Cap. VI

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Iniziai dal Paddington.
Un piccolo bar, molto discreto, e poi altri nelle vicinanze. Proseguii lungo il Marylebone, non molto distante da dove fossi, ma stessa cosa. Non volendo tornare subito a casa dopo quei vani tentativi, mi avviai per Mayfair, lussuoso quartiere con diversi locali dal raffinato gusto.
Stanca di girare invano per quelle larghe e trafficate strade, mi avviai verso casa. Nei giorni che precedevano restai in casa a studiare meticolosamente le abitudini di Jason Ashbourne, per creare una piccola pista da seguire, e proseguire le mie ricerche. Nei documenti che mi furono inviati dalla S.O.R.F, era riportata ogni tipologia di informazione sul mio ricercato. Nome, cognome, paese di provenienza, caratteristiche fisiche, abitudini, e tante altre cose che mi portarono a chiedermi come diamine facevano a sapere.
Tra le innumerevoli, e anche troppe abitudini, trovai la voce "Frequentare posti pubblici, come piazze, bar o ristoranti, in modo da non essere soggetto a pericoli, o a minacce con armi da fuoco o combattimento." Mi venne in mente di provare a dare un'occhiata in giro, precisamente nel luogo dove fu identificato poco tempo prima. Ovvero nei pressi dell'illustre e conosciuto Hyde Park. Ma i miei tentativi furono ripagati con il palese fallimento dei miei piani. Arrivai a casa e la prima cosa che feci, fu rimettermi nella mia, ormai, solida postazione di studio. Da quando Luna aveva accettato il cambio di ruolo, in casa si vedeva molto raramente. Contando che anch'io, avevo da poco iniziato a lavorare per quel giornale, il Daily Mail, mi recavo spesso in sede, per la consegna dei piccoli articoli che dovevo perennemente completare. I miei reportage in quel periodo erano quasi tutti simili, si trattavano di piccole testimonianze dirette in cui venivano riportati fatti reali. Ricordo di aver scritto delle feste natalizie in arrivo, e che in occasione di quest'ultime, Somerset House si preparava ad ospitare ogni giorno centinaia di gente, o di come al Covent Garden, stesse per essere allestito il mercatino natalizio. Erano notizie abbastanza banali, ma d'altronde avevo appena iniziato, e dato che il giornale per cui lavoravo era un quotidiano, non potevo scrivere altrimenti. Quei giorni mi limitai ad uscire per queste cose, oltre che per la spesa, ma per quello uscivo quasi sempre con Luna. Roman mi avrebbe chiamato il prossimo giovedì, che lui etichettò come giorno di notizie, e avrei dovuto dargli eventuali aggiornamenti. Ma non credevo che avrei avuto alcun tipo di aggiornamento per quel giorno. I miei primi tentativi di trovare Jason Ashbourne erano chiaramente falliti, nessun volto che ebbi intravisto nelle mie uscite somigliava anche lontanamente a quello del mio ricercato. Ma non mi arresi. Ripresi le carte tra le mani e cercai disperatamente una strada secondaria per poter continuare le mie futili indagini. Volevo ottenere qualcosa da poter riferire a Roman, prima che si fossero fatti l'idea che non sto mettendo l'impegno necessario che serviva a trovare quel tale. Ma io stavo accentrando tutte le mie energie per trovare altre piste che mi avrebbero prima o poi condotto a lui, Jason. Erano ben le nove di sera, ma di Luna nessuna traccia. Non feci subito caso all'orario, la mia attenzione fu catturata dalla notifica che mi arrivò proprio da parte di Luna. Così interruppi le mie ricerche e afferrai il cellulare, Luna mi aveva appena inviato un messaggio vocale lungo nove secondi.
<<Jane, sono appena uscita dall'ufficio, che dici di bere qualcosa? Ho già cenato in ufficio, ma è da giorni che lavoro come una disperata e ho bisogno di un Margarita. Vieni al K Bar nel Queen's Gate, sbrigati.>> per fortuna il luogo che mi propose si trovava vicino casa.
