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Quella notte non riuscii a chiudere occhio quasi per niente, forse perché l'idea di essere riusciti a risolvere il caso dell'assassinio commesso da Peter Johnson mi eccitava. Ricordo ancora oggi il suo volto, mentre entrava nella volante della polizia di Londra, ricoperto dai flash delle macchine fotografiche dei soliti giornalisti, due o tre del London Daily, qualcun altro del News Time e altri di riviste o quotidiani non molto importanti.
Appena l'auto sfrecciò via sulla strada bagnata dalla pioggerellina invernale londinese, la massa di prosciuga notizie -così li chiamo io- mi accerchiò e cominciò a pormi domande su domande, alle quali il sottoscritto rispondeva ripetutamente con un semplice "No Comment" oppure "Non sono in vena di parlare".
Sul tardi, io e il mio collega Dave ci recammo da Pete's, un piccolo pub non molto conosciuto, nella periferia di Londra, per discutere della nostra impresa, se così potrei definirla.
Sedemmo vicino al bancone e subito la cameriera ci si avvicinò: capelli scuri, raccolti in una coda, legati con un elastico, occhi castani, con una sottile linea di matita nera sulla punta delle palpebre. Aveva la pelle chiara, quasi cadaverica. Lo sguardo mi cadde sulle sue braccia: la manica della felpa grigia che indossava le copriva il braccio sinistro quasi completamente, mentre quello destro era scoperto fino all'altezza dell'avambraccio, dove vidi dei piccoli buchi. Pensai subito alla droga, quella nelle siringhe, ma decisi di non dirle nulla, solo perché non volevo crearmi altri problemi. Comunque non l'avevo mai vista ed era strano, dato che andavo molto spesso lì. "Magari è una nuova..." pensavo. Guardai per un attimo il mio collega, aveva una faccia molto serena, magari non aveva dato molta importanza al fatto, probabilmente nessuno l'avrebbe fatto, ma all'epoca ero ancora molto giovane, ero appena entrato nella squadra omicidi della polizia di Londra e, a causa del mio lavoro, avevo cominciato ad abituarmi a riflettere su tutto ciò che accadeva intorno a me; comunque ero sempre stato un tipo curioso e mi piaceva tanto ipotizzare.
"Volete ordinare qualcosa, agenti?" ci chiese.
Restai un attimo in silenzio, aspettando l'ordine di Dave, che non arrivò, allora decisi di parlare per primo: "Il solito, grazie..."
La ragazza mi guardò perplessa, io accennai una risata: "Una bionda alla spina e un pugno di noccioline" mi corressi.
"Fanne due di bionde" aggiunse Dave.
Lei scrisse velocemente sul suo taccuino e corse via, verso la cucina.
La serata passò molto in fretta e, tra le lunghe chiacchierate e qualche risata, le birre da due divennero quattro, poi sei, poi otto; fortunatamente Dave riuscì a contenersi, io no. Fu lui, infatti, a riaccompagnarmi al mio appartamento, nel centro di Londra.
La mattina mi svegliai sul divano, un po' intontito, il mal di testa che mi trapanava le tempie e la puzza di alcool che invadeva la stanza.
Dopo qualche tentativo, riuscii ad alzarmi, accesi una sigaretta. Non ebbi il tempo di stringerla tra le labbra, che il mio cellulare cominciò a vibrare sul tavolinetto di vetro, davanti al divano, provocando un orribile suono. Lo portai all'orecchio e con voce rauca risposi: "Pronto..."

CRIME SCENE ON THE 66 ROUTEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora