di evitare le numerose pozzanghere che riempiono le rughe dell'asfalto rovinato. Sento la mia coda di cavallo dondolare da una parte all'altra, simile al pendolo di un orologio.

«Ehi...»

«Ciao! È da tanto che aspetti?»

«No.»

Mi sorride, passandosi una mano tra i lunghi capelli ramati divisi in due parti dal berretto, poi scansiona l'area come se aspettasse qualcuno...

Prima che io possa chiedere qualcosa, una Mini Cooper di un suggestivo blu oltremare si avvicina con velocità, fermandosi di fronte a noi.

Il finestrino brunito del lato del guidatore si abbassa, e tra le note di una musica rap, compare il viso di un ragazzo dagli occhi scuri e scintillanti, incorniciato da una capigliatura corta con taglio wolfcut...

Ci sorride, e io, impietrita, vado in apnea per qualche secondo.

«Ciao rossa», esclama con tono allegro e ironico, rivolgendosi a Mary.
Lei lo fissa estasiata, con un sorriso da ebete stampato sul viso, mentre accarezza dolcemente con le unghie curate il suo braccio appoggiato con nonchalance sul finestrino.

Io, sempre più perplessa, noto un tatuaggio tribale particolare sulla pelle dell'avambraccio, scoperta dalla manica della camicia bianca arrotolata fino al gomito.
Deve essere lui, il ragazzo che Mary ha conosciuto alla festa di Francesca la scorsa settimana.

«Lei è Giulia, la mia migliore amica», esclama Mary con entusiasmo.

«Ciao, sono Diego. Finalmente ci incontriamo... Mary mi ha parlato molto di te» dice, tendendomi la mano con tono gradevole.

Mentre gliela stringo per un istante, avverto il viso arrossire.
È una situazione inaspettata, forse persino imbarazzante, anche se non riesco a capire perché.
Un pizzicore a fior di pelle, una sensazione insolita per me, in genere abile nel gestire le emozioni, anche con ragazzi.
Con il suo sguardo furbo, penetrante, sembra quasi capace di leggermi nella mente. I suoi occhi si fissano nei miei, e un sorriso lento e sensuale si dipana soavemente sulle sue labbra beffarde.
Il suo è un sorriso che confonde, e cavolo, devo ammettere che è davvero molto carino!

«Bene, ora che le presentazioni sono state fatte» dice Mary con la sua consueta vivacità, «andiamo!»

Io annuisco all'istante, felice di abbandonare il forte momento di impasse.
Con i biglietti in mano, mi avvio verso il pullman fermo dall'altra parte della strada.

«Lietta? Dove vai?»

Mi giro e vedo Mary ancora immobile accanto alla Mini.

«Al pullman... è questo, no?»

Lei ridacchia, getta uno sguardo complice a Diego che mi grida: «Niente pullman! Venite con me a Firenze.»

Cosa?! Oh no!!

Ti prego, Mary, inventati qualche scusa!
Urlo sgomenta nella mia testa ma lei, felice, non perde tempo in chiacchiere e corre dall'altra parte dell'auto, entrando rapidamente.

Rimango immobile in mezzo alla strada, come una totale idiota.

L'istinto mi grida di scappare...

«Allora, principessa, quanto ti dobbiamo aspettare?» Mi incita Diego, sorridente, spalleggiato da Mary.

Proprio in quel frangente, noto l'ultimo passeggero salire in fila sul pullman, le porte chiudersi con un rumore sordo.

Ora mi sento veramente in trappola...

Torno a guardare la Mini, dove Diego, affacciato al finestrino, continua a sorridere, mentre la voce di Mary da dentro l'auto mi sollecita a unirmi a loro.

Deglutisco...

Sembra che non abbia altra scelta. Così, mesta, ritorno sui miei passi e mi preparo a quel viaggio totalmente impreparata.

Il Ritratto  (divisione in parti del testo)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora