1. L'ODIOSO RAGAZZO DEL CAMPO DA RUGBY

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Il mio è un risveglio abbastanza traumatico, con la sveglia impostata dal telefono che suona assordante e i miei genitori che iniziano la giornata con la tv accesa, messa a tutto volume su un canale di notizie della mattina, come se fosse una spec...

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Il mio è un risveglio abbastanza traumatico, con la sveglia impostata dal telefono che suona assordante e i miei genitori che iniziano la giornata con la tv accesa, messa a tutto volume su un canale di notizie della mattina, come se fosse una specie di rituale per scacciare il sonno o, chissà, per esorcizzare qualche paura segreta.

La televisione blatera incessante, vomitando titoli sensazionali e notizie ripetute fino alla nausea.

Mi rigiro nel letto, come se da un momento all'altro potessi mettermi a urlare come un pazzo e mi alzo a fatica, trascinando i piedi sul pavimento freddo della mia stanza e, ancora mezzo addormentato, vado in cucina dove mi aspetta il solito caos del mattino.

Mamma è già operativa, sta armeggiando con la macchinetta del caffè e mi saluta con un cenno rapido, mentre mio padre è seduto al tavolo con il viso sepolto dietro un giornale, come se volesse evitare qualsiasi forma di interazione. La radio trasmette le solite notizie televisive, creando un'atmosfera quasi surreale.

«Pensi di andare a scuola vestito così?» mi chiede mamma, indicandomi con la caffettiera che tiene in mano.

«Non sono tanto scemo da andarmene in pigiama.» replico, con uno sbadiglio sonoro, faccio per voltarmi e quando comincio a salire le scale, mi dirigo in camera, prendendo da un cassetto una felpa grigia, dei blue jeans e un paio di sneaker consunte. Dopo mi guardo allo specchio, i capelli e l'intero aspetto mezzo trasandato. Probabilmente avrei dovuto prendere più cura del mio aspetto, ma c'era sempre tempo per quel genere di cose, giusto?

Scendo di nuovo e mi siedo al tavolo, con gli occhi ancora pesanti, cercando un attimo di pace prima che inizia la giornata. È una routine che si ripete ogni giorno, sempre identica, tanto che potrei quasi prevedere ogni gesto, ogni parola.

A volte mi chiedo se pure gli altri si sentissero come me, se anche loro trovavano il loro risveglio come un atto forzato, un tuffo violento in una realtà che non ti lascia il tempo di respirare.

Scrollo le spalle, rassegnato, sapendo che queste sono solo domande che mi faccio in testa, che forse rimarranno lì, senza risposta. Finisco di fare colazione, afferro lo zaino ed esco di casa, per dirigermi alla fermata dello scuolabus e andare verso quell'inferno in terra chiamato scuola.

In uno sedili di velluto consumato, vi seduto è un ragazzo con gli occhi e capelli castani. Indossa una felpa nera dei Led Zeppelin sopra una maglietta bianca, dei blue jeans di una tonalità più scura dei miei e con degli strappi in altezza delle ginocchia, e delle scarpe da ginnastica bianche, leggermente consumate e delle cuffie alle orecchie. Noto già da subito che ha sollevato la testa e posato gli occhi su di me e mi sta facendo dei cenni per sedermi accanto a lui.

Mi avvicino a lui.

«Ciao Percy» mi saluta.

«Ciao Liam.» gli rispondo, dopo aver colpito la sua mano con la mia. Dopo mi siedo, tra lui e la finestra. Liam si sfila la cuffia dall'orecchio sinistro e mi richiama.

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⏰ Ultimo aggiornamento: 7 days ago ⏰

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