Cap.2

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<<Portate Wagner in isolamento, subito!>>

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<<Portate Wagner in isolamento, subito!>>

Quella canaglia della guardia carceraria mi afferrò con forza da un braccio, trascinandomi così fuori dall'area ricreativa. Non avevo fatto niente di male, volevo solo ribattere ad una piccola provocazione, o almeno era quello che credevo. Mi scaraventai contro quella detenuta senza pensare alle conseguenze che avrebbero portato le mie azioni. La colpii con tutta la rabbia che presiedeva in me, quella rabbia che ancora non aveva trovato occasione per uscire fuori dal guscio. Le mie mani sembravano avere vita propria.

La bastarda blaterava di riferire della lettera che inviai a casa al direttore, e avevo appena declinato la sua offerta: soldi, in cambio di protezione. Caro lettore, non ho mai avuto bisogno di nessun tipo di protezione.

Con un colpo secco la misi praticamente fuori combattimento, ma non subito, prima dovetti lottare un bel po'.
La donna in questione era alta 1.80, e poteva avere una massa muscolare all'incirca del 90%, come quella di un uomo. Ma i muscoli dei miei avversari non mi hanno mai spaventato.
Le guardie mi scortarono dall'altra parte della sala ricreativa impedendo a entrambe di toccarci, e ovviamente non lo fecero con molta gentilezza.

Fui portata in isolamento dopo pochi minuti, percorremmo quel corridoio largo e grigiastro che portava direttamente alle celle dei detenuti, e poco più in profondità si trovavano le celle d'isolamento, dove non avrei visto nemmeno uno spiraglio di luce per circa 24 ore.  Penso di avere una vista molto sviluppata, e ciò lo noto nelle ore notturne, e questo lo devo proprio alle celle d'isolamento, dove vi avrò visita almeno una ventina di volte.

Non sempre mi sono comportata da signorina.

Le guardie aprirono quella grande porta scura di vecchio acciaio e mi spinsero a terra come un animale morto. Perché così ero, morta, e nell'oltretomba. Spesso ripenso a quella prigione, alle urla, ai rumori che di notte mi perseguitavano, agli incubi, agli scricchiolii, alle lacrime che versai, non perché avevo paura o temevo per la mia vita, perché piuttosto che vivere in quel modo avrei preferito morire.

Quelle lacrime le versai per Hannah, la pensai spesso in quel letto da sola, senza la capacità di muoversi come vorrebbe, come dovrebbe muoversi una bambina di 8 anni. E pensai spesso a mia zia, quella povera donna che da poco condivideva con noi quelle quattro mura, e a cui affidai mia figlia del primo giorno di partenza per arruolarmi nell'esercito. Mi chiesi se tutto ciò che avevo fatto per mia figlia avesse un senso, o se non avesse solo contribuito a rovinarle la vita. Ero più convinta della seconda. Non ricordo quante ore passarono, ma ricordo che vidi la porta aprirsi e che fui accecata dalla luce superficiale del corridoio che mi appannò gli occhi.

<<Wagner, il direttore vuole vederti.>>
Guardai la guardia con aria interrogativa, ma
capii che non aveva altro da riferirmi, così mi alzai e fui scortata da essa e da altre due guardie. Penso che neanche lei sapesse del perché il direttore volesse parlarmi. Pensai che volesse trasferirmi altrove dopo ciò che avevo causato, anzi, dopo tutti gli episodi di violenza, e per tutte quelle povere anime a cui spaccai il naso. Arrivammo davanti la porta blindata del suo ufficio, una guardia la aprì dopo aver ricevuto un "beep" di approvazione dall'interno, e così mi fecero entrare.

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