Il treno

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Sono in treno, saranno circa le sei di sera. Il vagone è semivuoto, ma sto in piedi davanti alla porta. Manca poco alla mia fermata.
Marta deve aver già preparato la cena... Oggi ha portato Edoardo dal pediatra, spero stia presto meglio, povero piccolo. Una brutta polmonite, eh sì. Certo ne girano in questa stagione, l'avrà presa da qualcuno all'asilo.
Il treno si ferma di botto, oscillo leggermente per riprendere l'equilibrio. Bovisa, mancano due fermate alla mia. Mi guardo intorno con impazienza. Nella carrozza male illuminata dalle luci biancastre gli altri passeggeri sembrano spettri evascenti, i volti segnati da giochi d'ombre, percorsi da chissà quali pensieri.
Un'anziana e minuta signora con una borsa della spesa stracolma sulle ginocchia.
Una donna con un passeggino e un bimbo sui tre anni che si aggrappa alla giacca della madre succhiandosi il pollice, lo sguardo perso nei suoi occhioni scuri.
Un uomo in un lungo cappotto beige, sottobraccio un'antiquata cartella di pelle, le mani in tasca, lo sguardo irrequieto seminascosto da un borsalino marrone scuro.
Una sedicenne con le cuffie e il cellulare in mano, che sorride scrivendo messaggi, come a tentare di raccattare calore e compagnia; ogni tanto scuote la testa ricciuta per segnalare il suo dissenso a qualcuno che però non può vederla.
Seduto per terra, la schiena appoggiata alla porta scorrevole del wc, un ragazzo che non dimostra più di venticinque anni. Un meticcio dal pelo castano e ispido posa il muso squadrato sulle sue gambe incrociate. Il ragazzo passa affettuosamente una mano tra le orecchie del cane. Indossa una giacca a vento rattoppata e dei pantaloni della tuta logori, ai piedi scarpe da ginnastica sformate e dai lacci anneriti.
Ha il volto contratto e sovrappensiero, come in preda a un tic nervoso a volte scrolla il capo facendo oscillare i dread tenuti indietro da una fascia.

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Sono in treno, saranno circa le sei di sera. Sono seduto a gambe incrociate con la schiena appoggiata a quella che credo sia la porta del cesso, a giudicare dall'odore, ma me ne sbatto, tra poco devo scendere. Marco mi ha offerto un posto dove stare, un monolocale in cui si è appena trasferito. Detesto l'idea di dover convivere con qualcuno che starà fuori tutta la notte per tornare all'alba, dovermi svegliare e trovarlo immerso in pozze di vomito, l'odore di alcool e bile che impregna l'aria. Ma è un posto dove dormire, meglio dei sottopassi delle ferrovie che puzzano di piscio e maria.
Fido mi poggia il suo muso sul ginocchio e sbava. Gli sfrego le orecchie, e mi guarda adorante, uggiolando.
Alzo lo sguardo, lasciandolo scivolare sugli altri passeggeri, che sembrano stracci lisi appesi ad asciugare in un vicolo scuro tra due palazzi.
Una vecchietta minuscola, con un sacchetto della spesa rigonfio sulle gambe smagrite e percorse da vene bluastre.
Una mamma con un bimbo del quale non sembra curarsi, incupita da pensieri che le impediscono di notare il figlio sui tre anni che la cerca, spaventato da chissà quali mostri del buio, tirandole la giacca.
Un uomo vestito come un mafioso dei vecchi film in bianco e nero, il cappotto di lana, il cappello sulle ventitré e la cartella di pelle sottobraccio.
Una sedicenne con le cuffie e il cellulare ultimo modello, che messaggia ridacchiando con un'amica, forse con il fidanzatino, si tocca i capelli ricci allontanandoli leziosa dal volto.
In piedi davanti alla porta c'è un uomo sui trent'anni, i capelli nerissimi impomatati, in giacca e cravatta. Si tortura impensierito il colletto della camicia, sposta il peso irrequieto da un piede all'altro, e infine sorride, come investito da un qualche piacevole ricordo.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 06, 2016 ⏰

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