La mia infanzia è stata normale, per quanto lo possa essere quella di un bambino senza genitori.
Non ero rissoso o preso di mira: ero semplicemente invisibile. E mi stava bene, perché l'ultima cosa che volevo era essere notato. Finché ero solo con me stesso, del resto non m'importava.
Lo stesso è valso per le medie: amici ne avevo finché non si facevano notare troppo, allora me ne tornavo da solo, senza troppi problemi.
Il fatto è che di problemi non ne volevo. Mi bastavano i miei: gli infiniti complessi che mi facevo, le domande che mi ponevo sulla vita e sul perché dovevo esistere. Insomma: soffrivo già abbastanza per mettermi contro i "fighi" della scuola.
Non ho mai parlato molto di quello che sentivo. Più che altro scrivevo. Scrivevo dello strano desiderio che a volte mi prendeva guardando il fiume che scorreva sotto il ponte, di quel mal di vivere che mi portava ad arrampicarmi sulla ringhiera del ponte, come fossi stato in sonnambula, e trattenermi per un pelo dal lasciarmi cadere, con la corrente fredda che mi sferzava il volto.
Scrivevo della voglia che mi veniva di conficcarmi un coltello nel braccio ogni qualvolta mi arrabbiavo.
Scrivevo della mia silenziosa solitudine.
Scrivevo della musica, dell'arte, della fotografia. Le uniche cose di cui m'importava.
Scrivevo anche di quanto sembrassi impassibile e freddo, mentre dentro di me tutto era un trambusto.
Scrivevo della tristezza che mi portava a scrivere.Ero solo. E andava bene. Non c'era nessuna cura al mio stato d'animo, dunque me ne stavo per conto mio ed evitavo i rapporti profondi.
Tutto questo fino ad un anno fa.
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My name is Dan
Science FictionTutto è cominciato più o meno 17 anni fa, quando mia madre mi abbandonò davanti alla porta dell'orfanotrofio che è stato casa mia fino a circa un anno fa.