Era estate, quando lo conobbi.Percorrevo la solita strada ogni tardo
pomeriggio, verso le quattro, poiché di ritorno dalle abituali lezioni di danza che la nostra scuola aveva organizzato.
Non avevo mai sopportato la calura estiva di questi mesi, e nonostante mi ostinassi ad indossare pantaloncini e magliette leggere, l'afa di agosto si faceva sentire, anche troppo.
Forse fu per quello che, sotto il sole cocente, mi sedetti sulla prima panchina che trovai nelle vicinanze.
Respiravo lentamente, cercando di riprendere fiato dalla lunga camminata.Quella fu la prima volta che lo vidi.
Era seduto sull'angolo opposto della panchina, a mezzo metro da me.
Se ne stava piegato in avanti, le mani strette tra i capelli rosso fuoco e la testa rivolta verso il cemento del viale.
Sembrava assorto, forse concentrato su qualcosa di importante.
Poi si alzò bruscamente, e sempre con lo sguardo basso prese a camminare veloce,a grandi falcate.
Mi passò davanti e puntò i suoi occhi nei miei.
Durò una frazione di secondo quel contatto, ma mi resi conto all'istante di aver incrociato gli occhi più belli che avessi mai visto.
Chiari, quasi trasparenti, eppure allo stesso tempo così ricchi di particolari sfumature.
E la cosa più strana era che le avevo riconosciute tutte, queste sfumature: come se le conoscessi da sempre, da tutta la vita.Quando tornai a casa, stanca e confusa, la prima cosa che feci fu disegnare le iridi di quel ragazzo: volevo a tutti i costi immortalarle anche su carta, oltre che nella mia mente.
Colore dopo colore, ricreavo ogni dettaglio e ogni sua tonalità, concentrandomi maggiormente sulle varie gradazioni.
Appesi il foglio alla parete della camera, mentre un ampio sorriso compariva sul mio volto.Passarono molti giorni, prima che riuscissi ad incontrarlo di nuovo.
Questa volta era seduto sull' erba appena tagliata del parco, sotto ad un grande albero.
Stava piangendo: il suo viso era imperlato di lacrime ed i suoi magnifici occhi velati da uno strato di tristezza e dolore.Quella fu la prima volta che ebbi il coraggio di parlargli.
- Stai bene? - gli chiesi, avvicinandomi.
Non mi rispose.
Si limitò a seguire i miei movimenti, mentre mi sistemavo affianco a lui, con le gambe incrociate che affondavano tra i fili del prato.
Mossa piuttosto azzardata, pensai.
Ero sempre stata molto impulsiva, agivo senza mai rimuginare sulle possibili conseguenze delle mie sbadate azioni.
Eppure tutto ciò non sembrava dargli fastidio: si comportava come se semplicemente non ci fossi, immerso tra le sue preoccupazioni e scosso dai frequenti singhiozzi.
Anche questa volta si alzò per primo: con la manica del giubbotto nero si asciugó le ultime tracce del suo pianto, poi si mise in piedi.
Mi guardò, e provai un forte senso di soggezione sotto quel colore vetrato.
Erano qualcosa di potente, i suoi occhi: riuscivano a trasmettermi parte della sofferenza che stava sentendo, e questo lui l'aveva capito.
Lo faceva per liberarsi di un po' di quel peso che, da solo, probabilmente non poteva sopportare.
-No, non sto per niente bene- rivolse il capo verso le sue scarpe- mi chiamo Michael, comunque- e corse via, lasciandomi con una strana sensazione all'altezza dello stomaco ed un pezzo della sua malinconia ancora incastrato tra i miei pensieri.
Quella fu la prima volta che mi parlò.- Cos'è per te la felicità?- glielo chiesi di punto in bianco, osservando come le sue mani strappavano con forza i ciuffi dell' aiuola adiacente al marciapiede su cui eravamo seduti.
Erano trascorse due settimane, e ogni sera scavalcavamo il cancello dell'entrata, dandoci appuntamento sotto all'enorme albero.
Era diventata un' abitudine ormai: parlavamo di tutto quello che ci passava per la mente, dando voce alle nostre domande e cercando loro una possibile e soddisfacente risposta.
Il cantare dei grilli era l'unico nostro sottofondo,non c'era nessuno intorno a noi: il parco era chiuso.-La felicità per me è solo l'insieme delle nostre tante speranze infrante: in un certo senso non esiste.
Se ci pensi è solo un' illusione, una condizione temporanea: inizialmente siamo tutti convinti di stare bene, ma poi, quando incontriamo i troppi ostacoli che la vita ci pone davanti, ci rendiamo conto di essere veramente fottuti.
La nostra certezza crolla improvvisamente, e veniamo catapultati nella vera realtà che è il mondo che ci circonda, in cui pochi riescono a farsi strada.
La maggior parte delle persone, invece, non troverà più il cammino precedente.- mi disse questo, mentre fissava il firmamento coperto da miriadi di stelle.
La luna gli illuminava le guance lattee, in contrasto con i suoi accesi capelli.
Le sue iridi brillavano quasi di una luce propria: ero abbastanza sicura che avrebbero fatto invidia persino a tutte le lucciole che ci volavano intorno.
Riflettei su queste parole, e annuii, dandogli completamente ragione.
Quello che accadde dopo, fu una cosa totalmente inaspettata: mi baciò.
Un bacio lento, delicato, forse anche a tratti insicuro: le sue labbra si muovevano con una dolcezza disarmante, mentre calde lacrime si mischiavano al sapore di menta e caramello.
Fu lui a interrompere quel piacevole contatto: ebbi un brutto presentimento, alla vista delle sue iridi lucide.
Stava annegando in qualcosa che non conoscevo, e quel qualcosa lo stava pian piano portando via da me.-Ricorda, nessuno è felice per sempre.
Forse anche tu un giorno te ne accorgerai- stava crollando, il tono sempre più incrinato e spezzato dal dolore.
Strinse forte gli occhi e scappò via, fuori dal cancello arrugginito.
Questa volta piansi anch'io, ranicchiata sotto l'immenso albero sempreverde.Quella fu l'ultima volta che lo vidi.
Lo cercai dappertutto, ma in città non lo trovavo più, nemmeno al nostro parco.
Fece così male scoprire che se n'era andato per uno stupido ed incurabile cancro al cervello.
Vado a trovarlo ogni giorno, quando posso, e mi sfogo raccontandogli tutto quello che mi accade, come se fosse veramente ancora qui con me.
Perché la mia felicità l'avevo trovata in lui, nel ragazzo infelice e prezioso che era.
Mentre ora le uniche cose che mi rimangono sono quel disegno colorato in fondo al cassetto e i brevi ma intensi ricordi della nostra particolare amicizia finita troppo presto.Aveva ragione Michael: nessuno è felice per sempre, e io me ne sono accorta solo adesso che non avrei mai più rivisto quelle stupende iridi tristi.
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Green Eyes || M.C. OS
Short StoryErano qualcosa di potente, i suoi occhi: riuscivano a trasmettermi parte della sofferenza che stava sentendo, e questo lui l'aveva capito. Lo faceva per liberarsi di un po' di quel peso che, da solo, probabilmente non poteva sopportare.