Memorie di un servo

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E' da quasi un anno che non riesco ad addormentarmi serenamente. I pensieri non sono più miei, appartengono a voci e ricordi che non riesco a far tacere.
E' ormai da molto tempo che la terra si ritrova in continua lotta e noi con lei. C'è chi chiede un pezzo di pane e chi avidamente ne ha più del necessario. Io appartengo agli umili, o almeno questo è quello che ero un tempo. Sono continuamente in bilico tra la fame e la stanchezza perché la mia punizione è nata ancor prima del mio peccato.
Al mattino sono un servo qualunque, con la mia pallida cera svolazzo come un fantasma tra i corridoi di questa casa che non mi appartiene. Ci sono molte porte chiuse, ma nessuna riservatezza. Tutti noi sappiamo cosa nascondiamo e il perché dei nostri sguardi sfuggenti, eppure nessuno si è mai fermato a chiedere perdono.
Dopo aver svolto il mio fastidioso dovere, qualche volta, posso lavare il mio corpo con dell'acqua. Quando sto per asciugarmi, però, avverto un peso sullo stomaco. Come un vuoto, che è per me sinonimo di mancanza. Questa è la sensazione più triste che io possa provare. E nelle notti insonni, quando i pensieri hanno una voce che non è la mia, so cos'è quel vuoto.
Io, come voi, so che la terra è popolata da esseri viventi che sono stati, sono e saranno ricordati e da altri che nessuno conoscerà mai. Ecco perché verrà ricordata Giovanna D'Arco, che nella lotta per la vita ha scelto la strada più tortuosa. Sono un povero uomo che non portà mai sminuire questa donna dall'animo coraggioso e forte, ma nonostante le atrocità della guerra i suoi occhi non saranno mai al pari con i miei. Questa combattente avrà ricordi mutilati, immagini storpie come i corpi delle persone da lei uccise, ma sentirà sempre la passione arderle nel cuore. Nessuno sa se uccidere per una giusta causa renda onore alla propria spada e all'anima, ma so che nella mia anima non ho portato nessuna giustizia.
Sono cresciuto con il ricordo di una famiglia rassegnata e di fronte al male non ho saputo fare altro che rassegnarmi. Non ho avuto molte gioie nella vita, a parte qualche pezzo di pane in più, ho sempre sprato in un Dio generoso dopo la morte. Poi questa speranza è scomparsa e ho scoperto di non poter ricevere a causa del mio non meritare.
Eccomi qua, piccolo servo di Gilles De Rais maresciallo e comandante della Pulzella d'Orleans. Mi rivedo basso, curvo, magro mentre l'uomo che mi parla è di tutt'altro aspetto e solo a guardarlo mi sento fragile. Questo giorno è strano. Ho vagato tutto il giorno alla ricerca di una famiglia che volesse far cenare il proprio bambino a casa del mio comandante, come mi è stato da lui ordinato. Un padre ha accetatto la richiesta e mi ha ricordato un pezzo della mia infanzia, proprio il giorno in cui mi hanno portato via dalle persone a me più care. Mi chiedo perché la mente mi abbia riportato proprio a quel giorno, per un attimo ho paura per il figlio di questo genitore, ma poco dopo mi tranquillizzo. Sono un servo facilmente suggestionabile.
Scesa la sera accompagno il bambino nella sala in cui Giles De Rais ci sta aspettando. Quando il bambino gli si avvicina noto una scintilla nello sguardo del nobile aristocratico, sorride come se avesse di fronte a lui la sua sposa. Vorrei non conoscere il seguito, ma è nella mia mente più forte di qualsiasi altra cosa. Dopo quella notte ho conosciuto non solo la vera identità di De Rais, ma anche la mia parte più vergognosa. E' difficile trovare nella storia servi coraggiosi, ma la codardia mi ha seppellito l'anima.
Il maresciallo è molto interessato alla bella Francia o alle belle donne, l'unica cosa che rapisce la sua attenzione sono i bambini. Ma non li vede con gli occhi di un padre preferisce guardarli e renderli sue prede. Non è un uomo che caccia animali, è una bestia in cerca di tenere anime. Non so perché li uccideva, non ho mai più aperto bocca dopo essere stato suo complice. Sono morto nell'intimità e nell'intimo. Ora scrivo, per avere un'istantanea pace e la speranza di una qualche Giustizia divina.
A Giles De Rais basta poco per ottenere ciò che vuole, ha ogni arma e ogni mezzo per poter soddisfare anche la più piccola delle sue fantasie. Ma essendo una belva, ed io con lui, le sue fantasie sono impure. Probabilmente in quelle del maresciallo sono presenti villaggi nei quali si aggirano le persone da lui ingaggiate, per poter portare al suo cospetto le piccole vittime. Posso immaginare i suoi pensieri perché una parte del suo peccato è passata a me dal momento in cui ho assistito, per suo comando, a quelle sevizie, restando nel limbo delle azioni. Le vedo anch'io le sue fantasie: ci sono cene in cui semplici bambini mangiano e sono quasi tranquilli di fronte a lui che sorride e sembra buono, se non sbagio ha indosso il suo abito migliore. Solo io e qualcun atro come me sappiamo che che mentre la cena lentamente si consuma, De Rais conosce già perfettamente il seguito della serata. Forse si sente in colpa, forse ha deciso di rinunciare, mentre assapora l'ultimo sorso di vino. Ma un uomo così non conosce colpe, sa solo alimentare il fuoco del proprio demone facendo del male. Infatti guarda quel bambino e la sua eccitazione è più forte di tutto resto, non esiste coscienza divina nella mente e nel cuore di un uomo senza pudore. Ma alla bestia non va di essere sola mentre compie le sue sadiche pratiche, ha bisogno di qualcuno che stia lì a guardare, ma che allo stesso tempo sia inerme di fronte al tutto. Ed eccomi ancora qui, suo sporco servo. Servitore dell'osceno.
Il finto perbenismo del mio comandante è stato arrestato e il suo coraggio è venuto meno quando, a seguito delle torture subite, ha confessato l'innumerevole quantità di vittime sulle quali dice di aver praticato atti sadici e rituali satanici (oltre 100 fanciulli sono stati ritrovati in due delle sue dimore) e per questo il 22 ottobre 1440 è sato impiccato. Il 23 ottobre dello stesso anno il suo corpo arde tra le fiamme di un rogo e i miei occhi godono, facendomi sentire ancora più confuso.
L'inganno, la menzogna, la manipolazione, sono le spade quasi invisibili del male. Ed io sono colpevole di aver reso queste spade molto più appuntite e taglienti.
Mi basta pensare ad un pover uomo che si vede arrivare un perfetto sconosciuto alla porta. Inizialmente è spaventato, ma subito dopo aver saputo che un aristocratico vuole semplicemente offrire una cospicua cena a suo figlio quasi è felice. Non sa che De Rais in realtà è il mostro sotto al letto, l'uomo nero da cui si deve scappare.
C'è un pover uomo che è stanco di dover dare ogni sera una mollica di pane al proprio figlio, c'è la guerra. C'è mio padre che mi rimprovera dei ricordi che ricordo perché avrei dovuto restare nella mia umiltà, cavadomi gli occhi pur di non vedere.
E invece sono partecipe, osservo nel dettaglio, piango, vomito. Non so neanch'io cosa fare. Non ho vie d'uscita, sono sempre nella stessa sala e non adrò mai via da qui se non per passare nella stanza in cui ho perso Dio. Ecco un bambino, sta cenando in un luogo mai visto prima con un uomo che sembra nobile ma che in realtà nessuno ha mai conosciuto. Il banchetto termina, la casa è grande e le stanze sono molto larghe. La camera da letto è la parte migliore dove fare ciò che si vuole. Ora quel bambino è nella camera da letto e dietro di lui, su di lui, dentro di lui è entrata una bestia. Ha le braccia troppo corte per arrivare ad afferrare qualcosa, le unghie troppo piccole e le grida inutili, deboli. Ha due occhi teneri che forse piangono oppure sono sbarrati, non lo so, fissano il vuoto, si concentrano sul nulla per sentire meno il dolore. Chissà se almeno nella sua testa sta reagendo, se almeno la sua anima avrà la rivincita che a lui spetta. Quante cose potrei fare per salvarlo, ma sono immobile. Mia madre non mi genererà di nuovo, ho ucciso la mia vita.
Un coltello gli taglia la gola, è in agonia.
Un bastone gli colpisce il collo.
Ma a De Rais non basta, il giorno dopo un altro fanciullo è nella stessa stanza. Sta giocando al "gioco dell'impiccagione", il suo compagno è la morte. Il piccolo esserino ha una corda legata al collo, non gli importa se è vestito oppure è nudo perché non riesce a provare vergogna, la paura è più forte. Vule scendere da quella giostra, vuole qualcuno che lo aiuti. Quando il comandante decide che il giro è terminato, il malcapitato scende e si ritrova tra le sue braccia. Non sa cosa sono tutti quei sentimenti che si accavallano nella sua testa, nel suo respiro che è tornato leggero. Sente solo pungere alla gola, un coltello da esecuzione, chiamato "braquemard", gli incide la gola. Muore mentre il suo assassino è ammaliato dalle gocce di sangue ed io non so se immedesimarmi nella vittima o nel canefice, non so più chi sono.
Oltretutto so che la crudeltà non gli basta mai. Ha bisogno di veri e propri sacrifici per poter raggiungere i suoi scopi. Le molestie non sono granché per lui, vuole di più. Per questo compie rituali satanici con bambini sacrificati per trovare la famosa pietra filosofale. Eliminando l'oro di Dio vuol possedere quello del mondo.
Credo di esser perso, di non poter più tornare dalla mia famiglia perché ho portato via bambini dai propri genitori solo per paura. Non avrò salvezza, servirò in eterno il mio sporco padrone e puzzerò del suo stesso peccato quando sarò di fronte a Dio. Vorrei essere uno di quei bambini per essere puro e pecco ancora pensando ciò. Sono carnefice del mio vittimismo e vittima del mio silenzio. De Rais confessa: «Ho più volte mutilato, violentato e ucciso dei ragazzi, fossero femmine o maschi, più maschi per restare alla verità. Ho quindi mozzato loro le membra e la testa insieme ai mie complici, per poi donare queste parti al mio unico signore Satana...» e la mia anima ripete, parola per parola.

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