Pre-Author's Corner
Io sono sconvolta. Davvero. Sconvolta.
In primo luogo perché ho aggiornato *partono campanelli e fischi*, e sì che ormai non ci credeva più nessuno.
Secondo perché dai, davvero?
Insomma, davvero ci sono persone a cui 'sta cretinata piace? Mi sconvolgete e mi rendete, nello stesso momento, la persona più felice di questa Terra.
Quindi, se non fosse che è da oggi pomeriggio alle due che mi dedico a questo dannato capitolo, giuro che vi ringrazierei uno ad uno - e forse, quasi quasi mando un messaggio privato a tutti quelli che l'hanno votato, il prologo. Così. Tanto per vedere se ancora ve la ricordate 'sta schifezzuola qui sotto.
Solo altre due parole, e poi mi dileguo: il capitolo non ha senso, davvero, è che non volevo cadere nel clichè dell'incontro tra i banchi di scuola ed è venuta fuori 'sta roba qua.
Quindi niente, spero mi perdonerete.
Poi, in teoria doveva essere diviso in due pov, ma, davvero, sarebbe venuto troppo lungo, quindi il punto di vista del secondo protagonista sarà il prossimo capitolo, yeeh.
E nulla, ho finito, solo fatemi ringraziare ancora una volta i ventidue che hanno votato a favore, e i 251 che l'hanno letta.
In più grazie (grazie, grazie, dodicimila volte grazie) a Alba_Leren, olgalanumero1, Badmoonrising87 e Mushchan, per aver anche commentato.
Ora ho finito, grazie dell'attenzione.Hanami - L'arte dell'ammirare i fiori.
Capitolo 1.
Nessun incontro è un caso
- Kay Pollak- Nobu
Decidere di festeggiare un'usanza pagana come quella di Halloween, un rito che, secondo Nobu, con le loro tradizioni giapponesi aveva ben poco da spartire, gli aveva lasciato un vago gusto amarognolo sotto la lingua.
L'idea era bazzicata tra di loro un po' per caso - in un pomeriggio, a scuola, durante le attività del club - ed un po' per noia: date le monotone giornate passate con la testa china sui libri in attesa degli esami, era parso salutare distrarsi un poco, adattando l'atmosfera lugubre degli ultimi d'Ottobre, con una prova di coraggio.
Quindi si era ritrovato lì, davanti al cancello d'ottone di quella vecchissima casa abbandonata appena fuori Shinjuku, ad ammirare gli antichi girigori di fiori e nodi in cui si diramava il metallo; o, quanto meno, quelli visibili attraverso i fitti rampicanti e non usurati dalla ruggine.
Un tempo, doveva essere stata una bella casa: il giardino grande e ben curato, con le siepi potate - non incolte com'erano diventate dopo anni di cure mancate - e gli alberi in fiore, i muri bianchi, il tetto spiovente, lo stile ottocentesco delle antiche case nobiliari inglesi; a ben vederla, era perfetta per una sfida del genere.
Con la punta di una scarpa picchiettò sul terriccio umido; sbattè i denti spazientito, guardando l'ora dal quadrante poco luminoso del cellulare.
Era stato il primo ad arrivare, sgattaiolando fuori di casa con una scusa qualunque biascicata tra i denti - era una cosa che detestava fare: mentire - e, da allora, erano passati quaranta minuti, minuti che la sera aveva utilizzato per rimpiazzare il giorno, scivolando silenziosa senza che nessuno se ne accorgesse.
Il cielo era già scuro, nuvole nere coprivano il quarto di luna che, ogni tanto, scagliava un bagliore tremolante oltre i loro contorni; nell'aria si sentiva l'odore della pioggia, l'umidità pesante come una cappa di lana.
Nobu sobbalzò quando sentì una mano calargli sulla spalla, e le dita premere sulla maglietta fino a raggiungere la pelle poco sotto.
Scoprì subito, comunque, che quella mano non apparteneva a chissà quale delinquente coltello-munito, bensì ad uno dei suoi compagni.
Uno di quelli in colossale ritardo. Con i suoi capelli neri tirati all'indietro da kili e kili di gel e lacca per capelli e gli occhiali sul naso, a coprire gli occhi sottili, scuri come i capelli impiastricciati.
