Prologo

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What I've done - I'll face myself
To cross out what I've become - Erase myself
And let go of what I've done

Linkin Park – What I've done

Da bambini ti raccontano quanto sia meraviglioso il mondo; t'insegnano a vedere il bello della vita, ma non a riconoscere il marcio nascosto nell'ombra.

Dopo ciò che ho vissuto non ho paura a dirlo e nemmeno provo vergogna a farlo: per il vostro bene, dovreste imparare a capire che ciò che vi dicono, in parte, è una bugia. Prima lo fate e meglio sarà per voi.

Non ti dicono quanto possano fare male le sole parole, lo capisci a tue spese.

Non ti dicono quanto possa diventare pericolosa la tua stessa mente, lo capisci quando ti ritrovi sulla soglia della follia. Quando la luce che ti circonda scompare per lasciare il posto all'ombra più oscura.

Il mio nome è Riley Murdock. Folle, ignobile, spregevole figlia sarebbe ciò che vi direbbe mio padre se lo incontraste. Non che m'interessi la sua opinione, dopo anni che ti ritrovi a vivere con quelle continue parole nella mente, finisci per credere di essere veramente folle; inizi a domandarti se ogni passo che fai non sia sbagliato, ogni tua mossa diventa calcolata nel modo più maniacale per non causare conseguenze che non vuoi sperimentare.

Il dolore si mescola alle umiliazioni e finisci per dimenticare chi sei, cosa sei, lasciando spazio a un vuoto incolmabile, circondato da inadeguatezze, mortificazioni e insicurezze che nel tempo diventano la normalità.

Avevo tanti progetti nella mia vita. Ora mi rendo conto che non riuscirò nemmeno a realizzarne uno. Non sapevo a cosa fossi destinata, non sapevo cosa sarei diventata, non osavo immaginarlo e, dopo ciò che avevo vissuto per anni, non m'interessava.

Quando oltrepassi la soglia di un ospedale psichiatrico, anche se il livello che frequenti è quello di minima sicurezza, comprendi di aver lasciato una parte di te per sempre e che niente e nessuno potrà mai ridartela.

Entrare dalla porta principale dell'Henry Ford Memorial Hospital a seguito di un tentato suicidio mi portò a chiedermi se ne sarei mai uscita, o se almeno l'avessi fatto da viva. Una parte di me aveva paura di cosa sarebbe successo dopo, perché per la società sarei sempre stata etichettata come una pazza, anche se di folle non avevo nulla.

Stavo solo male.

Che problema c'è quando una persona sta male?

Non lo fate pure voi? Fingere che non esista la sofferenza mentale, la depressione, perché non l'avete mai provata, perché non potete vederla, non cambierà la realtà: non è uno scherzo, non è un gioco.

La depressione era la mia malattia, e come tale poteva essere curata. Dopo il dolore, le umiliazioni e ciò che avevo patito, non sapevo quanto fossi malata, quanto profondamente fossi morta.

Stavo più male di altri, avevo bisogno di aiuto e lo sapevo, ma non volevo accettarlo perché avevo paura, terrore delle conseguenze. Avevo oltrepassato un limite invisibile, per questo mi ritrovai chiusa fra quelle mura grigie con la paura di vedermele crollare addosso da un momento all'altro, con la paura che diventassero la mia tomba. Mi alzavo la mattina e chiudevo gli occhi sperando di scomparire nuovamente nell'incoscienza; volevo solo morire, desideravo la pace che mi era stata negata per così tanti anni.

Quando i medici parlavano di me, dicevano che ero fragile, che l'uomo che mi aveva ridotto in quel modo doveva essere mandato in galera, mentre chiudevo gli occhi e mi voltavo dall'altra parte, perché non volevo sentire ciò che già sapevo.

Non sarebbe cambiato nulla.

Tutto ciò che mi dava conforto in quell'inferno che avevo nella mia mente, era stato guardare il cielo immobile al di là delle sbarre di ferro nero alla finestra. Amavo e amo guardare la luna, che con il tempo era divenuta l'unico punto fisso nella mia vita.

Quando ne parlai con il mio psichiatra, sentii per la prima volta parlare della selenophilia: un amore smisurato per l'astro. A distanza di anni penso ancora con affetto al suono di quella parola, ricordando come amavo guardare il suo grigiore splendente in quella nera oscurità attraverso le sbarre della mia finestra.

Non potevo ancora immaginarlo, eppure quello stesso colore, quel grigio argento come quegli stessi occhi che mandarono in frantumi tutte le mie certezze, quella notte in cui Hunter entrò nella mia vita. Hunter Darkwood, il modo del fato di ricordarmi che avevo appena iniziato il mio viaggio.

Questa è una storia, la mia storia, la sua storia e la storia di tanti altri, di come in quest'oceano inesplorato qual è la vita, abbiamo vissuto e forse siamo sopravvissuti.

Selenophile || Wattys2016 WinnerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora