Non so come Jake mi raggiunse, io faticavo a muovermi con la botta che avevo preso, lui invece mi arrivò accanto: "Perdonami Carol, ti prego perdonami! Non sono riuscito a capirlo... L'altra volta ero stato più attento... Mi dispiace... ".
Io lo guardavo senza capire, penso che con quell'ultima frase si riferisse a qualcosa successo in passato, ma io non potevo capire, per quanto lo desiderassi ardentemente.
Gli presi una mano fra le mie e la strinsi, era il massimo che riuscivo a fare, " Non è stata colpa tua... Davvero... Mi hai sempre aiutata... Supereremo anche questo... Insieme".
Era come se fosse il mio cuore a parlare e la mia bocca fungesse solo da connettore, Jake mi guardò gli occhi lucidi e le guance umide, stava piangendo.
La mia attenzione fu distolta dai suoi occhi solo al sentire un urlo disperato, un urlo di un ragazzo, un straziante.
La luce che si era sprigionata prima da quella orrenda bestia si stava spegnendo pian piano e al posto di quest'ultima c'era un ragazzo, alto muscoloso, sudato, che si teneva la testa urlando di dolore e imprecando contro se stesso.
Il mio primo istinto fu quello di andare ad aiutarlo, anzi mi stavo quasi spingendo verso di lui, ma Jake mi strinse la mano più forte, per farmi capire che non dovevo muovermi.
La luce si spense del tutto, il ragazzo ansimava, lo guardai meglio, il suo viso, le sue lacrime, il suo corpo, li conoscevo benissimo, non ricordavo perché, ma sapevo perfettamente chi era, lo sapevo nel più profondo del mio cuore.
In quel momento dimenticati che lui era la stessa bestia che aveva cercato di uccidermi e che se non fosse comparso quel lampo l'avrebbe fatto senza nessun problema, strattonai la mano da Jake e mi trascinai da lui stando in piedi a malapena.
Appena lui alzò il viso ebbi un tuffo al cuore, un tremendo dolore alla schiena, dovuto al volo che mi aveva fatto fare mi fece girare la testa, caddi all'indietro, chiusi gli occhi, e una scena cominciò a farsi strada nella mia mente:
"Ero in una piccola stanzetta, sembrava un ripostiglio delle scope, eravamo salpati da circa due giorni, il ragazzo si era appiattito sulla parete ed era sull'orlo del pianto.
"Tu non dovresti stare qui con me Carol, dovresti stare lontano da me, scappare, fuggire, io non sono buono, sono io il cattivo e tu lo sai meglio di chiunque altro!", "Non è vero, tu hai un potere che nessun altro ha... Tu sai cosa vuol dire amare, cosa vuol dire sacrificarsi per qualcuno... Tu non sei in grado di uccidere, sei il mio migliore amico, non ti permetterò di ucciderti, solo perché hai scoperto di essere un mostro, tu sei sempre lo stesso Nick.".
Lui mi guardava, le lacrime gli rigavano il viso, "Tu non sai cosa vuol dire rimanermi accanto...".
"Lo so, ci sono dentro fino al collo anche io, questa è una cosa che va oltre alla nostra amicizia, siamo saliti su questa nave per poterci nascondere, ma io penso che sia ora di mettere fine a questa cosa! Insieme.".
Aprii gli occhi, ero di nuovo sdraiata sul letto, non capivo esattamente cosa avessi visto nel mio sogno, ma ricordai in un attimo cosa era successo prima che svenissi, mi misi a sedere, Jake era seduto su una sedia di fianco al letto, dormiva, aveva una ferita sul braccio che aveva tutta l'aria di essere molto grave, fasciata maldestramente.
Per la prima volta lo osservai: aveva almeno tre anni più di me, era muscoloso, aveva i capelli di un biondo tendente al dorato, sulla spalla c'era una piccola stella nera con un pugnale conficcato dentro, alla vista di quel tatuaggio mi guardai istintivamente la spalla: avevo tatuata, una luna nera con una serpe attorcigliata sopra, non sapevo cosa volesse dire quindi feci finta di niente e mi concentrai di nuovo sulla ferita di Jake, prima sembrava molto più grave, si stava rimarginando velocemente, troppo velocemente per i miei gusti.
In quel momento lui si svegliò di soprassalto, appena si accorse che lo stavo fissando, o penso appena si accorse che ero sveglia, o meglio che ero viva, si gettò verso di me abbracciandomi.
"Perdonami... Pensavo che qui per un po' di tempo saremmo stati da soli al sicuro, in modo che tu potessi ricordare tranquillamente la tua vita e assimilarla... Ma a quanto pare non sono stato in grado di... Perdonami!" mi disse, mentre mi accarezzava i capelli, sentivo le sue lacrime sulla spalla.
I miei occhi bruciavano, le lacrime insistevano, volevano scendere, e stavolta smisi di opporre resistenza, sentii due gocce calde rigarmi le guance, poi feci un respiro profondo, "Tu mi hai praticamente salvato la vita, mi hai portato fino a qui, io non so cosa sia successo prima di questo incidente, ma di una cosa sono sicura che non ho bisogno di ricordare, perché è una cosa che sento dentro, nel profondo del mio cuore... Tu non stai sbagliando niente, quello che è successo non è colpa tua, non abbiamo deciso noi di finire su quest'isola, è successo, non dirmi queste cose, perché non hai niente da rimproverarti!", respiravo a fatica.
Lui si staccò da me, mi sfiorò la spalla, e poi il polso, che solo allora mi accorsi che stavano sanguinando, "Tu non sai come stanno veramente le cose, se prima cominciavi a capire qualcosa, ora sei più in pericolo e vulnerabile di quanto non sei mai stata...".
Tolsi velocemente il polso dalla sua mano. "Senti io non mi ricordo niente, ok? Ma una cosa la so, quell'animale, quella bestia che mi ha attaccato non sarebbe mai arrivata ad uccidermi...", Jake aprì la bocca per rispondermi, ma qualcuno lo fece prima di lui.
"Non esserne così sicura Carol, non sono mai riuscito a fermarmi prima d'ora, ed è un caso che io ce l'abbia fatta... ti prego scusami...". Mi girai, e fissai per la prima dal vivo quel ragazzo, alto con i capelli biondi sempre tendenti al dorato, era molto simile a Jake, tranne per un particolare gli occhi, occhi profondi e seducenti, occhi marroni, contornati d'oro, gli stessi occhi famelici che mi avevano fissato poco tempo prima, gli stessi occhi che esprimevano la stessa sofferenza e infelicità di prima, ma con un accenno di amore, di sollievo nel vedere che i suoi sentimenti avevano sopraffatto il suo istinto omicida.
Io dissi una sola parola: "Nick!", ma lo pronunciai con un accenno di disperazione.