Luna lavorava alla Mirren Enterprise, l'unica sede della mastodontica impresa dei Mirren. Bisognava avere un curriculum abbastanza ampio e promettente per poter richiedere un colloquio, si trattava di un posto molto serio, dove mancanze o ritardi non erano tollerati, a questo proposito la possibilità di lavorarci era molto esclusiva. Andai a cambiarmi, indossai un maglione a dolcevita nero, che abbinai ad un pantalone a zampa dello stesso colore, ornato da un cinturino del medesimo colore, ma con un piccolo dettaglio sull'oro. Avevo delle scarpe nere dal tacco non eccessivamente esagerato che decisi di mettere, e infine completai con un cappotto nero. Lasciai i capelli sciolti sulle spalle, e una volta aver preso tutto il necessario e averlo sistemato in borsa, riposi tutta la documentazione sull'apposita carpetta, infine chiusi la porta di casa e mi avviai verso l'ascensore. Una volta arrivata di fronte al luogo indicato, intravidi Luna proprio davanti l'ingresso, e io le andai incontro. Luna aveva un'insaziabile voglia di bere un Margarita, così in secondi scarsi ci ritrovammo proprio davanti il bancone del bar. L'ultimo piano di questo edificio, godeva di una grande terrazza dotata di graziose ed eleganti poltrone, grandi e piccole, e dei tavoli dal vetro scuro in cui venivano messi a disposizione posaceneri. Si trattava di un bar molto elegante, lo si percepiva anche solo dall'aria che si respirava una volta arrivati in quel luogo.
Ci sedemmo in una di quelle comode poltrone, e presto arrivò il cameriere che con fare garbato, pose i nostri drink sul tavolino di vetro al centro. Io presi ovviamente un Martini, accompagnato da una squisita oliva verde. Da sempre il mio drink prediletto.
<<Non hai idea della quantità di cose che ho dovuto fare. Jane, neanche immagini, credimi.>> la mia amica era davvero sopraffatta dallo stress.
<<Hai accettato tu di fare la segretaria, amica mia.>>
<<Lo so, ma siamo in due, non pensavo di dover fare tutte queste cose.>>
<<Se non riesci a reggere lo stress, chiedi alla signora di mettere qualcun altro al posto tuo.>>
<<Mi sembra una cosa impossibile. Significherebbe far abituare qualcun altro ai ritmi che servono, e quella ha bisogno di qualcuno di veloce e sveglio. Non accetterebbe mai, ha già me.>> sembrava davvero stanca, ma nonostante questo, la mia amica non si perdeva mai d'animo, riusciva sempre a non perdere il buon umore. Chissà come faceva.
<<E a te invece come va a lavoro? Soliti articoli scontati?>>
<<Già, solite sciocchezze. Londra che apre le porte ai turisti, il ballo di Natale della famiglia reale, la gran pista di pattinaggio ad Hyde Park. Cose ovvie. Niente di realmente interessante, a parte il ballo in maschera in occasione del Natale a Buckingham Palace.>>
<<Mi piacerebbe così tanto andarci, sai? Chissà che meraviglia.>>
<<A meno che la tua dolce signora non conceda un pass speciale, a te e alla tua collega segretaria, non potrai nemmeno stare fuori, da Buckingham Palace.>> io risi, perchè vidi l'inevitabile espressione sognante della mia amica trasformarsi in un'espressione di delusione. <<Ma come, è esclusiva?>> lo chiese quasi meravigliata.
