Capitolo Primo.
Sin da piccola, ricordo che io e mia sorella adoravamo farci scherzi a vicenda: soliti 'booh' urlati a squarcia gola dietro la porta, la televisione che si accendeva e spegneva da sola, chiuderci a chiave in camera o addirittura chiuderci fuori casa. Agli occhi degli adulti erano cose apparentemente innocue, esattamente quello che anche noi bambini pensavamo. Ma gli scherzi durarono poco. Tutto iniziò a cambiare quando mia sorella, raggiunta l'età adolescenziale, iniziò a fare nuovi scherzi, di quelli che ormai non sembravano più essere tanto innocui. La mattina mi ritrovavo gatti morti nel letto, teste sgozzate di povere creature, il nostro cane Rory sbudellato e appeso al muro con evidente difficoltà. Fu solo dopo quest'ultima scena, che i nostri genitori decisero che c'era qualcosa che proprio non andava in lei. Quattro settimane dopo, la portarono all'ospedale di Central Pick, dove conobbero la psicologa Louise Tassidoro, una donna italiana trasferitasi da poco qui, in Florida, per proseguire i propri studi. Ricordo che il primo giorno di seduta, decisi di accompagnare mia sorella, giusto per farci parlare entrambe con lei. Dopo aver aspettato ben cinquantadue minuti fuori dal suo studio, finalmente un signore dalla camicia azzurra e un cartellino attaccato al petto con su scritto 'Michael Johanson', si avvicinò a noi.
- Ronnie Anderson e Perrie Anderson? - disse ad alta voce guardandoci tutti negli occhi. Uno per uno.
- Sono le piccole. - rispose mia madre accennando un sorriso e puntando il dito verso noi. Mi mise dolcemente la mano alla schiena come segno di incoraggiamento, mentre a mia sorella non diede nemmeno un'occhiata. Ammetto che in quelle ultime settimane, i miei genitori erano sembrati molto spaventati da lei. Nonostante i suoi giovani e innocui dodici anni, Perrie durante l'ora di cena fissava sempre tutti dritto negli occhi. Non toccava cibo, ma nonostante questo, teneva sempre la forchetta ben stretta nella mano sinistra e mai nella mano destra, come invece era solita fare. Quando era l'ora di andare a dormire, sembrava che i miei genitori trovassero sempre una scusa per venirci a controllare.
- Scusate, non riesco a trovare la mia collana. - diceva spesso mia madre con volto impassibile. Dopo tutto, anche Perrie aveva un ruolo importante in quella situazione. Restava spesso chiusa in camera con le serrande chiuse e la luce spenta, vietando a chiunque di entrare. Spesso, dietro il letto e dietro l'armadio trovavamo segni di unghie e scarabocchi che segnavano croci e bambini. Non mi rivolgeva mai la parola, anzi, non mi guardava nemmeno più in faccia.
- Prego, da questa parte. - disse l'uomo dalla camicia azzurra mostrandoci la porta davanti a noi. Era di legno chiaro, esattamente come piace a me. In primo piano c'era un'altro cartellino, poco più grande di quello sulla camicia azzurra dell'uomo che ci stava accompagnando. 'Ufficio di Louise Tassidoro'. Una cosa che mi disturbava molto, fu che mentre percorrevamo quei quattro metri, gli altri pazienti ci fissavano. Non volevo pensassero che fossimo malate o che avessimo chissà quale problema in famiglia, anche se era esattamente così.
E non si trattava mica di un problema come ad esempio di bambini che non riescono a controllare la propria vivacità.
Quando varcammo la soglia, la stanza che ci trovammo davanti si presentò molto accogliente: Le mura erano sottili e bianche. Non di un bianco chiaro, ma poco scuro, esattamente come quello delle nuvole quando la pioggia sta per arrivare. Mi piaceva anche l'idea che mi ero fatta su quel colore. Mi ricordava che dovevo proprio pensare come una bambina di otto anni avrebbe dovuto fare. Guardavo mia sorella, la quale fissava il pavimento, altrettanto bianco. Quando si accorse del mio sguardo su di lei, si voltò subito verso di me, fissandomi con un orribile rabbia, cosa che non dimenticherò mai. Mi aggiacchiò completamente. Aveva gli occhi piccoli e completamente neri. Sprigionava una sensazione molto strana. Non si trattava di tristezza, timidezza o paura del mondo che la stava circondando in quel preciso istante. C'era odio e tanto nero. Un nero quasi indescrivibile, astratto, vero e violento.
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| Lei |
ParanormalPrincipalmente, non penso sia una dei miei racconti migliori. Non ho dedicato molto del mio tempo nel scriverlo, perciò da alcuni aspetti potrebbe non risultare interessante e forse, talvolta, persino ripetitivo. I racconti che maggiormente preferi...