Secondo giorno

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Riapro gli occhi, sapendo perfettamente dove mi trovo, e mi sento rassicurato all'idea di essere tornato in un luogo che ho già visto, per quanto sia pieno di lapidi e non sia casa mia.

Non ho paura, non ho fretta di alzarmi e, men che meno, voglia di decidere cosa fare. Non percepisco i suoni, ma posso vedere tutto in maniera nitida. So che qui non ci saranno sagome sfuocate e ondeggianti, e nemmeno uomini con il cilindro e la bocca famelica.

Non avrei mai creduto di rivedere l'Uomo dell'Opera, credevo fosse un capitolo chiuso, sepolto sotto la lapide degli anni. Invece, è riuscito a terrorizzarmi come faceva quando ero piccolo. Non è stato sufficiente rinunciare a me stesso per scrollarmelo di dosso.

Sopra di me c'è il cielo rosso e cerco di dedurre dalla sfumatura se si tratti di un'alba o di un tramonto. Tramonto, decido.

Mi torna alla mente la borsetta della segretaria con quella scritta, e la parola "sogno" riecheggia nella mia mente frastornata come il suono sbilenco di una campana.

I rumori tornano tutti insieme e posso percepire un bisbigliare continuo. Mi alzo a sedere con fatica e vedo l'Uomo delle Bare chino su una tomba. Le parla a bassa voce, come si fa con i bambini prima di dormire, per rassicurarli.

Che strano uomo, penso.

Appollaiato su una lapide, poco più in là, sta il mio corvo. Si sistema le piume con impegno. I sentimenti sono tornati confusi e non so cosa pensare di lui. Ha sabotato il mio piano perfetto, ma se non fosse intervenuto, l'Uomo dell'Opera avrebbe portato via quel poco che rimane di me.

Il borbottare dell'Uomo delle Bare ha lasciato il posto a un rumore sommesso, come di terra mossa in profondità.

Penso a un terremoto, perché le vibrazioni del terreno mi stanno facendo tremare. L'Uomo delle Bare guarda la tomba e non sembra per nulla preoccupato, anzi, pare quasi lieto di quel che sta accadendo. Nonostante le vibrazioni potenti, cerco di alzarmi in piedi afferrandomi a una lapide. Quando guadagno la verticalità, vengo travolto da un'ondata di terra che mi sbatte giù con violenza.

Mi tolgo freneticamente il terriccio dagli occhi e vedo qualcosa di così grandioso da lasciarmi a bocca aperta per la prima volta dopo molto tempo. Una miriade di farfalle dalle sfumature scarlatte sta uscendo da una buca nel terreno, proprio dove prima si trovava la tomba, riversandosi nel cielo.

I minuscoli corpi e le ali delicate degli insetti hanno avuto l'effetto di un'esplosione e adesso ricoprono il cielo di una macchia sanguigna che cambia continuamente forma.

Mi sento profondamente commosso e non riesco a capirne il motivo.

Sbircio l'Uomo delle Bare, anche lui osserva le farfalle. Si è tolto gli occhiali pieni di terra e i suoi occhi azzurri sono lucidi di emozione. Arruffato e sporco ha un'aria vulnerabile.

Le farfalle si allontanano nel cielo e sembrano un polmone che respira lentamente. Da qualche parte, dentro di me, si deposita la pace.

È una condizione che non ricordo di aver provato, mai nella mia vita.

Le farfalle sono salite molto in alto, confondendosi con il cielo rosso dell'alba o del tramonto, non saprei dire.

Lentamente ritorno alla mia condizione e mi rendo conto di essere osservato. Sia l'Uomo delle Bare che il corvo si sono fatti più vicini.

«Allora, com'è andata?» esordisce l'Uomo.

Nonostante la nebbia mentale che mi circonda, credo di capire a cosa si riferisca, ma fingo di non aver afferrato bene il senso del discorso.

Il corvo appollaiato su una lapide si muove nervoso. «Diglielo!» gracchia.

«Dirgli cosa?» ribatto io. A questo punto, tutta la mia riconoscenza nei suoi confronti si è liquefatta.

Tre giorni, tre paroleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora