Bad End

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Tutti scappano da qualcosa. Tutti hanno un’abitudine a cui non possono rinunciare, un qualcosa che li distragga dalla realtà. 
Per nascondersi, c’è chi fuma, chi si droga, chi annega i pensieri negli alcolici, chi si rifugia nelle parole calde di un libro, chi preferisce le note della musica, chi lo sport.
Poi ci sono persone che non sanno nascondersi. O forse, che si sono stancate, semplicemente. Persone che non trovano più nulla nella vita, e che, una volta per tutte, le pongono fine. 

Calime ci aveva pensato spesso, alla morte. 
Non sapeva dirne precisamente il perché, ma la attirava. Sembrava... dolce. Le prometteva quello che aveva sempre sognato, sin da bambina. Le diceva che avrebbe semplificato tutto, che avrebbbe portato via il suo dolore. Avrebbe allontanato da lei tutto: gli incubi, gli insulti, le persone che la usavano, i dolori fisici, quelli psicologici. 
Calime le credeva. Sapeva bene che se avesse deciso di farla finita, la Morte sarebbe stata gentile con lei. Proprio come la musica, le avrebbe detto che era tutto finito, che da qual momento in poi sarebbe andato tutto bene. 
E Calime le avrebbe creduto, si sarebbe fidata e l’avrebbe seguita docilmente. 

Era inverno, la stagione preferita di Calime. 
Quella volta, la ragazza era stata molto più tempo del solito a giocare con il suo ciondolo con la lametta prima di decidersi ad entrare in bagno e bloccare la porta. 
Era distratta quel giorno, parecchio. Ad ogni occasione, si metteva a pensare. Ogni volta che smetteva di fare qualcosa, ogni volta che si ritrovava ferma a fissare il vuoto… ecco che un pensiero si faceva spazio prepotentemente nella sua testa. 
Non era successo nulla di importante o degno di nota in quella giornata. La sua vita era sempre uguale, monotona, noiosamente identica sé stessa. Le voci nella sua testa continuavano a ripeterle le stesse identiche cose, come eco di quello che le diceva la gente che la circondava. 
Sei inutile, le sussurravano. Una stupida ragazzina. Sei grassa, a nessuno piacciono le persone come te. Sei triste, i ragazzi non amano le ragazze tristi. Sei morta. 
Era così stanca di sentirselo dire, di dirselo da sola. La vita era già difficile di suo, perché doveva sentirsi insultare da altri? Da persone che non la conoscevano? 
Solo lei poteva. Solo lei si conosceva, solo lei aveva il diritto giudicare. 
Anche se… lo dicevano tutti. Quindi doveva essere vero. No? 

Più che altro, era questo che l’aveva fatta scattare. Il nulla, il vuoto, le cose così dannatamente uguali fra loro. Oh, se l’odiava. Quella sensazione che da troppo tempo la opprimeva, la schiacciava, le bloccava il respiro. 
In momenti come quelli, la depressione prendeva il sopravvento. 
Ormai, anche lei era sua amica, come la Morte. Calime era abituata a sentirsi lo sguardo vuoto, a fissare il soffitto della sua camera che ormai conosceva a memoria. A non sentire nulla. 
Stare così era come… annegare. E Calime conosceva bene quella sensazione, l’aveva già provata sulla sua pelle. Quando si nascondeva sott’acqua per minuti interi; quando, dentro la doccia, aveva provato ad inalare l’acqua; quando le prendevano attacchi d’asma improvvisi e i polmoni decidevano di smettere di funzionare, mentre annaspava alla ricerca di un po’ di ossigeno. 
Era buffo, in fondo. Lei, che desiderava così tanto la morte, il dolore, le punizioni… aveva paura quando era messa di fronte a queste senza nessun preavviso, contro la sua volontà. Le prendevano veri e propri attacchi di panico, in quei casi. Lei doveva morire alle sue regole, non a quelle di altri. 

Calime aprì la doccia, con le mani che tremavano, e si chiuse al suo interno ancora completamente vestita. Aprì l’acqua, piegando la testa indietro mentre l’acqua gelata le colpiva violentemente il volto dai tratti infantili. 
Perché stava tremando, quel suo corpo? Aveva già preso dei ripensamenti riguardo quello che volevano fare? Si stava già tirando indietro? 
Era troppo tardi per cambiare strada. 

Con la depressione sapeva viverci, in fondo. Il problema non era solo quello. 
Il problema sorgeva quando si faceva viva l’ansia. Quando passava dal non sentire nulla al sentire tutto, quella sensazione che si faceva spazio con prepotenza nella sua mente, che la spingeva a imbottirsi di pasticche per smettere di pensare, smettere di sentire. 
Era questo che riusciva a sopportare di meno. L’ansia le dava una visione di sé stessa più concreta, più realistica. Le faceva capire che non poteva farcela, non poteva far nulla da sola. 
Odiava quando la paura la prendeva, il cuore accelerava. A quel punto, anche solo respirare si faceva impossibile, e la realtà dei fatti le veniva messa di fronte senza troppe cerimonie. 
Era una codarda. Aveva paura di vivere, ma non avevail coraggio di morire. Non faceva mai nulla senza che glielo dicessero gli altri. Non parlava per paura di sbagliare. Non guardava per paura di dare fastidio. Non ascoltava per paura di esser tirata in mezzo. 
Era una stupida. 

