Il tempo lenisce

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In piedi lungo la striscia gialla della banchina, guardai il vuoto.

Avevo lo stomaco in subbuglio, la testa girava con troppa forza e il peso del corpo lo sentivo nullo.

Ero completamente vuoto.

I petali di quella rosa rossa racchiusa in una teca di vetro erano caduti tutti, uno ad uno.

Lasciando quel gambo finto completamente vuoto, proprio come il mio cuore a cui l'amore della sua vita gli era stato strappato via troppo presto.

Feci un passo avanti, la punta del piede era senza un appoggio.

Abbassai il viso, in mano tenevo un mazzo di fiori di lavanda, di un viola intenso e un profumo buono come pochi.

Una lacrima scese lungo il viso, raggiungendo le altre cadute sul pavimento sporco della metro.

Sentivo il rumore delle ruote del treno stridere sui binari; sarebbe arrivato tra poco, tra una frazione di secondo e io mi sentivo pronto ad abbandonare tutto per raggiungerla.

Forse avevo aspettato troppo per farlo.

Quei dieci anni senza di lei erano stati duri, infiniti.

Era passato un decennio, un anniversario che mai mi sarei dimenticato, anche se desideravo farlo.

Mancava un passo, solo uno e tutto il dolore che il tempo aveva guarito parzialmente si sarebbe placato per sempre.

Solo uno.

Portai la gamba destra in avanti, pronto a cadere e non fare più ritorno.

Lasciai il peso morto e andai in avanti.

Tuttavia una presa ferrea sul braccio mi trascinò via, facendomi cadere sul terreno freddo e umidiccio.

«Amico ma che diavolo fai?».

Sbattei le palpebre ripetute volte prima di osservare l'uomo che mi aveva "apparentemente" salvato la vita.

«Tutto bene? Sembri fatto, fammi chiamare la sicurezza».

Non lo ero.

Non avevo mai provato a drogarmi e non l'avrei mai fatto.

Evidentemente avevo le pupille così dilatate e occhi gonfi da sembrare un drogato.

La colpa era solo del dolore e del pianto che non aveva ancora cessato di smettere da quella mattina.

Quando mi ripresi dai miei pensieri mi divincolai dall'uomo che ancora mi teneva fermo.

«Non sono fatto, ho solo il cuore frantumato», bofonchiai.

Dal mio alito uscì un odore di alcool abbastanza forte da far contorcere anche me stesso.

Forse avevo bevuto qualche goccio, ma per qualche caso non mi ricordai se l'avessi fatto effettivamente.

Raccolsi da terra i fiori; qualche gambo si era spezzato facendolo piegare all'infuori.

Sospirai coprendomi il volto con il cappuccio della felpa nera che indossavo.

Sentivo gli occhi delle persone su di me, così come le fotocamere che avevano ripreso ogni singolo istante del mio tentato suicidio.

«Fanculo», borbottai percorrendo a lunghe falcate le scale che portavano in superficie.

Sarei andato a piedi.

Il cielo era grigio e la neve scendeva calma sulla città, faceva freddo e non mi ero portato nulla per coprirmi. Poco importava.

La mano che teneva il mazzo, era completamente congelata per via delle basse temperature.

Con passo svelto arrivai davanti al cancello di ferro battuto del cimitero.

Quest'ultimo era chiuso con un lucchetto, l'orario di apertura era finito una decina di minuti prima del mio arrivo.

Decisi quindi di scavalcare la ringhiera di fianco. Un gioco da ragazzi.

Quando fui dentro mi incamminai lentamente verso la fine del terreno. Più mi avvicinavo e più sentivo il cuore battere per lei.

Il buio stava prevalendo sulla luce del giorno.

Davanti alla sua tomba mi sedetti, non m'importava dei pantaloni bagnati e del terriccio ghiacciato al di sopra della sua bara, mi bastava stare vicino a lei per sentirmi più caldo e vivo.

Proprio come il mio corpo, anche il mio cuore si risvegliò, facendomi sorridere e allo stesso tempo piangere nel vedere quanto fosse bella in quella foto corniciata e lucida.

La pulii appena dalla neve che si era accumulata sopra di essa.

Il suo splendido sorriso era la cosa che mi mancava di più, subito dopo la sua dolce voce quando mi chiamava Barbie terminator.

Pagherei oro per sentirmi chiamare così almeno un'altra volta ancora da lei.

«Sono passati dieci anni da quando non ci sei più. Sono volati ma allo stesso tempo sono stati infiniti. I Secondi sembravano minuti, i minuti ore e le ore giorni.»

La voce iniziò a tremarmi. Non ero stato abbastanza forte per superare il lutto, quest'ultimo era ancora con me e non mi lasciava andare.

«Mi manchi, piccolo cerbiatto. Senza di te la vita è nera, priva di colori e felicità.»

Posai le labbra sulla sua foto fredda lasciando un lieve bacio.

Avrei voluto raggiungerla, eppure quando ci provavo qualcosa mi frenava o era qualcuno che mi bloccava, come pochi minuti prima.

«Ragazzo che ci fai qui? Fa freddo ed è tardi.»

Una mano si posò sulla mia spalla.

Non era la prima volta che il prete di quella chiesa mi trovava lì a quell'ora, ci aveva fatto l'abitudine.

A detta sua gli andava anche bene, fin quando non avrei fatto qualche pasticcio.

In quei diedi anni non era mai successo, non avrei permesso a nessuno di allontanarmi da lei ancora una volta.

Oh piccola Angel, se solo sapessi...

«Figliolo morirai di freddo, tieni questi. Sai ti ho visto scavalcare la recinzione un'oretta fa. Mi aspettavo di vederti prima».

Non risposi prendendo le due coperte e il pacco di patatine.

Feci un cenno con il capo per ringraziare.

«Non sei nemmeno venuto alla messa in sua memoria», mormorò.

In mano teneva un rosario dorato, con qualche caratteristica in legno chiaro.

«Sono stato impegnato», risposi. In realtà ero a crogiolarmi nel dolore. Ma non lo dissi.

«Kevin ora dov'è?»

«A casa, domani lo porterò di nuovo nel suo college», risposi.

«Sei ubriaco fradicio e pensi di poter guidare fino in Vermont per cinque ore», la sua non era una domanda ma un'affermazione.

«Ora di domani mi passerà tutto, avrò solo una lieve sbronza».

«Come dici tu.»

«In caso chiederò ad Adam di accompagnarmi».

«Ora si può ragionare. Ti lascio solo, nel mentre farò qualche preghiera per la tua Angel».

Detto ciò se ne andò.

Qualche minuto dopo il cellullare squillò, lo presi dalla tasca della felpa e lessi il messaggio appena arrivato:

Era Kevin che mi chiedeva dove fossi e se stessi bene.

Decisi che si era fatto tardi e anche se non avessi voluto andarmene ero ugualmente obbligato a farlo.

Lasciai la lavanda sotto la sua foto e dopo un ultimo bacio lasciai il cimitero diretto verso casa.

La neve che cadeva raffreddava i miei pensieri oscuri e il cuore scaldava i bei ricordi facendomi tenere in vita per ricordala. Per ricordare quello che eravamo stati. Per ricordare il nostro amore.

Per ricordare noi.

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⏰ Ultimo aggiornamento: 20 hours ago ⏰

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