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Il numero dei fratelli belli e carismatici che ho è direttamente proporzionale al numero dei loro amici sparsi pe tutta la citta. Moltiplicato per trenta. Ad ogni angolo della cittá, c'era qualcuno che salutava i miei fratelli con una stretta di mano o un occhiolino. Perfino Joshua. Cioè, per farvi capire meglio, Joshua era quello che le aveva prese pure da un bambino di sette anni. Eppure, anche quando Joshua camminava per il centro di Columbus aveva l'attenzione di tutti. E tutta questa popolaritá significava solo una cosa. Amici. Tanti amici. E Trevor era uno di quelli. Trevor, insieme a Jason e Leo era il migliore amico di Travis. Praticamente vivevano a casa nostra. Ormai mi ero abituata a vederli girare per casa alle sette di mattina in pigiama. Eppure Trevor era l'ultima persona che mi aspettavo di vedere dal divano giallo canarino su cui ero seduta. Prima che Trevor si presentasse alla porta un ragazzo mi stava facendo compagnia. Si chiamava Adam. Aveva un viso simpatico, anche se mentre cercavo di fare conversazione il suo sguardo scendeva sempre sulla misera scollatura del mio vestito. Mi aveva raccontato come ero arrivata lì. Fui presa dal panico, rendendomi conto di essere al Boulevard. Poi però mi accorsi che non ero ancora morta, quindi mi rilassai. Adam mi spiegò-tra una frecciatina ammiccante e l'altra- che ero svenuta e lui, essendo nei paraggi aveva preso un Michael ancora scosso e il mio corpo incosciente. Mi disse anche che nessuno dei miei amici si erano preoccupati per me, ed io incredula, afferai il cellulare per smentirlo. Rimasi totalemente delusa e sentii qualcosa, forse rabbia, quando non lessi ne il nome di Grace, Josh o tantomeno Finn. Neanche Ethan mi aveva chiamato. Pensandoci bene, era probabile che Ethan neanche lo avesse il mio numero di cellulare. E ora lì davanti a me c'era Trevor. Il ragazzo che mi aveva visto crescere e per cui avevo avuto una cotta prima di conoscere Finn. Aveva indosso una felpa blu notte e il cappuccio gli copriva il capo. Quando però i nostri occhi si incontrarono, rividi il solito ragazzino che amava il calcio e la scuola. Mi aspettavo che mi sorridesse o che mi salutasse, invece mi guardò incredulo per qualche secondo e poi si girò verso le scale.
"Logan!"
Urlò a pieni polmoni. Si rigirava tra le mani una banconota da cinquanata dollari. Dal piano di sopra di sentirono dei passi pesanti, e poi un ragazzo fece la sua comparsa, rosso in viso. Sembrava davvero arrabbiato.
"Che vuoi Trav?"
Sussurò lui, cercando invano di non farmi sentire la conversazione.
"Questi sono i soldi che mancavano a Sarah. Daglieli."
Trevor allungò la mano e passò a Logan la banconota color verde acceso. Il ragazzo se la rigirò tra le mani, come se vedesse per la prima volta una banconota.
Poi però se li mise in tasca, e diede una pacca sulla spalla a Trevor. L'amico di Travis, sempre con il cappuccio calato sul volto si avvicinò a me. Io mi alzai, mi avvicinai. Desideravo un contatto con lui. Era passato troppo tempo.
"Libs" sussurò lui, come se fosse la prima volta in vita sua che mi vedeva. Mi passò una mano tra i capelli.
"Trevor"
Quel ragazzo era stata la mia prima cotta, il mio primo segreto.
Continuammo a guardarci negli occhi per una durata di tempo indecifrabile.
"Okay, direi che qui abbiamo finito. Trevor, portala a casa. Liberty, dimenticati di questo posto, di Michael e di questa notte, okay?"
Quella di Logan sembrava una minaccia, come tutte quelle che aveva ricevuto da Michael, ma i suoi occhi e il suo viso erano calmi. I miei occhi si spostarono nuovamente sulle scale. Eccolo lì. Mi guardava. Sorrideva? Le braccia conserte, i muscoli tesi,i tatuaggi in vista. I capelli più lunghi dell'ultima volta che li avevo visti. Eppure eccoli lì. Più luccicanti, più brillanti. Verdi, i suoi grandi occhi verdi. Mi venne la pelle d'oca.
"Isaac" Se ne uscì Trevor, alzando una mano in segno di saluto.
Lui non lo prese in considerazione neanche per un secondo.
"Posso parlarti?" La sua voce uscì piatta, apatica. Mi guardai per un attimo in giro, prima di rendermi conto che si stava riferendo a me. Guardai Logan che però fissava intensamente Isaac. Spostai gli occhi su Trevor che però stava facendo qualcosa con il suo telefono. Annuii e lo seguii.
Aprì una porta-finestra e uscì sul giardino, illuminato solo dalle stelle.
Trasse un respiro profondo e si strofinò le mani sugli avambracci.
"Hai freddo?" Chiesi in un sussurro così lieve che pensai Isaac non lo avesse sentito, coperto dai grilli.
Lui ridacchiò e sul suo viso si disegnò una smorfia come se stesse ridendo di me.
Io mi sentii piccola, e feci qualche passo lontano da lui. Come mai c'era questa tensione tra di noi? Ci eravamo visti una volta, diamine. Eravamo completi sconosciuti. E allora perchè tra di noi c'era questo silenzio, il solito silenzio presente tra due persone che avevano condiviso tutto, e che ora si guardavano negli occhi e non trovavano più niente? Cosa ci legava?
"Non so, credo che sia perchè tu assomigli tanto a lei."
Esordì lui, guardando avanti, dietro il cespuglio di rose, dietro le colline, dietro il confine dello stato, dove stava nascendo il sole. Mi girai di scatto. Mi aveva letto nel pensiero?
"Come scusa?"
Un colpo di tosse. Un altro sospiro.
"Ho detto che assomigli a lei."
Disse con voce roca.
Avevo la gola secca, la lingua di piombo.
"Lei chi?" Riuscii a chiedere, mandando giù il nodo che mi si era formato in gola.
"Charlotte."
E poi la fatidica domanda a cui tanto volevo una risposta.
"Chi era Charlotte?"
Si girò. Mi guardò negli occhi. Il ghigno scomparso, sostituito da un espressione sofferente. Il pomo d'adamo fece su e giù, chiuse gli occhi, per riaprirli subiti dopo. Erano liquidi, stracolmi di lacrime.
"Lottie era-"
"Liberty, un certo Troye ti sta chiamando."
Un uragano umano, con il nome di Logan, fece il suo ingresso in scena brandendo tra le mani, il mio cellullare che emetteva quella fastidiosa suoneria che tanto odiavo ma che ero troppo pigra per cambiare.
Sullo schermo il nome dell'assistente di mia madre comparve ad intermittenza. Lanciai un occhiata ad Isaac che però era giá rientrato in casa, come se si fosse reso conto di quello che stava per rivelarmi e si fosse tirato indietro non appena ne aveva avuto occasione. Sentii un calore crescente alla bocca dello stomaco. Rabbia? Impazienza? Ero così vicina a sapere tutto su quel posto, ma ancora una volta, qualcosa mi aveva fermato. Questa volta si chiamava Troye.
Agguantai il telefono e feci segno a Logan di andarsene. Lui aggrottò le sopracciglia, forse sorpreso dal mio gesto confidenziale. Eppure, pochi secondi dopo, ero di nuovo sola.
"Pronto?"
"Liberty, sono Troye."
"Lo so. Che vuoi?"
"Dove sei?"
"Che ti importa?"
"Senti Libs. Tua madre sta iniziando a chiamare tutta Columbus. Non voglio perdere il lavoro, quindi mi dici dove sei,io ti vengo a prendere e ti riporto a casa. Intesi?"
Il suo tono era di colpo diventato duro e spigoloso. Mi diedi dell'Idiota da sola. Era logico che dietro la chiamata di Troye c'era mia madre. Mi sentii in colpa per lui,obbligato a fare di tutto pur di non perdere il lavoro. Anche occuparsi della figlia del capo alle tre di notte.
"Troye, è tutto okay. Mi porta a casa Trevor."
Almeno credo, avrei voluto aggiungere. Ma non lo feci.
"Ti prego Libs, torna a casa."
Il suo tono era supplicante.
"Ci sto lavorando."
Spostai il cellulare dall'orecchio e attaccai. Feci un respiro profondo.
Rientrai in casa. Logan era scomparso. Così anche Isaac. Trevor mi fissava, facendo vagare il suo sguardo sul mio corpo.
"Vieni. Ti riporto a casa."
Io annuii, guardando per l'ultima volta la rampa delle scale che portava al piano di sopra. Vidi un ombra. Niente di più.
"Okay."
Sussurai, uscendo dalla porta principale e facendomi guidare da Trevor verso la sua macchina.
Ero sempre più lontana dalla veritá.

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