Il suo lungo cappotto nero lo faceva rassomigliare ad una mal riuscita imitazione del protagonista di quel film di fantascienza - com'è che si chiamava?, ah, sì: Matrix.
"Heilà!" lo salutò, quello, alzando una mano in attesa che Nobu vi ci schiaffasse contro la propria.
Quando lo fece, lo scontro tra i loro palmi generò uno schiocco secco che rimbombò per la via deserta.
"Sei in ritardo," sbottò Nobu, volutamente tralasciando il saluto e incrociando le braccia sull'ampio petto coperto solo da una maglietta - nonostante gli appena cinque gradi Centigradi.
Il ragazzo scrollò le spalle, schiaffando l'aria con una mano in un gesto noncurante "Ah, suvvia, Nobunaga, tanto sei abituato ad aspettare."
Nobu assottigliò gli occhi, le labbra piegate in una smorfia stizzita "Ciò non ti da il permesso di arrivare quando ti fa comodo, Mogura."
Fu il turno dell'altro di esibirsi in una smorfia "È crudele da parte tua usare quel soprannome, sai?"
Nobu scrollò le spalle; ricadendo lungo i fianchi le braccia ciondolarono un paio di volte, strusciando contro il tessuto ruvido dei jeans. Mogura si guardò intorno, inarcando le sopracciglia un poco perplesso
"E gli altri?" domandò, ricevendo solo una seconda e svogliata alzata di spalle da parte del compagno.
Come se magicamente invocati i restanti due membri della comitiva fecero la loro comparsa dal fondo della via, una correndo, con i tacchi degli stivali che schioccavano contro il pavimento grigio, e l'atro poco più indietro, le mani intrecciate tra loro e i tinti capelli biondi nascosti da un cappellino.
La ragazza balzò loro davanti, ciocche di capelli blu le ballonzolarono davanti al naso, e, con un gran sorriso, li salutò entrambi dispensando colossali baci sulle guance.
"Ciao," disse invece il ragazzo, smettendo di torturarsi le mani solo per azzardare un saluto.
"Ritardo," boffonchiò Nobu, che stava ancora stringendo gli avambracci della ragazza, in punta di piedi e rivolta verso le sue guance.
Lei lo guardò esibendosi in un sorriso smagliante, "Però Aoi-kun sapeva che Naoko non sarebbe arrivata in orario."
Nobu alzò gli occhi al cielo, esasperato sbuffò facendo ricadere le spalle verso il basso, "Eravate insieme?" domandò, rivolgendosi all'ultimo arrivato.
Quello annuì, nascondendo le mani in tasca "Shopping," esclamò, stringendo le labbra in una fessura, "Parola mia, non so dove li metta tutti quei vestiti."
"Io davvero non so come fai, Isamu," Mogura gli allacciò un braccio attorno al collo, sghignazzò, "A farti sottomettere così da una donna."
Naoko ed Isamu - in perfetta sincronia, nemmeno l'avessero provato a casa - gli lanciarono un'occhiataccia truce.
La ragazza piantò le mani sui fianchi, scostandosi dalla bocca la pesante sciarpa legata attorno al collo, "Naoko non sottomette nessuno."
"Su questo avrei da ridire," esclamò Isamu, Naoko guardò male anche lui.
"Sono desolato di dover interrompere questa adorabile conversazione, ma che ne dite se ci sbrigassimo a fare questa benedetta prova di coraggio?" Nobu, braccia aperte, sguardo esasperato, l'interruppe prima di una possibile rissa verbale.
Naoko sbattè le mani, sorridendo.
Mogura ghignò, addocchiando lo scheletro in rovina dell'abitazione.
Isamu fu l'unico a non mostrare entusiasmo: sospirò, allacciando le dita ad una sbarra in ferro del cancello, "Beh, via il dente via il dolore, no?"
*
La cosiddetta Prova di coraggio, era ciò che di più banale esisteva al mondo: -Entra nella vecchia casa abbandonata fuori città e passaci tutta la notte. L'ultimo che scappa vince.-
Nulla di ecclatante o di originale.
"Se funziona," aveva detto Naoko, scrollando le spalle, quando gliel'aveva fatto notare.
Secondo Nobu, invece, funzionava solo nei manga e in quei vecchissimi film dell'orrore ancora in bianco e nero.
"Naoko è eccitata!" esclamò la ragazza a bassa voce, mentre Mogura forzava la serratura della vecchia porta e Nobu aggiungeva "Infrazione con scasso" alla lista di reati di quella sera.
L'uscio si aprì in un cigolio dei vecchi cardini, lasciandoli liberi di osservare la vecchia trappola traballante in cui si sarebbero infilati da lì a pochi minuti.
I vetri rotti delle enormi finestre erano dispersi in un disordinato mosaico sul pavimento logoro, le assi di legno divorate dal tempo e dalle termiti.
Nobu si sentì a disagio in quel salotto enorme e distrutto, ma il suo nervosismo non era nemmeno paragonabile a quello di Isamu: il ragazzo si sfregava continuamente le mani sui jeans in un gesto nervoso, gli occhi schizzavano da una parte all'altra dei muri logpri, le palpebre sgranate, la pupilla dilatata nell'oscurità, le mascelle erano serrate e la labbra livide strette in una linea sottile.
"Non credo sia una buona idea," esclamò il ragazzo a bassa voce, come se avesse paura di farsi sentire da qualcuno, "Propio per niente."
Naoko sbuffò, rivolgendogli un'occhiataccia proprio mentre Nobu e Mogura accendevano le torce; gli occhi della ragazza brillarono un momento colpiti dalla luce, prima che lei li schermasse con le dita sottili di una mano.
Mogura schioccò la lingua contro il palato, un suono secco che raschiò nei timpani di Nobu, poi, il ragazzo puntò la torcia verso delle scale diroccate e, sorridendo, le indicò con un dito "Andiamo?"
Naoko volò fino al primo gradino, saltandolo di netto per atterrare con un balzo al quarto che scricchiolò minacciosamente, "Naoko va per prima!" gridò, alzando un pugno al cielo - il perché Nobu non lo sapeva, forse voleva sottolineare quelle parole.
Poi si voltò e, senza aspettare nessuno, si catapultò oltre il cono di luce della torcia che Mogura ancora teneva sulle scale.
Isamu le gridò di aspettare, lanciandosi, a sua volta, verso i gradini di legno, salendoli due a due.
Mogura inarcò le sopracciglia, lanciando a Nobu uno sguardo divertito contornato da un sorrisetto che gli increspava appena gli angoli della bocca.
Nobu, invece, sospirò, scuotendo rassegnato la testa, i lunghi capelli neri che gli ballonzolavano sulle spalle e gli solleticavano gli avambracci scoperti; decise che li avrebbe legati in una coda dopo l'ennesima volta che la lunga frangia gli cadde davanti agli occhi.
Mogura fece un ampio gesto con il braccio, invitandolo ad andare avanti, "Dopo di te," disse, spingendo gli occhiali sul setto del naso, più vicino agli occhi.
Nobu lo superò tenendo la torcia ben puntata davanti a sé, i gradini scricchiolavano mentre lui vi posava piano i piedi, nella speranza che non crollassero uno dopo l'altro e distruggessero la scala.
Incredibilmente, però, quella resse ed anche Mogura arrivò in cima senza procurare incidenti.
Il ragazzo gli sorrise, sollevato, prima di guardarsi in torno e puntare la torcia verso un lungo corridoio, illuminando le schiene di Naoko ed Isamu, la prima piegata in avanti ed il secondo irrigidito, a dire la verità, il ragazzo sembrava essere sul punto di rompersi come una corda troppo testa.
"Che succede?" domandò Mogura, abbassando la torcia ed avvicinandosi ai due amici fermi come statue. Naoko si mise un dito sulla bocca sibilando tra i denti un basso "Shh," che fece immobilizzare i due appena arrivati.
Poi, la ragazza si voltò verso Mogura e, a bassa voce, gli chiese: "Non lo senti? Questo rumore-"
Il rumore - ora che ci faceva caso anche Nobu lo sentiva - era quello di un passo cadenzato.
Clap tap.
Clap tap.
Un tacco che sbatteva contro il legno cigolante; l'andatura sembrava costante, tranquilla, s' avvicinava dal fondo del corridoio.
Mogura alzò la torcia davanti a loro, il fascio di luce illuminò un'ampia porzione del corridoio con un bagliore dalla forma vagamente circolare, qualcuno urlò, ed il pavimento gemette come urtato.
"Per- Spegni quella luce!" gridò una voce oltre il cerchio di luce, il tono, seppur alto, pareva appartenere ad un ragazzo.
Mogura non si mosse, e Naoko parlò prima di tutti: "Sei un fantasma?" domandò, Nobu non la stava gurdando, ma era quasi certo che i suoi occhi stessero brillando d'eccitazione.
"Oh, certo," la voce, ora, aveva assunto un'inflessione sarcastica "Si, si, hai proprio ragione! Sono il fantasma del padrone di questa casa. Ora potresti abbassare la luce, per cortesia?"
Mogura spense la torcia; il buio li inghiottì per qualche secondo mentre anche Nobu abbassava la sua - senza spegnerla, però - e nuovi passi rieccheggiarono per il corridoio malridotto.
Poi, una seconda luce - più tenue, proveniente da una torcia grande un quarto la loro, dal fascio bluastro - si fece largo tra i muri della casa, illuminando, per prima cosa, un paio di sottili mani affusolate.
La seconda cosa che vide Nobu fu il torace coperto da una maglietta così scollata che non averla avrebbe fatto più o meno lo stesso effetto, ed una larga felpa dalla cerniera aperta.
In fine notò il viso di quello che era, a tutti gli effetti, un ragazzo più giovane di lui.
Ciuffi di capelli scuri sbucavano da sotto il cappuccio calato sulla nuca; aveva un miscuglio di razze disegnate sul viso: i lineamenti affilati - gli occhi un pelo a mandorla, le labbra fini - tipici del Giappone uniti ad un qualcosa d'occidentale che rimodellava gli zigomi, le curve delle mascelle.
Il ragazzo li guardò uno ad uno, soffermandosi sui loro visi per più tempo del normale - almeno secondo Nobu.
Sospirò, alla fine, distendendo il volto in un'espressione più tranquilla, "Avevo pensato foste della polizia," ammise, sorridendo un poco. Naoko scrollò le spalle, "Noi credevamo fossi un fantasma," replicò, avvicinandoglisi.
Il ragazzo piegò le labbra verso il basso, poi emise una sorta di basso risolio, "Hai vinto," esclamò alzando entrambe le mani in un gesto di resa.
Naoko gli porse una mano; il suo sorriso era così smagliante che brillava attraverso il buio "Mi chiamo Naoko. Misora Naoko."
Il ragazzo gliela strinse a sua volta, e Nobu notò che, ad una sola mano - quella che stava stringendo le dita di Naoko - portava una coppia di anelli a due dita; due sul pollice e due al medio. "Kaede," disse, soprassedendo, forse volutamente, sul cognome, poi virò la testa di lato gurdando dietro le loro spalle, "Non è che per caso avete visto un bambino girovagare qui intorno?"
Se anche avesse avuto interesse nei confronti dei restanti tre occupanti del corridoio, Kaede non lo diede a vedere, si limitò a porre una domanda generica senza aspettare una vera risposta.
Naoko guardò prima lui poi il corridoio da entrambi i lati, "Un -bambino?" esclamò, perplessa, mentre il ragazzo annuiva - puntandogli la torcia contro, Nobu capì che i capelli erano di un rosso scuro, non marroni come aveva inizialmente pensato.
Il ragazzo fissò gli occhi in quelli di Naoko e, piegando le labbra in un sorriso colpevole, disse "È mio fratello, mi sono girato un secondo e lui è sparito," aveva smesso di sorridere, adesso, i lineamenti abbruttiti dalla preoccupazione "Puff, scomparso nel nulla. L'ho cercato ovunque, ma non c'è verso di trovarlo."
Naoko scosse la testa, impensierita "Noi siamo appena arrivati," fece una pausa, guardando i suoi amici, "Ma Naoko vuole aiutarti, puoi descriverle il tuo fratellino?"
Kaede inarcò le sopracciglia, piegando un poco la testa su una spalla, "Perché parli in terza persona?" - prima non lo aveva fatto...
