Tic, tic, tic.

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Sabato.

Tic, tic, tic, tic.

Le gocce di pioggia picchiettavano incessantemente contro il vetro, mentre Remus, assorto nei suoi pensieri, fumava lentamente la sua sigaretta. Il fumo si librava nell'aria, salendo verso il soffitto, per poi dissolversi nell'oscurità della stanza. Quando il momento di spegnerla giunse, lo fece sul davanzale della finestra, ormai già ricoperto da un tappeto di cenere. Il temporale imperversava in città fin dalla mattina, e al telegiornale avevano avvertito che le condizioni sarebbero addirittura peggiorate durante la notte. La gente ne parlava da giorni, e così quella sera, nonostante fosse sabato, non c'era anima viva in strada. I bar e i negozi erano chiusi, tutto sembrava deserto, come se il mondo intero avesse deciso di rifugiarsi in un posto sicuro. O, almeno, così sarebbe dovuto essere.

Era passato mezz'ora da quando, dopo aver cenato con un mezzo tramezzino, Remus si era distratto a guardare fuori dalla finestra della sua cucina e aveva notato l'ombra di un ragazzo alla fermata dell'autobus.

Oggi gli autobus non passano.

Decise quindi di accendersi un'altra sigaretta, continuando a osservare, incuriosito.

La terza sigaretta era ormai finita, e il ragazzo era ancora lì. Bagnato fradicio dalla testa ai piedi, con un piccolo zaino che stringeva nella mano. Remus non riusciva a distinguerne bene i lineamenti, e la pioggia di certo non aiutava. Il buio era quasi totale, interrotto solo dalla flebile luce di un lampione e dai fulmini che illuminavano sporadicamente il cielo.

Remus decise di prendere l'ombrello, appoggiato vicino alla porta di ingresso. Era vecchio e quasi rotto, ma finché svolgeva il suo compito, non c'era motivo di sostituirlo. L'appartamento si trovava al primo piano di un palazzo in rovina. L'affitto era modesto e, a parte lui e il suo padrone di casa, Will, che viveva al piano superiore, nessun altro risiedeva nell'intero edificio. Il silenzio era impagabile.

Scese l'unica rampa di scale che separava il suo pianerottolo dal portone arrugginito. Lo aprì e si trovò di fronte il ragazzo, ancora lì.

Tenendo l'ombrello sopra la testa, Remus attraversò la strada con falcate veloci, cercando di evitare le pozzanghere e il fango che coprivano il marciapiede. Il ragazzo si voltò immediatamente verso di lui mostrando il suo volto, mentre la pioggia continuava a cadere copiosa sulle sulle guance, facendo sembrare come se stesse piangendo. Lo fissava con curiosità, mentre Remus, senza proferire parola, lo osservava a sua volta, con la bocca leggermente aperta.

Gli occhi del ragazzo furono la prima cosa che colpirono Remus, grigi come il cielo in quella notte tempestosa, di una bellezza mozzafiato. Poi notò le sue labbra rosse e bagnate.

Ho già visto quegli occhi.

Il ragazzo sorrise amichevolmente, facendo un cenno all'ombrello che Remus teneva in mano. "Lo condividiamo?"

Una settimana dopo.

"Già una settimana che lo cercano a sto qua." Brontolò Will, scuotendo la testa come un cane infastidito. "E io che non faccio altro che trovare sti maledetti volantini a ogni angolo!" Strappò con rabbia l'ennesimo foglio appeso vicino al portone, come se quel piccolo pezzo di carta gli avesse davvero fatto un torto. "Se si sparge la voce che qua la gente sparisce, che pensi? Nessuno vorrà più venire a vivere in sto buco di quartiere! E io di che devo campare? Questi volantini non fanno proprio una bella figura, eh?" sbottò, agitando il pugno in aria. "E se vanno male gli affari, ti dico, finiamo a dormire sotto un ponte, tu e io, capito?"

Remus, appoggiato al muro, fumava la sua prima sigaretta della giornata, attendendo l'autobus che non arrivava. Un sabato come tanti, ma senza pioggia questa volta. Al bar sarebbe stata una giornata lunga. Una sigaretta per placare lo stress prima del lavoro era necessaria

Non accettare caramelle dagli sconosciuti.Where stories live. Discover now