<<Certo, cosa ti aspettavi? Che chiunque con un vestito lungo e a tema potesse entrare? Tu sogni, cara amica.>>
<<Sicuramente sarà invitata l'alta società di Londra. Tipo i componenti della Camera dei Lord.>>
<<Oltre che, alcuni politici, ricchi imprenditori, noti scrittori, giornalisti. Gente importante.>>
<<Ho sentito che si terrà un'asta. Perciò è vero?>>
<<Sì, è stata un'iniziativa della duchessa di Sussex. Vuole utilizzare il ricavato dell'asta per dare agli ospedali strumenti di ultima generazione. Perché vuole garantire la salute pubblica, dice.>>
<<Mi sembra una buona cosa.>>
<<Sì, abbastanza.>>
Nel mese di settembre, a Londra girava già un'aria fredda. Per fortuna quella terrazza era attrezzata di un buon sistema di riscaldamento. Il grande bar in cima all'edificio, era accerchiato da dei grandi pannelli di vetro che lo riparavano dall'aria fredda e dal vento londinese. Avevamo quasi finito di sorseggiare i nostri drink, stavamo quasi per tornare a casa dato il tardo orario, ed io il mattino dopo avrei dovuto recarmi in sede per un'urgenza. Una mia collega era malata di raffreddore, e il direttore aveva chiesto la mia disponibilità per un'intervista esclusiva. Pare che si trattasse di una cosa non di poco conto, così accettai. Se il mio lavoro permetteva di espandere le mie conoscenze e di scoprire posti, possibilmente anche ignoti di quella grande città, allora non vedo il motivo per il quale non provare.
La presenza inaspettata di una figura abbastanza sgradita dalla sottoscritta, ma in particolare da Luna, catturò inevitabilmente la nostra attenzione, quando quest'ultima si presentò proprio al bancone della terrazza.
<<Negroni, con poco vermut.>>
<<Che parassita.>> Luna lo guardava con il giusto ribrezzo con il quale si guardano solitamente le persone come Jacob Mirren. Capii dopo che stava guardando proprio lui.
Alto circa 1.80, spalle larghe. capelli scuri. pelle olivastra ma non troppo. Occhi che sembravano vagare nell'aria, alla ricerca di qualcosa, o di qualcuno.
Fu in quel momento che lo sguardo del più piccolo dei Mirren, incontrò quello di entrambe.
Ci eravamo riuscite, avevamo accidentalmente catturato la sgradevole attenzione dello sciupafemmine più ambito della città, e adesso stava camminando nella nostra direzione.
<<Non sapevi che frequenta questo posto?>> chiesi a Luna con un leggero pizzico di fastidio causato dallo sguardo morboso di Jacob.
<<Certo che no. Sennò non ti avrei portata qua.>>
<<Buonasera.>> Jacob Mirren si era appena seduto, senza nessun invito, nella terza poltrona di fianco a noi. <<Luna, quindi vieni qua dopo il lavoro? Mia sorella ti dà proprio un bel da fare, mh?>>
<<La signora, caro Jacob, non c'entra. E' la prima volta che vengo qua dopo il lavoro, e non devo certo dare spiegazioni a te, o alla signora.>>
<<Rilassati, non le dirò niente, e non devi mentire. Tutti sanno quanto è esigente, ti capisco, è una vera rompicoglioni. Perciò è più che lecito che tu venga qui dopo il lavoro, insomma, a dir la verità mi chiedo come mai tu non ti sia già licenziata.>>
<<Perchè al contrario di qualcuno, mio caro Jacob, ho delle responsabilità, parola di cui tu sicuramente non sarai mai a conoscenza.>>
<<Perché sei così cattiva con me? Cosa ti ho fatto, Luna?>>
<<Ti sei seduto con noi, senza nemmeno chiedere se potessi farlo. Stai disturbando, Jacob.>> Luna non aveva peli sulla lingua con Jacob, era più piccolo di lei, quindi non le era mai venuta la cosa di rivolgersi a lui come si rivolgeva alla sorella o al fratello.
<<Ah giusto, non sei da sola.>> Jacob mi rivolse una delle sue disgustose occhiate.
<<E tu chi sei? Come ti chiami?>>
<<Jane.>> mi limitai a dire questo.
<<Jane, sei un'angelo.>> prese inaspettatamente la mia mano per eseguire un baciamano, ma la ritrassi subito indietro. <<Non c'è ne bisogno.>> lo guardai decisa.
<<Non sei inglese. Da dove vieni, angelo?>>
<<Ora stai esagerando, Jacob.>> Luna alzò il tono della voce, cercando di difendermi dalle morbose domande di quel tipo.
<<E' tutto apposto, Luna.>> la guardai cercando di rassicurarla. <<Di Berlino.>>
<<Ci sono stato, ma non avevo mai visto angeli come te. Come mai?>>
<<Forse gli angeli vogliono stare lontani da te, Jacob.>> rispose la mia amica.
<<Così mi offendi.>> e la guardò con aria da bambino che era appena stato sgridato.
<<Comunque stai disturbando, siediti altrove.>>
<<Posso sedermi dove voglio, questo posto è mio.>>
<<Cosa? Che stai dicendo?>>
<<Da esattamente 5 giorni è proprietà della Mirren Enterprise.>>
<<Ma che stai dicendo.>> Luna lo guardò incredula, come se non volesse accettare proprio il fatto che quel posto fosse realmente sotto il controllo della Mirren Enterprise.
<<Ma come, sei la segretaria di mia sorella, e non hai alcuna idea delle attività che possediamo? Fattelo dire, dovresti stare più attenta a lavoro.>>
Luna non digerì affatto quella risposta così, presa dalla rabbia, si alzò afferrandomi da un polso. <<Senti chi parla, proprio tu che non fai altro che causare danni alla tua stessa impresa. Prima o poi farai morire tua sorella di crepacuore a causa dei tuoi comportamenti infantili, ricordatelo Jacob.>> strinse in maniera non poco leggera la presa del mio polso e mi trascinò in pochi attimi fuori dal locale. Nel frattempo, Jacob rideva alle nostre spalle.
<<Brave, togliete il disturbo, mi stavate già annoiando.>> blaterava come un bambino a cui vengono tolte le caramelle.
Nonostante la nostra casa distanziasse circa 15 minuti da quel posto, arrivammo a casa cinque minuti in anticipo. Il passo rapido e palesemente infastidito di Luna ci fece rientrare più presto del previsto a casa. Le parole di Jacob l'avevano infastidita a tal punto da volersene allontanare subito e da lasciarsi quel luogo alle spalle, in cui sicuramente non saremmo tornate più.
<<Quel pezzente!>> la sua ira era implacabile. <<Quel dannato, stupido, ingrato pezzo di merda! Sì, proprio un gran pezzo di merda.>>
<<Luna calmati. Ora siamo a casa.>>
<<Non m'interessa, hai visto come si è comportanto! Proprio un pezzente, un grande cafone e maleducato.>> posò la borsa di colpo sul tavolo, provocando un rumore caotico.
<<Non tornerò più in quel posto.>>
<<Neanch'io voglio più tornarci. Hai sentito cosa ha detto mentre andavamo via. E' proprio un gran viziato.>> anch'io ero infastidita da ciò che era appena successo, come si è permesso di dire quelle cose? A voce alta per giunta.
<<Hai visto come parla dell'impresa? "La mia impresa" "Questo posto è mio.">> urlò con tanto di buffe imitazioni. <<Come se fosse lui a pensare agli affari! Quello lì non ha mai lavorato un giorno della sua inutile vita!>>
Luna era appena entrata in camera sua, e mentre urlava chiassosamente con tanto d'insulti, si stava cambiando. Stessa cosa feci io, ma mi limitavo a dirle <<Calmati, tanto lo sa anche lui che è una nullita.>>
<<Ma per favore Jane, quello lì si sente il padrone del mondo. Se non fosse un Mirren, non sarebbe nessuno, proprio nessuno, oltre che un pezzente.>> era vero. Se quel ragazzo non avesse nuotato nell'oro fin dalla nascita, forse sarebbe cresciuto con meno arroganza, e più riconoscenza. <<Adesso non pensarci più, anche se raccontasse qualcosa alla sorella, lei non lo degnerebbe nemmeno di una risposta.>>
<<Proprio così. Anche sua sorella sa quanto è viscido.>> da lì in poi cercai di calmare l'umore nervoso della mia coinquilina, che come un potente tornado, portava dentro di sé un rancore incolmabile.
Naturalmente, il nostro sgradevole amico era ancora al K Bar, e come quasi tutte le sere, finì con l'alzare troppo il polso. Il personale del bar lo trovò seduto nel marciapiede fuori dall'edificio, probabilmente stava camminando nella direzione della sua automobile. Ma era troppo, ma davvero troppo, ubriaco per guidare. Non si reggeva nemmeno in piedi.
Chiamarono un taxi che lo portò a casa Mirren. E non si trattava di una semplice casa, ma di un'antica villa fuori zona, incredibilmente maestosa. Quella villa fu data in dono ai genitori di Jacob e dei suoi due fratelli dalla famiglia Windsor, in quanto vollero concedere una delle loro più antiche proprietà proprio alla famiglia Mirren. Un dono concesso come riconoscenza per contribuire allo sviluppo progressivo, della città di Londra e del paese. I Mirren davano da secoli molti posti di lavoro, per cui si deve un grazie anche a loro se il tasso di disoccupazione del paese era uno dei più bassi al mondo.
<<Signorino Jacob, ma come vi siete ridotto?>> Margaret era la governante della villa, aveva visto gli eredi di casa Mirren crescere, e sarebbe stata al loro servizio fino alla fine.
<<Cosa diranno i vostri fratelli ora.>> Alla gente illustre di Londra, che comprendeva i Lord, e gente molto vicina alla famiglia reale, si usava dare del voi.
Ed era una regola che tutti i cittadini di Londra sapevano. Si poteva considerare questa una cosa molto vecchia? Sì, ma funzionava così.
Margaret prese Jacob sotto braccio e lo portò dentro, con l'aiuto di Barney, il maggiordomo.
Riuscirono a portare il corpo pesante di Jacob fino al grande salotto, e una volta arrivati, lo riposero in uno dei divanetti.
<<Dovremmo chiamare il signore o la signora.>> disse Barney, preoccupato per le sgradevoli condizioni del giovane. <<Sì arrabbieranno molto con il signorino, non credi che dovremmo solo portarlo a letto? Guarda in che condizioni è.>> Quando i bambini rimasero orfani, Margaret e Barney, ormai veterani di casa Mirren, si presero cura di quegli orfanelli con impegno e volontà, crescendoli come meglio poterono. Jacob, che era il più piccolo dei tre, era l'unico ad essere chiamato con l'appellativo "signorino". Era chiamato in questo modo per non confonderlo con il fratello maggiore, ma anche per via dell'abitudine del personale.
<<Margaret, prepara il letto di mio fratello. Barney, per favore, vai a pagare il taxista qui fuori e ringraziarlo per la premura.>>
<<Certo, signora.>>
<<Come volete, signora.>>
Una figura slanciata, prevenuta dal suono rumoroso dei tacchi, dallo sguardo risoluto, era appena entrata in salotto con l'aria di chi aveva affrontato un'importante giornata di lavoro, e si ritrovava ad affrontare l'ennesimo problema a casa propria. Bessie Mirren aveva appena fatto il suo ingresso, e non era di certo la donna più tranquilla del mondo. <<Guardati. Sei tutto ubriaco, nemmeno ti reggi in piedi.>> guardava il fratello con aria disgustata <<Sei sempre lo stesso. Vergognati.>>
<<Di nuovo ubriaco?>>
<<Sì, vieni a vedere in che razza di condizioni è.>> adesso stava afferrando la mascella del fratello minore. <<Nemmeno riesce a parlare. Continua a crearci problemi, ed io sono troppo stanca.>>
<<Va tutto bene, torna in camera tua adesso.>> Bessie era incredula.
<<"Va tutto bene"? Vuoi scherzare?>>
<<Adesso lo porto a letto. E' inutile arrabbiarsi, non capirebbe nemmeno una parola. Guardalo, sta già dormendo.>> Jacob si era appena raggomitolato sul divano.
Il padrone di casa, Henry Mirren, era appena tornato da una giornata di lavoro, non voleva rinunciare alla sua serata tranquilla per colpa del fratello.
<<Sono stanco. Vado a riposare.>> cercò di allontanarsi da quello scenario. Vedere il fratello più piccolo ridursi in quello stato gli faceva male, e non poco, ma ciò che mostrava all'esterno poteva essere frainteso come un non me ne frega niente di mio fratello.
