Erano passati ormai diversi anni dalla fine della Seconda Grande Guerra Magica svolta a Hogwarts e il mondo magico si stava rialzando a fatica dalla cenere in cui Voldemort l'aveva gettata.
Si poteva sentire ancora il dolore delle perdite e il sangue fresco tra le rovine del castello. I lamenti dei feriti era ancora nelle orecchie di molti, come un fastidioso ronzio continuo. Se si scrutava bene il terreno si potevano quasi vedere i fiumiciattoli creati dalle lacrime dei sopravvissuti.
Molti di essi erano andati avanti, si erano rialzati in piedi smettendo di stare in ginocchio. Giorno dopo giorno, ora dopo ora cercano di ricrearsi una vita normale. Per loro, per le loro famiglie e per i loro figli.
E poi vi era lui. Lui che non riusciva più a rialzarsi. Lui che era rimasto indietro, come sempre. Lui che fissava le macerie di Hogwarts mentre i suoi occhi chiari erano velati di lacrime che gli offuscavano la vista. Il cuore si fermò per qualche secondo mentre tutte le voci dei morti lo aggredivano, lo incolpavano, lo reclamavano.
Quelle voci che spesso lo torturavano la notte e che l'avevano fatto diventare lo zombie di se stesso. Neanche l'ombra, perché un ombra continua a essere padrona del suo corpo. Lo zombie invece si trascinava in giro senza sapere più nulla. Da tante settimane non si radeva, da troppi giorni non mangiava. Aveva perso persino i suoi migliori amici, l'unica parte di famiglia che gli rimaneva.
Ormai le sue guance erano scavate, e sulla sua pelle vi erano i segni di lunghe notti insonni e pianti ininterrotti. Aveva scelto di diventare auror e ci era riuscito. Più per sprono che per altro. Aveva scelto di combattere contro i Mangiamorte rimasti e lo faceva. Combatteva. Ma non era più come prima. Niente era come prima. E mai più lo sarebbe stato. L'appartamento in cui si trovava lo rappresentava in modo perfetto. Non vi era neanche un mobile come dentro di lui non si mischiavano più quella serie di emozioni che per anni avevano colorato la sua vita.
Le pareti erano di un grigio spento, così come il mondo appariva ai suoi occhi ormai perennemente velati.
L'ambiente era umido affatto ospitale, come lo era lui.
Niente li avrebbe riportati in vita. Niente avrebbe impedito al giovane uomo di autodistruggersi. Niente gli avrebbe proibito di sprofondare nelle tenebre di quella casa. Niente lo avrebbe sollevato, lui era caduto di nuovo ma questa volta non c'erano mani gentili pronte ad aiutarlo, non c'erano parole dolci o di incoraggiamento per lui. Era rimasto solo.
Con un debole pop scomparve lasciando dietro di se tre gocce di acqua salata. Tre piccolissime parti di se stesso ora ferme sul legno di quella casa in tre direzioni diverse.
Non fece in tempo ad accorgersene che era di nuovo in ginocchio. Ma sta volta era sull'erba umida e fresca. Erba di Primavera.
Cos'era la Primavera? Lui non se lo ricordava. Non riusciva a ricordare quella stagione così leggera e armoniosa.
Non c'era bisogno per lui di toccare quella grande pietra. Sapeva benissimo dov'era. Ormai sul terreno si erano formati due piccoli buchi per le sue ginocchia che diventavano sempre più magre.
I suoi occhi chiari non fecero alcun movimento. Non riusciva più nemmeno ad aprire le labbra sottili e bianche. Anche esse avevano perso tutto il loro colore.
La maglietta bianca che portava si stava macchiando di verde e di fango mentre allegri bambini gli correvano intorno ridendo e giocando mentre i genitori salutavano i loro parenti. Anche lui era venuto per salutare. O per unirsi alla sua famiglia?
Con un lento gesto estrasse una Rosa. Ma non una Rosa qualsiasi. Era una rosa rossa dalle screziature bianche. Non si era mai vista una rosa così- Era un esemplare rarissimo che un suo vecchio amico gli aveva regalato quando ancora riusciva ad avere qualche rapporto umano. Con tutta la referenza di questo mondo la poggiò sulla lapide, proprio sotto ai noi che riportava.
Sembrava volerla innaffiare con il proprio cuore che al momento si era tramutato nelle lacrime che gli scendevano lungo gli zigomi, le guance, il mento e poi giù fino alle sue mani, sul terreno o su i jeans scuri.
Un singhiozzo gli scosse il petto. Il giovane si appoggiò con la fronte alla lapide infischiandosi di tutto e tutti e cominciò a piangere come un bambino. In fondo era questa la sua vera natura. Un bambino costretto a crescere fin troppo in fretta. Un bambino bisognoso della famiglia. Un bambino solo e impaurito nel corpo di un uomo distrutto.
Il sole stava quasi calando quando lui sentì qualcosa di caldo e confortante abbracciarlo. Aveva un profumo molto dolce e leggiadro. Il profumo di un giglio.
Ma non era un abbraccio normale. Lo sentiva da dentro. Dalla spalla gli si irradiava in tutto il corpo fino al cuore che dopo quelli che gli sembravano decenni tornò a battere caloroso come quando era un ragazzo. Lui si ricordava di quel profumo. Lo sentiva nei momenti più difficili. Sapeva che in realtà non c'era nessuno che gli toccava la spalla e sapeva benissimo che se si sarebbe girato la magia si sarebbe spezzata.
Rimase immobile e quella che pareva una pallida imitazione di un sorriso affiorò sulle sue labbra di nuovo rosee. I suoi occhi continuarono a rimanere chiusi ma stavolta dalle sue lunghe ciglia nere non scesero lacrime di dolore, tristezza o sconforto. Erano lacrime di amore e di gioia. Lui sapeva che Lei era lì. Colei che avrebbe tanto voluto abbracciare, colei che sentiva la sua voce nei sogni che gli raccontava delle storielle buffe e tanto dolci. Colei che ora giaceva sotto di Lui insieme al marito ma che con Lui erano di nuovo li. Ed ecco l'altro odore che conosceva tanto bene.
Il Muschio. Un altro odore che gli infondeva coraggio. Quello che per gli altri erano le due mani forti che ti afferravano prima che cadessi. E il muschio apparteneva a Lui. Lui doveva insegnarti tutto ciò che hai imparato da solo o grazie ai tuoi (ex?) amici. Lui doveva parlarti di tante cose ma è solo riuscito a parlarti di dentini e vocine buffe. Il Muschio però non ea mai solo.
Tabacco e Nebbia. Due odori che l'uomo aveva conosciuto, braccia che l'avevano accolto, sguardi che l'avevano sostenuto, parole che l'avevano incoraggiato.
Loro erano di nuovo lì con lui.
Ora però la sentiva davvero una dolce stretta intorno alla spalla e un nuovo odore si mescolava agli altri. Non era un odore invasivo. Sembrava quasi li raccogliesse in se. L'amore del Giglio, la forza del Muschio, il coraggio del Tabacco e il mistero della Nebbia. E a questi se ne univa un altro. L'odore di Vaniglia. E l'uomo amava la vaniglia.
La presa sulla spalla si allontanò prima che due esili braccia gli circondassero il petto magro e una guancia morbida gli si posasse sulla schiena mentre i capelli gli coprivano l'altra metà di schiena. L'uomo sorrise ingenuamente nel sentire qualcosa di umido scorrere lungo la schiena.
-Piangi?- la sua voce era roca e la gola gli doleva.
-No, lascio il mio cuore parlare- la sua voce era una melodia per le sue orecchie.
-Mi odi?- domandò ancora aprendo gli occhi chiari e il velo sembrò dissolversi lentamente.
-Ti amo- rispose la voce in un tremito.
-e loro?-
-ti aspettano- rispose ancora accentuando al stretta. Lui le posa una mano gelata su quelle calde e morbide di lei.
-Quando me ne sono andato?- domandò ancora beandosi di quel contatto che di secondo in secondo lo stava facendo rinsavire.
-Anni fa- rispose Lei con la voce rotta.
-Ma ero sempre qui- rispose lui e il velo se ne andò lasciando il posto a un sottilissimo strato di lacrime che gli rendevano gli occhi lucidi.
-No, eri là con loro. Ora sei ritornato- rispose Lei con voce dolce.
-Ginny- finalmente i sui occhi furono liberi e la vista gli tornò nitida dopo troppo tempo.
-Mi sei mancato Harry. Ben tornato-.
Si era tornato. Si era rialzato e per farlo aveva dovuto toccare il fondo ma ora era in piedi, tra le braccia della sua Ginny e Lui giurò.
In quel momento fece un giuramento che se lo portò dietro fino alla fine dei suoi giorni.
Davanti alla tomba in memoria dei Malandrini e di Lily Potter, Harry James Potter giurò solennemente di vivere come loro avrebbero voluto. Felice ed amato con la sua Ginevra.-Hai visto Lily?-
-Si ho visto James-
-Ora è felice-
-Si è felice Sirius-
-Si ricorderà sempre di noi, è solo andato avanti-
-Hai ragione Remus-
-Gli saremo sempre accanto-
-Sempre-
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FanfictionIl sole stava quasi calando quando lui sentì qualcosa di caldo e confortante abbracciarlo. Aveva un profumo molto dolce e leggiadro. Il profumo di un giglio. Lui si ricordava di quel profumo. Lo sentiva nei momenti più difficili. Sapeva che in realt...