Capitolo 1

28 5 4
                                    

1
Ilja rientrava dalla caccia. Lui e Alesa si erano spinti fini al Bosco Occidentale, dove c'erano buone probabilità di catturare cervi e daini. Ne avevano presi due, un cervo e un daino, tutti e due maschi e adulti. Ilja aveva notato come i due si assomigliassero, come due parenti lontani, e come le corna assumevano ramificazioni diverse, contorte. Sommerso da questi pensieri e altri l'uomo varcò la Porta del Fiume accompagnato dal fido Alesa. La coppia era abbastanza comica. Immaginate di essere un carrettiere di Kij, la grande capitale del Principato, intento a procurarsi il sostentamento, urlando e proponendo la mercanzia, e di vedervi entrare dalla Porta vicino a cui lavorate due figuri. Il primo, alto e snello, aveva una chioma di capelli neri ribelli. Vestito rozzamente portava un imponente cervo morto a spalla. L'altro biondiccio e meno imponente, stava in groppa ad un asinello magro, che sembrava sul punto di sprofondare. A differenza del compare, il biondo portava vestiti più ornamentali. Venti minuti dopo i due, facendosi strada tra le viuzze della città, erano alle porte della Città Alta, protetta da un'ulteriore cinta di mura.
<Altolà> intimò una guardia al cancello.
<Dimitri, ci conosci da una vita, non fare domande inutili> esclamò il biondo.
La guardia rise <Arriverà il giorno in cui si spacceranno per voi due Alesa, la mia domanda è lecita. Vedo che avete un bel bottino eh. Su, cialtroni, passate>
<Bada a come parli> rispose Alesa, ma rideva.
I due sfilarono oltre le seconde mura e, dopo aver lasciato l'asino a un servo che gironzolava lì, presero la direzione verso la sala del trono, passando prima attraverso il cortile d'addestramento e poi salendo la Scala Orientale. Ad aspettarli c'erano i due Dobrynja, uno grosso e l'altro magro, Don, mastro della cacciagione, e il Principe, perennemente accompagnato dal Vescovo Folizio, quella tarma di santone del Dio Morto. Ilja si era fatto un'idea sull'uomo, per poco che fosse lì. Nei 33 anni in cui era stato fermo, aveva imparato a osservare le persone e scrutare dentro la loro anima, carpendo segreti anche dalla posizione o dall'espressione. Folizio gli sembrava un tipo ambiguo, difficile da definire, ma con uno spiccato senso del dovere e una precisione incomparabili, che celavano la brama di potere e l'integralismo che si annidavano dentro di lui.
<Eccovi, finalmente.> Fu il Principe Vlad a rompere la quiete dei pensieri di Ilja. Il Principe era un uomo gioviale e scherzoso, ma ligio al dovere quando veniva richiesto che fosse così. Ilja, da poco a corte, non aveva ancora capito bene tutta quella faccenda del dovere, della gerarchia e delle buone maniere che circondavano la Città Alta. Lui era un sempliciotto, cresciuto al chiuso e senza troppi contatti, allevato da dei contadini. Bisogna dire che si era posto anche alcune domande sul fatto di far bene a trovarsi lì, ma d'altronde non aveva di dove andare.
<Torniamo dalla caccia, Imperatore, come c'ha richiesto. Sono triste di dirle che abbiamo preso solo due cervi.> esordì.
<Mi permetterei, Vostra Altezza> s'intromise Folizio <di far notare al nostro..ehm..nobile cavaliere che ad un Principe con il "voi" e che mi pare più adeguato e cortese usare "spiacente" al posto di "triste". Noto poi, per quanto umile sia la mia conoscenza in fatto di selvaggina, che uno dei due non dia un Cervo, bensì un Daino.>
Ilja sbuffò piano e dovette resistere all'impulso di aggredire il sacerdote, tagliare la tunica bianca con un colpo di spada e strozzarlo con la catenella che portava al collo.
Alla fine, riuscì a formulare una risposta abbastanza cordiale <Mi scuso, Padre Folizio, ma cerchi di capire un uomo di campagna appena arrivato in una realtà aristocratica come questa.>
Folizio lo squadrò con i suoi occhi acquosi, cercando di capire se si stesse beffeggiando di lui.