"Lascia perdere," sbottò Mogura, avvicinandoglisi per dargli una pacca sulla spalla, il ragazzo non sembrò gradire, ma non disse nulla, "Fa così da quando la conosciamo. Ed è da tanto. Quindi, dicevamo: il tuo fratellino?"
Nobu ed Isamu si avvicinarono, forse per sentire meglio, o forse perché Nobu si stava concentrando così tanto sul viso del ragazzo nuovo da non essersi accorto di essergli andato vicino tallonato dall'amico; per qualche motivo voleva imprimersi a fuoco i lineamenti di quel ragazzo sotto le palpebre.
Kaede gli lanciò un'occhiata perplessa - se l'era ritrovato affianco, come comparso da nulla - poi ritornò a rivolgersi alla ragazza "È alto più o meno così," mosse una mano per portarsela vicino al fianco, "Capelli biondi cortissimi ed occhi azzurri. Non sta fermo un minuto e nemmeno zitto, se per questo. Un po' rotondotto. Otto anni," concluse, guardandosi attorno come se sperasse di vederselo correre tra le braccia.
"Come si chiama?" domandò Isamu, così vicino a Naoko da sfiorarle la spalla con la propria; la ragazza non sembrava essersene accorta, però.
"Sergey," rispose, Kaede, grattandosi con un'unghia la punta del naso piccolo, un poco pendente all'insù, "Ma risponde anche al nome di Serge."
Naoko aveva aperto la bocca, pronta a porre altre domande o a parlare, ma Mogura la precedette, sbattendo le mani tra loro, "Bene, allora: dividiamoci," ordinò, poi indicò Isamu e Naoko, "Voi due andrete a destra del corridoio," fece un veloce occhiolino ad Isamu - che ringraziò il buio che nascondeva il suo rossore imbrazzato -, poi si rivolse agli altri due, "Mentre noi tre perlustreremo l'ultimo piano, ci rivediamo qui tra venti minuti. Sincronizzate gli orologi."
Dopo un paio di proteste da parte di Naoko, che credeva fosse meglio non separarsi, il gruppo si divise in due, e mentre Isamu e l'amica sparivano in una delle stanze diroccate che davano sul corridoio, Nobu seguì i compagni di team su per le scale.
Il secondo piano era la fotocopia del primo: un lungo corridoio che svoltava sia a destra che sinistra ed un imprecisato numero di camere dalle porte scheggiate o scardinate.
"Qui hai già guardato?" domandò Nobu, mentre Kaede annuiva e avanzava di qualche passo per il corridoio.
"In tutte le stanze," sbottò il ragazzo, girandosi verso di loro e compiendo qualche altro passo, questa volta all'indietro, "E non ho trovato nessuno."
"Beh, riprovare non costa nulla," esclamò Mogura, sorrise al nuovo arrivato cercando di essere il più incoraggiante possibile, "Forza, una stanza a testa," e mentre entrava nella prima porta che gli capitava, Nobu vide sparire Kaede dentro la stanza diametralmente opposta.
Sospirando, spinse la porta della camera alla sua destra che si aprì con un cigloio spettrale, una volta dentro il ragazzo notò subito il grande letto a baldacchino, un tempo doveva essere sfarzoso, coperto da lenzuola di seta dai colori sgargianti, ma, quello che ora stava fissando, era solo uno scheletro in ferro arrugginito e un materasso logoro.
A carponi, puntò la torcia sotto al letto, illuminando il pavimento marcio e il vuoto sotto la rete del letto.
Poi guardò sotto la scrivania traballante e ancora non trovò nulla, dietro le tende intravide solo qualche ragno che scappava terrorizzato e dentro l'armadio non vi era assolutamente niente. Dopo che ebbe controllato minuziosamente ogni angolo della stanza, riuscì nel corridoio; gli venne da starnutire a causa della polvere, e quando lo starnuto si disperse per il corridoio, Mogura sbucò da una stanza - una affianco a quella in cui era entrato precedentemete - facendo spuntare solo la testa dallo stipite ingiallito.
"Tutto a posto?" gli domandò, inarcando le sopracciglia.
Nobu annuì, e l'amico ritornò nella camera senza aggiungere altro.
"Stai bene?" gli domandò, a quel punto, un'altra voce da più lontanto; alzando lo sguardo, Nobu vide Kaede in fondo al corridoio, gli occhi fissi su di lui.
Di nuovo annuì, ma, invece di entrare in un'altra stanza, raggiunse il ragazzo fermo davanti al muro in cui terminava il corridoio.
"Che fai qui?" chiese, cercando con gli occhi una camera o un'apertura sul muro, non trovandola.
Kaede indicò il soffitto e Nobu, seguendo la direzione del dito, trovò una larga botola un poco aperta.
"Non l'avevo vista prima," disse il ragazzo, alzandosi sulle punte dei piedi per arrivare alla maniglia, seguendo il movimento delle spalle, le maglie si alzarono di colpo, scoprendo una piccola porzione di franco e mostrando l'anca ossuta che sporgeva da sotto la pelle, "Serge potrebbe anche essere lì, no?"
Nobu non rispose, non subito, almeno; il suo cervello impiegò diversi secondi per elaborare le parole di Kaede e metterne insieme di nuove per creare una risposta adeguata.
Ma quello lo fece dopo, quando gli occhi si staccarono finalmente dal fianco nudo ed i neuroni si decisero a smettere di dare retta a quel brivido che gli aveva percorso la schiena quando si era reso conto che lui, quel fianco - quella pelle che copriva le ossa - voleva toccarlo.
"Perché dovrebbe essere lì sopra?" replicò, dopo un po' di tempo con un tono acido, un'acidità che Nobu non voleva imprimere nel discorso.
Se ne pentì subito, non appena vide gli occhi di Kaede posarsi risentiti su di lui e le spalle accogliere la testa ora incassata tra di loro, "Non lo so," sbottò il ragazzo, gesticolando con una mano, la voce si era fatta quasi stridula, e le parole uscirono come un soffio irritato dalle sue labbra "È l'unico punto della casa che non ho ancora controllato. Se non vuoi restare a darmi una mano vai almeno a controllare in un'altra stanza."
Nobu si ritrovò a scuotere forte la testa, "Scusa," esclamò, abbassando lo sguardo "Non volevo essere così..."
"Antipatico?"
"... antipatico, sì."
Kaede scrollò le spalle; aveva ancora l'espressione indurita dall'irritazione, ma disse: "Okay, scuse accettate," poi indicò la botola, "Quindi, mi dai una mano o no?"
Nobu annuì, e, allungando una mano, chiuse le dita attorno alla maniglia della botola.
Era più alto di Kaede di almeno venti centimetri, quindi non gli risultò un'operazione complicata.
Spalancata la porticina, una scaletta di legno scivolò fino a terra, i pioli piccoli e tondi si ripiegavano pericolosamente al centro, e non sembrava affatto stabile.
Kaede la esaminò per un paio di secondi, prima di afferrare saldamente il piolo davanti ai suoi occhi e arrampicarsi per un po' "Sembra reggere," disse, tastando con il piede l'ennesimo scalino prima di carsi sopra con tutto il peso, guardò Nobu prima di continuare, "Però è meglio se vado io, sono più leggero di te -credo, o almeno lo sembro."
Nobu annuì, quindi il ragazzo si issò ancora di un paio di pioli; ne aveva superati appena cinque, in tutto, che il sesto si spezzò provato dal peso di Kaede.
Il ragazzo perse l'appiglio con entrambi i piedi, e Nobu lo vide scivolare all'indietro; il giapponese si fiondò verso di lui - i pioli erano distanziati, superarne cinque equivaleva ad essere a più di un metro da terra - e mentre Kaede faceva passare le braccia attorno ad uno scalino, Nobu gli afferrò le gambe ed arrestò la sua caduta.
Passò forse un minuto, prima che Kaede muovesse le gambe ed appoggiasse le punte dei piedi su uno dei pioli più bassi, ma Nobu non aveva ancora avuto il coraggio di lasciarlo andare.
"Ehm, scusa?" alzando lo sguardo, Nobu incontrò quello ancora sgranato del ragazzo, il cappuccio gli era scivolato sulle spalle, scoprendo una zazzera scompigliata di capelli che arrivavano fino alle orecchie, la frangia più lunga scivolava sulle tempie fino a sfiorare il mento.
"Sì?" Kaede si accigliò, ma non si azzardò a lasciare andare la scala, "Potresti, ehm -lasciarmi?"
Nobu notò solo in quel momento che l'altro era caduto più in basso di quanto aveva percepito; effettivamente, gli stava stringendo le cosce e la testa gli sfiorava la schiena, sospirando, appoggiò la fronte sull'altro ragazzo, percependo un leggero irrigidirsi di muscoli; ma poteva anche esserselo immaginato.
"Sì, dammi un minuto," soffiò, a bassa voce, respirando a pieni polmoni, la felpa di Kaede che gli solleticava la faccia.
Distrattamente il suo cervello catalogò l'odore dell'altro come 'buono'.
Fu così avvinghiati che li trovò Mogura, accorso dopo aver sentito il loro trambusto, il ragazzo inarcò un sopracciglio, domandando, perplesso, "Cosa state facendo?"
Nobu alzò il viso, ma non rispose, sinceramente, nemmeno lui lo sapeva, fu Kaede a parlare per lui: "Stavo cadendo, il tuo amico ha arrestato lo schiantarsi sul pavimento del mio osso sacro," guardò Nobu e gli sorrise, un sorriso che il ragazzo trovò dannatamente carino, "Grazie," disse quindi, "Com'è che ti chiami?"
"Eh?" Nobu lo guardò incredulo.
"Il tuo nome, non -non me lo hai detto, prima."
"Oh," Nobu non si ricordava nemmeno che a parte Naoko nessuno si era presentato, "Aoi Nobu."
Kaede sorrise e per la seconda volta mostrò quel sorriso che a Nobu sembrava tanto bello "Piacere," poi si rivolse a Mogura, "E tu?"
"Sato Ghiei."
"Ma tutti lo chiamano Mogura," ridacchiò Nobu, lasciando andare le gambe dell'altro mentre l'amico lo fulminava con lo sguardo.
Kaede si accigliò, ma non chiese nulla, riportò invece la sua attenzione sulla scala e, poco convinto, esclamò: "Ci riprovo, allora."
Nobu inarcò le sopracciglia, "A fare che?"
"A salire la sopra," il ragazzo indicò la scala con il mento, Nobu le lanciò una veloce occhiata prima di annuire, a quel punto, si piantò meglio sulle gambe ed allargò le braccia, proprio sotto Kaede.
"Ehm, che fai?" domandò il ragazzo, mentre Nobu scrollava le spalle e, come fosse la cosa più normale del mondo, esclamava, "Mi preparo per un'eventuale caduta."
Kaede borbottò un confuso "Oh, certo," mentre Mogura faceva rimbalzare lo sguardo dall'uno all'altro.
Il ragazzo riprese la scalata, e, questa volta, nessun piolo cedette al suo peso; quando finalmente arrivò in cima, con una lentezza che aveva dell'esasperante, dato che aveva controllato attentamente ogni scalino prima di issarcisi sopra, Nobu lo vide sgranare gli occhi e spalancare la boca in un'espressione incredula e sollevata al tempo stesso.
Non durò molto, però, in un attimo, al sollievo che aveva spianato la fronte si sostituì un aggrottare di sopracciglia e le labbra scoprirono i denti in un ringhio altero.
"Serge, razza di stupido!" gridò, in un moto di rabbia.
Poi, sotto lo sguardo peplesso di Nobu e Mogura, si issò oltre l'apertura sul soffitto sparendo nel sotto-tetto.Sommario:
Mogura: Credo (abbiate pietà, era quasi un anno fa quando ho deciso i nomi) che voglia dire talpa, mica a caso Mogura porta gli occhiali.
Shinjuku: È un quartiere di Tokyo ed un importante centro commerciale ed amministrativo, così come la sede del nodo ferroviario più trafficato al mondo, la stazione di Shinjuku. (per maggiori informazioni consultate Wikipedia, uwu)
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Hanami - l'arte dell'osservare i fiori
Teen Fiction"E poi era successo: una stilettata lungo la schiena, come una lama di ghiaccio conficcata nelle scapole a farfalla" Perché non sempre il colpo di fulmine è come ce lo si aspetta. Non sempre puoi innamorarti del tuo ideale di donna, che magari ha i...