Sento la sveglia che suona.
Uno, due, tre squilli. Una pausa. Uno, due, tre squilli. Mia madre mi chiama dalla cucina, probabilmente per rifilarmi i soliti pancakes surgelati accompagnati da una delle sue frasi fatte sull'inizio di una nuova, fantastica, felice giornata.
Come se non bastasse, oggi ricomincia anche la scuola. Evviva. Non vedo l'ora di passare la giornata tra idioti con il cervello mezzo vuoto e mezzo imbottito di segatura e dalle loro piccole oche giulive da compagnia.
Finalmente, dopo la decima o dodicesima sequenza di trilli della sveglia mi decido ad alzarmi e mi sposto, ancora barcollante di sonno, in bagno.
Ed ecco, in uno specchio tanto vecchio da poter anche essere appartenuto all'Alice di Lewis Carrol, quel volto magro e appuntito, che mette in dubbio l'inesistenza delle fate; quella pelle talmente pallida da ricordare i marmi dei fregi barocchi; quei capelli, ora turchese pastello, tinti talmente tante volte da aver cancellato dai ricordi il colore originale. Quegli occhi, grandi e neri come pozze di petrolio.
Odio quella figura.
Finisco di prepararmi mentre, come avevo previsto, mi sorbisco un paio di dischi spugnosi conditi, in via del tutto eccezionale, con un ricciolo di panna spray e qualche fragola acerba, mentre mia madre annuncia gioiosamente l'ennesima frasetta da biglietto d'auguri di terza classe. Ottimista e piena di vita per entrambi, come sempre. E così inguaribilmente fiduciosa in me.
La saluto con un veloce abbraccio ed esco dal piccolo cimelio di qualche secolo fa che è la nostra casa. Dopotutto, avendo un negozio di antiquariato da generazioni, è inevitabile. Com'è inevitabile che passerò la mia intera esistenza curando polverosi candelieri art deco e vecchie cassapanche scrostate, come mia madre e suo padre prima di lei e suo nonno prima ancora.
A volte mi chiedo a che serva andare a scuola, quando il mio filo rosso del destino è già stato accuratamente intrecciato in una monotona fila di nodi che si susseguono l'un l'altro.
Mi siedo sul bordo del marciapiede ad aspettare lo storico pullman giallo di Hazel Hills, che accompagna generazioni di studenti a quell'anticamera d'inferno che è, come recita il cartello in plastica, ormai sbiadito, l'Istituto Nazionale di Studi Superiori Thomas Alva Edison. Un vero spreco, intitolare un paio di cubi di cemento prefabbricato ad un personaggio di tale importanza.
Mentre continuo queste riflessioni, vedo l'autobus spuntare dall'incrocio in fondo alla via, e mi preparo al primo di 200 e più giorni di tortura.
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Starry Nights
RandomJade Lancaster Jr. Un nome anonimo, come tanti, che appartiene ad un ragazzo anonimo come tanti. Ma cosa succede quando un ragazzo anonimo entra improvvisamente in contatto con un mozzafiato cambio di programma, di nome Alexander Wound? Porterà luce...