<Oh, certamente mio cavaliere, soltanto cerchi di adattarsi il più presto possibile, o potrebbe..mmh, come posso dire..trovarsi sopraffatto da questa società nobiliare.
<Sono sicuro che imparerà. Possiamo procedere alla scelta delle carni ora?> A parlare fu Dobrynja, il Saggio però, zio del principe e suo consigliere. Con il pensiero Ilja lo benedisse.
Iniziarono a scrutare la carne da macello disposta su teli. Un qualsiasi forestiero avrebbe detto che il compito sarebbe spettato al cuoco, e che la scelta sarebbe dovuta essere fatta in un locale più consono, non nella sala del trono. Ma tradizione vuole che la carne per un banchetto deve essere scelta dal Principe stesso e deve essere scelta nel luogo dove sarà celebrato il banchetto. Per terra si trovava ogni animale, piccolo o grosso che fosse, che abitava nelle vicinanze. C'erano in totale 40 carcasse tra: cervi, orsi, cinghiali, conigli, daini, volpi, alcune pernici e alcune anatre, due o tre polletti belli grassi e persino un grosso lupo, cibo raro dato che i pochi lupi della regione erano molto cattivi e enormi, grandi come un'orso adulto. Vennero scelte le carcasse in migliori condizioni e si decise di servire 20 portate. Delle 40 carcasse ne vennero scelte 23, tenendo almeno un esemplare per specie, e Alesa venne incaricato di scortare e supervisionare i servi nelle cucine. Seppur riluttante, il cavaliere obbedì e si diresse insieme a 6 servi, muniti di carretti strapieni, verso le cucine del Palazzo.
<Bene, miei cari, vorrei aspettare anche Alesa ma mi urge comunicarvi alcune cose.> disse il Principe Vlad. Ilja aveva un profondo rispetto per il Principe, che gli sembrava un grande sovrano, e ora vedeva, negli occhi dello stesso uomo che aveva guidato battaglie cruente contro i Tatari senza mai scomporsi, la paura e l'incertezza. Il Principe scortò il gruppetto in una sala dietro il trono, dove li attendevano già seduti Gamajun, demone addetto al recupero di informazioni nel regno, e Ivan Zarevic, il temibile guerriero a comando dell'esercito del Principato
<Sedetevi> disse mostrando gli scranni intorno al grande tavolo delle riunioni <dobbiamo parlare chiaramente, e non credo che ciò che sto per dirvi vi piacerà, signori.>
===========================================================================
Ad Alesa non era mai piaciuto farsi comandare. Da piccolo, nel villaggio dove viveva, non era il più grosso, ma era il più furbo. Con la sua scaltrezza e le sue parole abbindolanti, riusciva a fregare anche Dojdorin, il grande bracciante dai modi duri ma dalla mente semplice.
<Guarda, Dojdorin, che le tue fragole non sono ancora mature.> diceva sempre quando era arrivato il periodo di raccolta di quei succosi frutti rossi.
<Vedi> continuava <non sono ancora rosse.> E mostrava all'omaccione una fragola, rossa e grande, perfettamente matura.
<Senti stronzetto, non cercare di fregare amme . Mi fragole sono rossi e succosi.> rispondeva minaccioso il bracciante, che parlava male come quasi tutti i contadini, poco istruiti.
<Proviamo a chiedere in giro> e lo portava per il paese. Sparsi a intervalli regolari c'erano i membri della sua banda. Lui faceva assaggiare le fragole a ognuno di loro. I ragazzi dovevano mentire difficilmente, estasiati dalla bontà dei frutti, ma dicevano tutti la stessa cosa:<Non sono ancora pronte, sono pallide e insapori.> Allorché l'uomo voleva provare anche lui. Allora, l'abile Alesa, gli rifilava una fragola acerba di Nikolay, un altro contadino meno fortunato di Dojdorin, le cui fragole erano perennemente acerbe. Nikolay giustificava il fatto dicendo che il terreno era maledetto dai demoni. E la cosa non era del tutto falsa. In ogni caso, Dojdorin, assaggiando la fragola acerba, si convinceva a sua volta. Alesa se ne andava col cesto pieno di fragole e il sorriso sul volto, senza che Dojdorin sospettasse nulla, e il giorno dopo lui e la sua banda ne avevano fatto indigestione. Questo è un esempio della scaltrezza di Alesa, ma il ragazzo se la sapeva cavare in molteplici modi. Comunque, era sempre stato soggetto a qualche autorità ovviamente: il maestro, suo padre, sua madre. Ma sapeva che poteva abbindolare facilmente anche loro e decidere lui stesso quello che voleva fare. Una volta che era arrivato a corte, però, anche se ricopriva una carica alta, era ovviamente costretto a seguire il volere del re o di cavalieri più esperti, anche se non gli piacevano tutti i compiti che era solito fare. Andare nelle cucine per scortare i servi era sì mortificante, ma non era proprio bruttissimo. Poteva sgraffignare qualche pezzo dai piatti usati e, se gli andava bene, anche da quelli nuovi. Soffici torte, panini croccanti, carni cotte a puntini, patate dorate e altre eccellenze culinarie. E poi c'erano le cuoche. Anche loro erano soffici e graziose, e Alesa le degnava sempre di una rimirata accurata. C'era quella più grassottella, Alyna, che sorrideva sempre. Aveva le mani perennemente sporche di farina. Poi c'era Anah, addetta al taglio, le sue vittime andavano dalla verdura alla carne. Era più truce e seria, ma una volta Alesa, da dongiovanni qual era, le aveva strappato un bacio. Poi c'erano Ina, addetta ai forni, Vika, addetta alle guarnizioni, e Jina, addetta all'impiattamento. Proprio in quel momento erano al lavoro. La cucina era pervasa da fumi biancastri delle cotture, sbuffi di farina e le grida della cuoca maggiore, la temibile Dujina. Dujina era un donnone (o meglio un'omaccione con due grossi seni) che controllava tutto. Alesa si dispiacque: il suo mestolo era fatale per le nocche di chiunque, perciò bisognava stare attenti a rubare dai piatti. Colto da quel pensiero triste, Alesa spedì i servi a contrattare con Dujina per la carne, quando vide qualcosa che lo estasiò. Corse subito da quell'apparizione.
<Buongiorno Natasha> disse sorridendo ad una donna. La donna in questione era di una bellezza sopraffacente. Aveva capelli corvini e grandi occhi di un blu intenso. Ma soprattutto aveva zigomi e lineamenti da fata, uniti a una pelle pallida che faceva risaltare gli altri colori. Portava un abito lungo azzurro, che stonava con le divise da lavoro delle cuoche, sporche di ogni cibo possibile.
<Controllate un attimo se Anah può fare un carpaccio di cervo> disse la donna, allontanando alcune dame da compagnia.
<Cosa ci fai qui?> riprese la donna bruscamente.
<Non mi degni neanche di un buongiorno ora?> disse Alesa ridendo. Prese a sé la donna, cingendola con due braccia, ma quella si ritrasse.
<Ma cosa ti salta in mente?> sibilò furiosamente, scoccando un'occhiata preoccupata in direzione delle dame.
<Eddai Natasha, sciogliti un po'> disse Alesa, ancora ridendo.
<Non avrai quello che pensi, Alesa Popovič, non oggi e nel bel mezzo dei preparativi.>
Dieci minuti dopo, un Alesa estasiato giaceva nudo accanto a Natasha, nel letto di una camera per gli ospiti. Teli e coperture rivestivano i mobili, e un'atmosfera di polvere e aria chiusa pervadeva la stanza.
<È stato...fenomenale! ecco.> esclamò Alesa guardando il soffitto. Sorrideva. All'età di 30 anni ne aveva avute di donne, di ranghi e etnie varie, ma mai nessuna l'aveva colpito come Natasha.
<Si, ma..non possiamo..non va bene.> disse Natasha. Aveva il bel viso offuscato dalla preoccupazione e copriva la sua nudità con le lenzuola stantie.
<Eh perché no?!> disse Alesa, alzandosi a sedere di scatto. Non capiva tutta la riluttanza e la delusione della donna.
<Su, Alesa, lo sai benissimo perché.> rispose lei.
Alesa fremette per la rabbia. Tutta colpa sua. Doveva risolvere quella questione.
<Sì, lo so. Ora vattene.> disse brutalmente. Ne aveva le tasche piene della donna, con tutti i suoi divieti e tutte le sue ansie.
