Prologo

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Ormai per Harry era un'abitudine quella di trovarsi nello Starbucks vicino alla sua università di venerdì mattina, quando non aveva lezione, per rilassarsi per un po' davanti ad un libro e al suo cappuccino al cioccolato con doppio zucchero e doppia panna, perché come diceva sempre sua nonna, "Nel caffè, come nella vita, la dolcezza non è mai troppa!". L'unica variante che si concedeva era di berlo freddo d'estate, quando il caldo era già abbastanza di per sé.

A metà semestre però, gli era stato comunicato per mail che fino alla fine dell'anno le lezioni di giovedì sarebbero state posticipate a venerdì, costringendolo a cambiare i suoi piani.

Harry, da bravo animale abitudinario qual era, non cambiava qualcosa finché non era strettamente necessario, anche se non era un problema per lui farlo.

Perciò quando dovette riprogrammare la sua settimana, non fece troppe storie e si presentò al suo solito Starbucks, di giovedì mattina, con il suo libro fra le mani e il portafoglio in tasca. Non gli serviva altro.

Quando, dopo essere entrato nel locale, arrivò alla cassa, rimase sorpreso, stupidamente, di non trovare la solita ragazza a prendere la sua ordinazione.

Sicuramente avrebbe dovuto aspettarselo, dato che molte persone lavoravano in quella catena, ma ci rimase comunque un po' male, avendo instaurato una specie di amicizia con Rachel, la ragazza che vedeva ogni settimana da mesi.

Al suo posto c'era un ragazzo che avrà avuto più o meno la sua età, gli occhi brillanti puntati sul bicchiere sul quale era intento a scrivere il nome del cliente di turno, i capelli castani che gli ricadevano casualmente sulla fronte, mentre sfornava un sorriso di circostanza alla ragazza davanti a lui, porgendole il suo scontrino.

Certo, Harry si era affezionato a Rachel, ma se ne sarebbe fatto una ragione. Decisamente.

Gli occhi del ragazzo si fissarono nei suoi, quando fu il momento di fare la sua ordinazione. Ebbe la sensazione che quello sguardo freddo lo avesse ucciso e poi resuscitato, perché era una punizione troppo crudele non lasciargli ammirare quell'azzurro.

"Ciao, cosa vuoi ordinare?" La sua voce era sottile ma adulta, non possedeva quella sfumatura infantile che a volte è presente nelle voci più acute.

"Vorrei un cappuccino al cioccolato con doppio zucchero e doppia panna, grazie" rispose cortesemente Harry, quella frase detta e ripetuta migliaia di volte, che ormai lasciava le sue labbra come fosse una filastrocca imparata a memoria.

Il ragazzo dietro il bancone fece una smorfia, quasi un ghigno, alzando solo un angolo della bocca in un sorriso sghembo.

"Il caffè ti piace amaro, a quanto vedo." Harry rimase un po' spiazzato dalla sua scortesia, che non si trovava tanto nelle parole pronunciate, ma nel tono aspro con cui lo aveva fatto.

"Scusa, ma come prendo il caffè non sono affari tuoi, mi sembra, limitati a prendere le ordinazioni. E fra parentesi, c'è già la vita ad essere amara, non ho bisogno che lo sia anche il mio caffè." Il ragazzo scoppiò a ridergli in faccia, non riuscendo a trattenersi.

"Oh, abbiamo un piccolo filosofo, qui! Senti se la vita è amara, non sarà certo il tuo cappuccino a migliorarla" disse sfacciato, guardandolo negli occhi.

Harry era bravo a provocare, lo era sempre stato. Da piccolo risultava semplicemente un bambino timido che a volte diventava fastidioso, quando iniziava ad infastidire il compagnetto di turno. Col passare degli anni aveva imparato a capire quando era il momento di smetterla, ma aveva anche capito che con un pizzico di malizia in più l'arte della provocazione era tutta un'altra cosa.

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