<<Tu vai a riposare, e io rimango qui come una stupida a pensare a Jacob? Ti senti giusto, Henry?>>
<<Ti ho appena detto che puoi tornare in camera, Bessie.>> A quel punto la grande collera di Bessie, trovò un'occasione per uscire fuori. Si rimise in piedi e andò contro il fratello maggiore, che si stava avviando per salire le scale e raggiungere le proprie stanze.
<<Te ne frega ancora qualcosa di tuo fratello? O di questa famiglia?>> urlò così tanto che Margaret, preoccupata venne a controllare la situazione, restando nascosta dietro una parete.
<<Si che me ne frega qualcosa. Ma ora non possiamo fare nulla. Hai visto com'è ridotto.>>
Henry continuò a proseguire per le scale. <<Sei solo un uomo egoista. Metti il lavoro sopra ogni cosa. La tua famiglia ha dei seri problemi, ma tu fai finta di essere cieco, e non fai proprio niente per risolvere questa situazione! Devo fare tutto io!>> Fu a quel punto che Henry si fermò, e si girò guardando la sorella con uno sguardo colmo di ira.
<<Ma ti rendi conto di quello che dici? Sei solo una disgraziata.>> le sue parole avevano un peso molto, molto grosso, e questo Bessie lo percepiva, perchè erano tutte rivolte a lei.
<<Quindi penseresti a tutto tu?>> Henry stava rapidamente ripercorrendo la stessa strada fatta precedentemente. <<Ti ho permesso di avere un minimo di controllo dell'impresa, e ti permetti di parlarmi cosi?>> adesso fratello e sorella erano faccia a faccia.
<<Ho detto più volte a quell'ingrato di smettere di bere, di andare nei nostri locali e causare danni. Se non vuole ascoltarmi, non posso fare niente, è grande e deve vedersela lui. Non ci sarò sempre io a proteggerlo.>> il tono del fratello maggiore si alzò di conseguenza.
<<Prima lo capisce, meglio sarà per tutti.>>
<<Jacob sta male.>> Bessie adesso aveva le lacrime agli occhi. <<Non lo vedi che tutto ciò che fa, lo fa per distrarsi da ciò che prova? Lo giocare d'azzardo, le corse, i soldi, il bere. Lo fa perché sta male, e sta soffrendo, Henry.>> disse tutto in un fiato.
<<E allora? Pensi che io non stia male allo stesso modo, Bessie?>> il tono del maggiore si fece di nuovo alto.<<Eppure non mi comporto così. Lavoro, faccio quello che devo fare, rispetto gli impegni e le scadenze. Perchè io riesco a fare tutto pur stando allo stesso modo e lui no?>> Bessie lo guardava, e aveva lo sguardo di una che non voleva credere a ciò che stava sentendo. <<E' grande abbastanza da badare a se stesso. Alla sua età, io avevo il controllo di tutto, io, avevo una famiglia sopra le spalle, studiavo, mi allenavo e mi divertivo, tutto senza problemi. Se ci sono riuscito io, non vedo perchè non debba riuscirci anche lui.>> poi, si girò riprendendo il proprio cammino.
<<E secondo te, reagiamo tutti allo stesso modo?>> lo guardò, cercando disperatamente di far capire al fratello ciò che le stava dicendo. <<<E' vero, noi non ci siamo comportati così. Ma lui è più piccolo, Henry, dobbiamo aiutarlo, prima che la cosa possa->>
<<Stai zitta. Non voglio più sentire niente.>> la voce di Henry non era mai stata così rabbiosa. <<Se ci tieni tanto allora, fai qualcosa tu. Continua a coccolarlo, sicuramente così gli sarai d'aiuto.>>
<<Sei un'uomo senza cuore, Henry. Sei senza onore, mi fai pena.>> la voce di Bessie era in preda alla collera e alla più completa sconsolazione. Quella donna, portava sul cuore ferite troppo grandi. La persona che mostrava all'intero mondo, non era nient'altro che lo scudo che si era creata fin da bambina, da quando i suoi genitori si tolsero entrambi la vita, e la lasciarono insieme a quei due fratelli che a loro volta, portavano anche loro delle cicatrici.
Troppe erano i dispiaceri a casa Mirren, e troppe erano le incomprensioni tra fratelli, che sembravano non trovare pace.

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