Natasha lo squadrò trucemente, poi si alzò e si vestì. Alesa ne ammirò ancora una volta le forme perfette. La donna uscì chiudendo la porta dolcemente, e scoccando un'ultima, gelida occhiata all'uomo. Lui rimase a meditare ancora un po', poi prese l'iniziativa e si alzò, vestendosi lentamente. Dopo alcuni corridoi e scale, tornò alla sala del trono. La riunione era già in corso, notò indispettito Alesa, ma non poteva biasimare i partecipanti: era stato via troppo.
Vedendolo arrivare si interruppero.<Mio Principe, le cuoche hanno detto che faranno del loro meglio con il materiale a disposizione.> disse.
<Benissimo, caro Alesa, spero per loro che sia cosi, o si troveranno a vendere pesce nel Viale del Sacro Astro> rispose il Principe Vlad. Faceva tanto il duro, ma non era un tipo da punire cosi severamente. Anzi, ci scherzava volentieri.<Siediti con noi, abbiamo ancora molto su cui parlare.>
Alesa prese posto su uno scranno vicino a Dobrynja il Coraggioso.
<Compare, ho incontrato tua moglie nelle cucine> disse all'altro cavaliere <Natasha mi dice di salutarti.> disse poi, non senza un ghigno.
===========================================================================
<Benissimo, ora che ci siamo tutti, chiederei gentilmente al caro Gamajun di farci un riassunto della situazione.> disse il Principe sorridendo.
Gamajun era un tipo losco. Innanzitutto, era un demone, e una tale provenienza , unita al fatto che ricopriva un ruolo importantissimo per il Principato, lo mettevano in cattiva luce. Era disprezzato un po' da tutti, considerato uno sfaticato e un cialtrone, ma secondo Ilja sapeva il fatto suo. Era originario delle Montagne Dorate nella Terra del Sole e da piccolo, nella sua forma mezza rapace, aveva imparato l'arte dei Ninja. La sua specialità preferita era la Duplicazione. Lui sapeva duplicarsi, ma innestandosi in altri esseri, che si piegavano alla sua coscienza. Era un parassita innocente, un anima in più in un corpo sconosciuto. Ilja trovava questa sua caratteristica eccezionale, unita al fatto di sapere tutto al momento opportuno. La Duplicazione però era limitata, poteva avvenire solo un certo numero di volte contemporaneamente, e non su tutte  Il demone, nella sua forma umana, iniziò a parlare. Aveva occhi spenti e voce acuta, due caratteristiche contrastanti, e lunghi capelli bianchi, seppur avesse 134 anni, pochi per un demone così, che ne poteva vivere anche 500.
<Cari amici> e già sbagliò in partenza <l'Imperatore è a circa 50 miglia da qui, l'ho appena visto dagli occhi di un ubriacone che barcollava di lì. Purtroppo ho avuto una visione fugace, perchè il corpo ospite è svenuto, e non trovo persone nell'arco di 30 miglia da dove sono. Ci onorerà della sua presenza al banchetto, in modo da poter rinsaldare i rapporti. Però mi duole dire che forse l'Imperatore sarà deluso. Infatti il nostro beniamino, il caro Principe Vlad, ha decretato un bando e la conseguente uccisione per qualunque Demone, la cui razza non abbia firmato il Concordato di Novdorgo, sorpassi la Linea Blu.>
La Linea Blu era il grande canyon con il fiume che divideva l'Impero dal Principato, una sorta di confine naturale.
<Perciò si decreterà che il Re Sole, Vlad I, ha pieno potere sui Demoni che non rispettino le condizioni citate prima.> concluse poi.
Ilja era stupefatto, come la maggior parte dei presenti. Una simile libertà sui Demoni non era mai stata concessa a nessuno, figuriamoci dall'orgoglioso Imperatore Hsuan. E poi, molti Demoni che vivevano nell'Impero non avevano firmato il Concordato. Compresi i Dragun e gli Otto, due categorie temute e tenute in gran considerazione. La scelta del Principe era un vero azzardo, come non poterono non notare anche gli altri.
