Non avrei mai pensato di potermi innamorare di lei. Sì proprio lei, Jamie Sullivan, la figlia del reverendo Hegbert. Quella ragazza che noi reputavamo strana perché era la prima ad aiutare tutti, ma l'unica a non essere aiutata, sempre gentile con tutti e sempre con una Bibbia che portava sempre con sé.
Mi resi conto che incominciai vederla sotto occhi diversi dopo la recita di Natale. Sarà che quando era sospesa in aria, nelle vesti dell'Angelo, con quei capelli biondi che ondeggiavano e quel velo di trucco che risaltavano quel celeste degli occhi, era diversa da come la vedevo ogni giorno a scuola, sempre con i capelli raccolti e senza neanche un po' di trucco. Rimasi incantato alla vista di una meraviglia del genere.
Dopo aver partecipato alla recita sembrava ci fossimo avvicinati molto di più e a me la cosa non dispiaceva affatto, non mi importava più neanche delle critiche di Eric e Margaret. Infatti dopo alcune settimane finirono di prendermi in giro, perché capirono che in effetti quello che provavo, era più di una cotta.
L'accompagnavo a casa quasi ogni sera, mi piaceva molto stare in sua compagnia, mi piaceva anche quando nelle sue frasi usava "Il Disegno Divino", cosa che sicuramente non avrei fatto 2 settimane prima.
Parlavamo del più e del meno, però alcune volte mi domandava cosa avrei fatto in futuro, se mi sarebbe piaciuto sposarmi, avere una famiglia e se mi sarei iscritto all'università, rispondevo di sì ma ovviamente a 17 anni non si sa già cosa si voglia diventare in un futuro prossimo.
Ieri appena L'accompagnai a casa in macchina, d'impulso mi venne in mente di invitarla a cena da me. Una volta entrati in casa lei chiese al padre, che un po' titubante, annuii. Il giorno dopo passai a prenderla in orario e fui felice che aveva messo il maglione che gli regalai. Uscimmo in giardino e lei aveva uno sguardo come quello delle bambine quando guardano un qualcosa che non avessero mai visto prima, andava da destra a sinistra, da sinistra a destra per vedere i fiori ancora non fioriti, a lei piacevano lo stesso. Essere innamorato di una ragazza come Jamie era senza dubbio la cosa più strana che mi fosse capitata, non solo non avevo mai pensato a lei prima di quell'anno ma sentivo che c'era un qualcosa di diverso dal solito anche nel modo in cui i miei sentimenti si erano sviluppati. A differenza di Angela, che avevo baciato la prima volta in cui eravamo usciti insieme, Jamie non l'avevo nemmeno abbracciata. Non mi ero comportato come facevo abitualmente con le ragazze, eppure mi ero innamorato. L'unico problema era che non sapevo ancora quali sentimenti provasse lei per me, però il fatto che mi avesse permesso di tenerle la mano mentre l'accompagnavo a casa, era decisamente qualcosa.
Il giorno dopo andai a trovarla a casa e solo giusto due minuti, fui spinto dal desiderio di baciarla, la paura era che si fosse allontanata ma con mia grande sorpresa ricambiò. Non fu certo un bacio lungo ma a modo suo era meraviglioso.
Il primo dell'anno volevo portarla a cena fuori e di fatto così fu, ci divertimmo tantissimo e dopo Capodanno trascorremmo insieme una settimana e mezzo facendo le cose tipiche degli innamorati anche se a volte sembrava stanca e svogliata.
Non dimenticherò mai quel giorno perché lei era stata silenziosa per tutto il tempo e io avevo avuto la sensazione che fosse assorta nelle proprie riflessioni. Era un giorno nuvoloso, il vento soffiava a più non posso e lei mi teneva sottobraccio, camminavano ancora più del solito e mi resi conto che lei non si sentiva molto bene.
Di colpo mi fermai, mi girai verso di lei e sorridendole pieno di sentimento, con i battiti del cuore che si facevano più forti, sentivo il bisogno di dirglielo, di dirle che l'amavo più di me stesso.
-Ti amo Jamie, sei la cosa migliore che mi sia capitata-
Non appena le ebbi pronunciate lei incominciò a piangere.
-Ti prego non dire così, ti prego-
E il suo pianto si fece più forte.
-Mi dispiace, mi spiace tanto- bisbigliò tra i singhiozzi
-Perché ti dispiace?-
-Non puoi essere innamorato di me Landon- disse con occhi gonfi di pianto
-Possiamo essere amici, uscire insieme ma non puoi amarmi- continuava a dire.
-Perché no?
-Perché- disse lentamente -sono molto malata-
-Ti curerai- cercai di rassicurarla ma quando pronunciò quelle due parole, mi sentii mancare. Quella parola mi risuonavano nella testa come un martello pneumatico.
-Sto morendo London-
Aveva la leucemia, lo sapeva dall'estate prima.
-No, no deve esserci un errore- bisbigliai
-Mi spiace tanto London- continuava a ripetermi.
Chiusi gli occhi sperando che tutto scomparisse, ma invano. Piangemmo per tutto il tragitto e una volta arrivati a casa sua, il reverendo capì che lei mi aveva parlato.
Il giorno in cui lei mi parlò per la prima volta della sua malattia rimanemmo seduti in salotto con Hegbert e Jamie rispose a tutte le mie domande.
Non sapeva quanto tempo le rimanesse, i dottori non potevano fare più niente, la sua era una forma rara che non rispondeva alle terapie fatte.
Jamie non sembrava depressa, conviveva con quella drammatica sensazione da ormai sette mesi. Mi disse che sarebbe stato meglio non dirlo a nessuno.
La paura mi fece comprendere anche un'altra cosa, mi resi conto di non averla mai conosciuta quando era sana e in quei 18 giorni in cui mi ero innamorato di lei, sembrava tutta la vita, ma ora quando la guardavo, non potevo fare altro che chiedermi quanti ancora c'è ne sarebbero stati.
I giorni a venire, lei diventava sempre più magra e a stento riusciva a tenersi in piedi. I medici le prescrissero delle medicine più forti e lei a causa di queste dosi, sveniva più volte in giornata. Chiese di diminuirle ma niente era ancora peggio dello svenire e per questo anche se erano pesanti le assunse di nuovo. Fu così che con il passare di due settimane si ritrovò nel letto di un'ospedale. Lei continuava a ripetere a tutti che avrebbe preferito morire a casa.
Io ne parlai con mamma e lei non esitò a chiamare mio padre. Anche se in passato ci furono delle divergenze tra mio padre e Hegbert, accettò l'aiuto di mio padre. La portammo a casa ed era sempre sotto controllo, era legata a un macchinario che aiutava a respirarla e ad un altro dove le iniettava un liquido nelle vene.
Ogni giorno, quando l'andavo a trovare, non vedevo nessun miglioramento. Vedevo tutto il contrario, ma non glielo facevo notare e le facevo solo tantissimi complimenti.
Un giorno la situazione si aggravò di molto, era andata in coma. Quando me lo disse mia madre volevo morire. Non lei, non la mia piccola Jamie. Piangevo come un disperato, volevo a tutti i costi trovare una soluzione però mi trovavo in un vicolo cieco senza via di uscita, avevo le mani legate purtroppo. Mi recai da lei, le presi le mani e me le avvicinai alla bocca dove lasciai dei baci. Vedevo tutti piangere, non dovevano, mi ripetevo in mente. Lei si sarebbe svegliata.
Ma sapevo meglio di tutti che auto convincersi non era la soluzione e sapevo bene che solo un miracolo avrebbe risolto la soluzione.
Ogni giorno mi dirigevo in chiesa a pregare, così per mesi e addirittura per anni.
***
Passarono cinque anni e io non persi neanche un giorno. Andavo in chiesa ogni giorno, era ormai diventato una routine. La situazione non migliorava. Io non mollavo, nessuno lo faceva.
Il 27 settembre, mi ricordo il giorno come se fosse ieri, mancava poco a mezzogiorno quando arriva una telefonata dal Hegbert dove diceva che si era svegliata.
Non ci potevamo credere, corro a più non posso e quando la vedo li, sveglia, piansi e piansi. Le andai vicino e lei mi sorrise. Era lì con me, dopo cinque anni era lì ed era sveglia. Si riprese piano piano e dopo un anno di ripresa, era ritornata la mia Jamie.
Non appena vidi che stava meglio le chiesi di sposarla.
Non ci fu giorno più bello di quando ci giurammo davanti a Dio il mio amore eterno.