Prologo

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Chicago, ottobre 1922

Spiai di sottecchi tutta la gente presente nel bar; a partire dai baristi che preparavano i variopinti cocktail decorati con deliziosi ombrellini, fino ad arrivare alla cantante sul palco che si esibiva in una lenta canzone per i ballerini in sala. La pista da ballo occupava quasi completamente il piccolo locale ma era la moda del tempo che lo richiedeva.

Gli speakeasy si erano diffusi in tutti gli Stati Uniti d'America durante l'era del proibizionismo, forse una delle mie epoche preferite. La guerra era terminata nel 1918, quattro anni prima, e solo in quei locali si respirava un'aria allegra, quasi di festa. Ogni serata era irrorata di luci, musica, risate, urla e tanto, tantissimo alcol illegale. Più imponevano divieti sul consumo di alcolici, più la gente si rifugiava in quei posti per bere fino allo sfinimento. Adoravo quel clima e la musica del tempo, completamente diversa da quella martellante delle nostre discoteche.

Era in uno di questi speakeasy che avevo imparato a ballare grazie all'aiuto di Max. Ci eravamo buttati in pista come due giovani del tempo e a nessuno era importato se pestavo i piedi agli sconosciuti, l'importante era ballare, divertirsi e ubriacarsi.

Portai alle labbra il bicchiere di vetro con dentro un liquore strano dal gusto veramente ottimo. Ormai con tutti quei viaggi ero riuscita ad abituarmi all'alcol e a reggerlo. D'altronde non sarebbe apparsa strana una ragazza in uno speakeasy che non toccava nemmeno una goccia?

Io e Max passavamo le nostre serate in quel locale, ci divertivamo un mondo ed era molto più esaltante stare lì che in una discoteca normale dove tutti si strusciavano e si facevano nei bagni.

Una voce irruppe nei miei pensieri. - Vuole scatenarsi con questo charleston, signorina? -.

Alzai velocemente lo sguardo e poi scoppiai a ridere quando vidi chi fosse stato a parlare: Max. Era il mio compagno di viaggi, nonché amico dell'infanzia, ed era uno dei ragazzi più belli che io avessi mai visto. Era molto più alto di me (anche se non ci voleva molto per superare il mio metro e cinquantasette di altezza), con i capelli biondo grano perennemente scompigliati (a parte in qualche missione che era obbligato a tirarli indietro con il gel) e gli occhi blu cobalto che mostravano ogni sua singola emozione. Per conoscere Max bastava leggergli gli occhi. 

Accettai la sua mano tesa e mi feci trascinare sull'affollata pista da ballo. Dopo anni di esperienza non avevo più nemmeno difficoltà ad abituarmi agli abiti dell'epoca. Quella sera indossavo un paio di scarpette nere col tacchetto, un abito a frange rosso e un piccolo berretto schiacciato sulla testa dello stesso colore dell'abito. Ovviamente tutto era curato alla perfezione dai sarti e truccatori della Congrega che lo rendevano il più realistico possibile, in modo che passassimo per veri ragazzi del 1922.

Iniziammo a muoverci velocemente, tenendoci solo per mano. Dopo pochi minuti sentii già caldo a causa del calore dei numerosi corpi schiacciati e sudati. Grazie alla bravura di Max, il ballerino della coppia, riuscii a ballare decentemente nonostante la danza non fosse nel mio dna.

Ci scatenammo insieme finché non mi arresi e gli feci segno che mi fermavo. Lui rise ed annuì. Si avvicinò a me e mi accompagnò al tavolo dov'ero seduta prima. Si sedette anche lui per bere un bicchiere in mia compagnia. Si guardò in giro con occhi adoranti e mi chiesi se anche io apparissi così quando ero lì.

Ogni anno, ogni mese, ogni giorno, ogni minuto e ogni secondo aveva un suo fascino, qualcosa d'irripetibile, d'immortale che non si poteva replicare, qualcosa che solo chi lo sapeva apprezzare poteva vederlo.

Purtroppo il tempo era un bene prezioso che non tutti sapevano di possedere. Era comune, sì, ma chissà perché nessuno riusciva a vederlo e a farlo proprio. In tutte le epoche che avevo visto nei miei viaggi erano poche le persone che riuscivano a saper gestire il tempo e a rendere ogni singolo momento indimenticabile. Al contrario, moltissimi capivano di possederlo troppo tardi per reagire e fare qualcosa. Era come l'acqua, più cercavi di tenerla in mano più quella scappava. E così era il tempo: lungo ma allo stesso tempo breve.

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