<Pazzia!> esordì il comandante Ivan Zarevic. Era un uomo deciso e forte, ma dotato di quel fascino mascolino che colpisce molte donne. Aveva una mente acuta, che gli aveva valso molte vittorie, e il titolo che portava gli spettava. Era nato sul campo di battaglia, si vociferava, perchè nessuno più di lui sapeva comandare un esercito.<Cosa farete quando si opporrà l'Imperatore?>
<Nulla, perchè non si potrà  opporre. È inimpugnabile questa scelta. È già stata marchiata con il sangue.>
Tutta la sala trasalì. Un conto era aver fatto i conti senza l'oste, un conto era aver deciso, e per di più marchiato col sangue, un editto. Il marchio a sangue era sacro al Dio Sole e non si poteva contestare. Sangue chiama sangue, e solo versando il sangue di colui o colei che aveva posto il sigillo scarlatto si poteva revocarlo. La faccenda era estremamente seria e comportava la vita del sigillatore.
Un Ivan Zarevic preoccupato e contrariato allo stesso tempo, chiese titubante, quasi già sapendo la risposta e non volendola conoscere:<E.. Di chi è il sangue del sigillo?>
Stavolta fu il Principe a rispondere:<Mio.>
<È un rischio immane!>
<Una guerra, dico io, una guerra scatenerete!>
<Ci ripensi!>
<Ohh, perché Dio, perché?>
La sala era scossa da queste esclamazione, ma non solo: preghiere, bestemmie, Ivan Zarevic aveva piantato il pugnale nel tavolo di legno e frignava come una verginella, Padre Folizio sorrideva e Dobrynja il Coraggioso aveva il volto nascosto tra le mani.
Ilja era confuso. Sapeva che era un pericolo immane quella scelta, e che il Principe non si sarebbe smentito. Sapeva però anche che l'Imperatore non l'avrebbe presa bene, e chissà come avrebbe risposto a quella stoccata. Non sapeva se disperarsi in partenza o essere ottimista. La scelta del Principe comportava un rischio molto grande, ma era anche giusto. Tutti gli anni il numero di morti o di Vuoti causati dai Demoni Imperiali cresceva enormemente. I Dragun superavano le barriere e incendiavano i villaggi, causando morte e distruzione ovunque passassero. Non reagivano ai negoziati e bisognava solamente cercare di allontanarli con altri Demoni Prìncipi. Raramente ne moriva qualcuno, affetto da Degenerazione, la grande malattia che faceva impazzire i Demoni. Ma la più grande disgrazia erano i Vuoti. Persone spente, chiuse, che vagavano senza fine, con gli occhi lucidi. Camminavano. Camminavano. Quando passavano nei villaggi la gente li scrutava, diffidente e impietosita, e li nutrivano o gli donavano qualcosa. Per il resto erano persi, ormai erano tra la vita e la morte, oltre la soglia dell'umano.
<Silenzio!> Il Principe si impose con durezza <Ormai ho deciso. Se l'Imperatore non accetterà queste scelte, peggio per lui. Chi detiene lo Scettro Solare? Chi è l'Erede della Luce?>
Gli altri partecipanti non trovarono niente con cui rispondergli. Era lui il Principe, era la sua stirpe che era stata scelta come dominatrice sulle altre. L'assemblea venne sciolta. Ilja si attardò con Alesa ad aspettare Dobrynja, ma il guerriero li evitò <Devo andare da Natasha, scusate>
<Tranquillo, compare.> Ilja era dispiaciuto, ci teneva ai momenti con Dobrynja. Da lui poteva scoprire tutto ciò che caratterizzava un vero cavaliere, poteva sentirsi narrare le storie delle più mirabolanti imprese. Stavano salendo le scale, lui e Alesa, stranamente silenzioso, quando la gamba destra gli cedette. Per un momento vide tutto scuro e si sentì debolissimo. Si accasciò sui gradini e ruzzolò giù.<Ilja!> Alesa si era allarmato ed era sceso a saltoni a soccorrerlo. <Ilja va tutto bene? Vuoi che ti porti da un guaritore?> Ilja, ancora intontito, si fece aiutare a rialzarsi. <No, no, tranquillo. Sono inciampato.> Alesa lo squadrò un po' e poi si convinse. <Mmh, va bene.>
Ripresero la marcia verso gli appartamenti. Non ancora, non ancora, Dio mio no, pensò Ilja, non proprio ora che va tutto così bene.

Storie del Regno del GiornoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora