Il chiarore della luna illuminava la grande camera, altrimenti divorata e cullata dalle tenebre, rischiarando anche gli angoli più bui. I raggi di luce superavano la finestra aperta, fino a coccolare i piedi nudi di Cora, che non ne voleva sapere di dormire.
Sdraiata, continuava ad illudere il sonno massaggiandosi il ventre che da tutto il giorno si induriva sotto un tocco inesperto.
Pensò inevitabilmente a quando lo sentì scalciare contro la sua pancia per la prima volta. Quando associò quella sensazione a qualcosa di nuovo, indescrivibile, ma straordinariamente familiare. Come se l'avesse già sperimentata in passato.
Eppure, appunto, era la sua prima volta.
Il bambino, Cora era certa fosse un maschio, non restava fermo un attimo e percepiva come sua, l'agitazione, quasi euforica, della mamma continuando a ballare sulla sua vescica, a scalciare e a dimenarsi.
Però, il perché fosse così turbata era sconosciuto persino a lei.
Una sorta di ignoto presentimento si era impossessato del suo corpo e specialmente del suo stomaco, portandolo a contorcersi, quasi come un secondo bambino.
Un gemito sfuggì dalle sue labbra quando un pugnetto, più forte del solito, l'aveva colpita improvvisamente appena al disotto dell'ombelico.
«Ti senti bene?» sussurrò fiaccamente l'uomo coricato accanto a Cora.
«No, ma non preoccupatevi. Tornate pure a dormire oppure, già che ci siete, andate a riscaldarvi del letto di qualche vostra puttana!» sbottò irritata, in risposta.
Era difficile vederlo in volto, buio com'era, ma Cora avrebbe potuto giurare di aver visto i suoi occhi azzurri assottigliarsi, e le sue labbra piegarsi in ghigno irato.
«Non provocarmi, Cora.» sibilò a denti stretti.
Lei non replicò e, senza guardalo, si scostò fino ad arrivare al bordo del letto. Chiuse gli occhi, e cercò con tutte le forze di addormentarsi.
Invano.
Non lo aveva nemmeno notato avvicinarsi quando, rapido come il vento, aveva mosso il viso nell'incavo del collo della sposa, odorando il fresco e delicato profumo di cedrina.
Cora, che inizialmente era rimasta impassibile, trasalì al contatto delle labbra ardenti di lui sulla sua pelle.
«Cosa devo fare con te?» le mormorò in tono rassegnato, scostandole una ciocca nera via dall'orecchio.
Lei si morse il labbro, rabbrividendo.
«William...» borbottò stringendo le labbra, mentre lui continuava la sua lenta tortura, fino a raggiungere la mandibola della donna. Cora mosse istintivamente il braccio, per tentare di allontanarlo, senza ottenere alcun risultato. Lo sposo l'aveva bloccata con fin troppa facilità, come aveva già fatto in precedenza e, prima del previsto, arrivò alle sue labbra. A quel punto il bacio fu inevitabile. Come fu inevitabile lo scaturirsi di sensazioni contrastanti all'interno di Cora.
Bloccò l'ascesa della sua lingua, nella sua bocca, serrando ancora una volta i denti, cercando di non percepire la morbidezza e l'ardore di quelle labbra tanto agognate in passato. In ogni suo movimento erano celati passione e veemenza, ma non era né il momento, né la situazione adatta.
La sua mente aveva dichiarato una sentenza precisa, ma il suo corpo sembrava non risponderle: aveva una volontà propria.
Fuggita dalla presa di William con entrambe le mani, gli aveva afferrato il collo, avvicinandolo addirittura a sé. Aveva preso ad accarezzargli i capelli, mentre il bacio era mutato in qualcosa di più profondo, di più intimo.
Ormai schiava di quel noto piacere, con difficoltà riuscì a scostare le braccia, da William allo strapunto freddo, rispetto a quest'ultimo. Tentò di fingersi distaccata, certa che lui avrebbe notato la sua indifferenza ai baci e alle carezze. Lottando per trattenere l'ennesimo gemito, Cora non fece a meno di provare un immenso ribrezzo nei confronti di se stessa e del suo corpo, che l'aveva tradita più volte.
«Vi prego, spostatevi e torniate a dormire.» dichiarò chiaramente, sciogliendo quel bacio.
William, stupefatto da quell'affermazione, alzò lo sguardo su di lei e per la prima volta, dopo tanto tempo, si contemplarono, guardandosi così intensamente e così a lungo che a Cora parve un'eternità.
A troncare quel legame fu lei che, tossendo in modo sbrigativo, portò William a riprendere il controllo di se stesso. Dopodiché si scostò, e prima di tornare nel suo lato del letto, le accarezzò lievemente la pancia.
«Chiamami se ti serve qualcosa. »
«Contate sul fatto che non lo farò. Non vi disturberò, a meno che non ci sarà da chiamare la levatrice.» concluse lei, acidamente, sistemandosi meglio.
Da quel momento in poi non osò più muoversi, e rimase immobile.
Un peso le stava schiacciando il petto, o meglio, il cuore. Si vergognava. Aveva chiaramente dimostrato di essere debole, di sottomettersi facilmente a due semplici carezze. Le sembrava di annegare e di non riuscire a tornare più in superficie, come quella volta che sbadatamente, sporgendosi un po' troppo dal ponticello, cadde nel torrente vicino la tenuta dei suoi genitori. Non era un gran che alto, ora come ora, le sarebbe arrivato alle spalle ma, prima, quando era molto piccola, rischiò di morire davvero. Spingendosi sia con le braccia che con le gambe, tentò disperatamente di tornare a galla, ma le risultò troppo difficile e troppo faticoso. Poi, quando, una vocina le sussurrò: Va bene così, cessò di combattere e sprofondò. Sempre più giù. Fino a perdere i sensi.
Fu solamente per merito di suo padre, che riuscì a salvarsi.
Suo padre.
Grazie al suo ricordo, quelle emozioni vennero soffocate, fino a che non si addormentò, cullata dalla più leggera delle brezze.
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Piccole Stelle - One Shot
ChickLitLibro che partecipa al concorso di @_Angel_Blue_ , nella categoria ''One Shot''