Essere depressa andava bene. Anche essere ansiosa andava bene. 
Ma quando le cose si mescolavano, quando provava nulla e tutto insieme… si accorgeva che non era un modo di vivere. 
Era un modo per morire. 

Calime scivolò lentamente nella doccia fino a trovarsi seduta a terra, con le gambe rannicchiate al petto. 
Si spogliò velocemente di quei suoi vestiti ingombranti, il respiro incerto. Poi iniziò. 
Prese la lametta argentata, iniziando ad incidere quei punti della sua pelle chiara già segnati dalla sua rabbia e la sua delusione. 
Il sangue prese a scorrere piano sui suoi polsi, sui fianchi e sulle gambe esili, trascinato via dall’acqua fredda. 

Calime non sopportava il suo sangue, non lo voleva nel suo corpo. Era quello che la segnava come un Ibrido. 
Troppo angelica per essere un Demone, troppo demoniaca per essere un Angelo. Non poteva farci nulla, ma era così. Non poteva schierarsi, non poteva far parte di nessuna delle due razze. 
Era come per l’ansia e la depressione, stessa storia. 
La sua vita era un ciclo di essere qualcuno e nessuno allo stesso tempo. 
Era sbagliato. 

Quando Calime uscì dalla doccia non si curò di pulire il casino che aveva fatto. 
Prima di tutto, era troppo stanca. Questa volta non ci era andata leggera, per niente. Non si reggeva in piedi per quanto sangue aveva perso. 
Poi, stavolta non le importava se l’avessero scoperta o meno. Era un’autolesionista, sì. E quindi? 
Quando sarebbe morta, non sarebbe più importato a nessuno. 
Il liquido vermiglio stava continuando a scorrere giù per il suo corpo femminile, macchiandolo. Non le importava. 
Il respiro era tornato ad essere calmo e regolare. Ora aveva deciso, aveva chiaro cosa fare. 
Si guardò allo specchio, reggendosi con le braccia al lavandino. Provò un’ultimo moto d’odio per quel volto così stupido, che stava piangendo. Perché piangeva? Non doveva, non ne aveva diritto. 
Afferrò una boccetta arancione e bianca, piena di pasticche di vari colori al suo interno, mentre si accasciava piano al suolo. 
Ripensò alla lettera che aveva scritto, quella che avrebbero dovuto leggere i suoi familiari. 
Non era propriamente una lettera, ma dentro c’era scritto tutto quello che aveva da dire. L’aveva lasciata in nella vista, ne era sicura. 

Calime osservò le pasticche cadere sulla sua mano, alcune scivolarono sul pavimento freddo, insieme al suo sangue. Sembravano caramelle, pensò. 
Chiuse gli occhi, ingerendo per l’ultima volta quelle cose, sentendone il sapore leggermente amaro sulla lingua. Prese un respiro profondo. Era calma. 
Il dolore fisico si affievolì fino a scomparire. Calime si sentiva sempre più distante dal suo corpo, sempre più… morta. 
Non era esattamente come Calime se lo aspettava. 
Aveva sempre pensato che la Morte sarebbe giunta tutta insieme, prendendo ogni cellula che costutuiva il suo piccolo corpo insieme. 
Invece, stava accadendo tutto molto, molto lentamente. Più di quanto avesse voluto. 
Cosa sarebbe successo se qualcuno sarebbe arrivato prima di darle il tempo di spirare? L’avrebbero scoperta. L’avrebbero mandata da uno di quegli inutili psicologi, l’avrebbero costretta a parlare. Oppure sarebbe finita in un manicomio,l’avrebbero presa per pazza. O… 
Il pensiero di Calime vacillò, mentre la ragazza piegava lentamente la testa di lato. Sentì vagamente il rumore di un campanellino, come fosse chiusa in una bolla d’acqua e i suoni le arrivassero ovattati alle orecchie. Socchiuse gli occhi. 
È tornata Adane, pensò con le poche forze che le erano rimaste. Si sentì in colpa per lasciare quel cucciolo lì, in quel mondo che tanto disprezzava e che ricambiava il sentimento. 
Percepiva ancora il sangue e le lacrime sul proprio corpo, il freddo pavimento a contatto con gambe e schiena. O forse, era solo una sua impressione. Non era sicura di poter sentire qualcosa. 
La doccia era ancora aperta, questo lo sapeva. Sapeva che le gocce d’acqua stavano allagando il pavimento di mattonelle avana, che stavano colpendo il suo corpo martoriato. 
Calime chiuse nuovamente gli oggi. Le parve di sentire qualcosa, come una voce che sussurrava al suo orecchio delle parole dolci, che la invitava a lasciarsi andare. 
I muscoli si rilassarono. Il respiro e il battito cardiaco dimibuirono di frequenza. 
Sentì la Morte al suo fianco. Poi nulla. 

Nella camera accanto, un foglio di carta rigata era ripiegato sul letto. 
Dentro, solo due parole scritte. Nessuna firma, nessun saluto. Solo due tratti di inchiostro nero, che contrastava col bianco del foglio. Semplice, schietta e piena di segreti, proprio come Calime. L’unica pecca della lettera erano piccole macchie che avevano portato via il colore, lacrime di una ragazza che pensava di aver perso tutto. 

Mi dispiace.

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