Prologo

35 3 0
                                    

" Louis te lo giuro, se esci da quella porta non ti permetterò di tornare! "

" Non c'è pericolo, padre. "

La sfumatura nella mia voce, non conteneva un briciolo di rabbia, l'unica cosa che si poteva scorgere in quelle poche parole, era la rassegnazione e la delusione.

La prima non mi aveva mai abbandonato fin dal giorno in cui ero nato, ero passivo a quel comportamento di mio padre, poiché lo usava tanto spesso da far diventare la tranquillità familiare un sogno e un'eccezione, la seconda era data dall'annientamento dell'unica speranza di arrivare, un giorno, a un vero rapporto padre-figlio.

Uscii dal salone della grande casa in cui ero cresciuto, sperando che lui non mi seguisse. Ma come sempre, avevamo piani diversi. Quando arrivai davanti alla porta, dopo aver superato il corpo alto e muscoloso di mio padre, buttai il borsone contenente le mie cose a terra davanti all'appendiabiti , presi il mio cappotto e lo infilai, con lo sguardo fisso al pavimento.

"Sei troppo buono"

Diceva sempre Niall, ma io non lo ascoltavo mai, non esisteva che io fossi buono. Agivo semplicemente in base a ciò che le situazioni richiedevano, e se richiedevano che io aiutassi qualcuno lo facevo. E' vero, non lo facevo mai con distaccamento o disinteressa ma di certo non era la priorità della mia vita aiutare il prossimo, per questo, ogni volta che il mio fedele vicino di casa mi diceva cose del genere, ridevo e cercavo di spostare il discorso su altri argomenti.

Per lo stesso motivo, cercai con tutte le forze di non guardare quell'uomo in faccia. Io non gli dovevo niente, eppure dovevo aver ereditato da qualche lontano parente dimenticato, uno schifoso tradizionalismo, che mi portava a dare sempre e comunque, fin troppa importanza ai legami familiari. Se in quel momento mi fossi permesso di guardare quelle furiose iridi scure, avrei sicuramente ceduto al peso della genetica. Avrei rimesso tutti i miei vestiti nell'armadio,avrei tolto il cappotto, sarei andato in cucina a pulire, avrei stracciato la lettera di ammissione al college per poi firmare le scartoffie che ci avevano portati a quel punto.

Scossi la testa ripercorrendo velocemente tutti i motivi per cui lo stavo facendo, tutti i motivi per cui stavo lasciando la mia bella New Orleans, la mia casa,i miei amici e sopratutto, mio padre, questo mi diede quel minimo di convinzione in più che mi servì per abbassarmi e issare il borsone sulla mia spalla.

Mi avvicinai a mio padre, ignorando completamente l'aura di rabbia che lo circondava minacciandomi e poggiai una mano sulla sua spalla, con l'espressione più sentitamente addolorata che io avessi mai avuto dipinta in volto. Lui seguì il movimento, e posò lo sguardo sulle mie dita strette alla sua camicia.

"Non sai quello che fai, Louis. "

"Lo so benissimo invece. Non ho intenzione di rinunciare a nient'altro per questa famiglia. "

Mi guardò come se con quelle parole avessi rovinato il rapporto tra il padre dell'anno e il figlio senza meriti, come se il pensiero che io potessi ferirlo non gli fosse mai passato per la testa, come se vedermi convinto e motivato piuttosto che succube e accondiscendente fosse una cosa innaturale. La mia mano cadde dalla sua spalle in conseguenza al suo indietreggiare, aveva gli spalancati e le ridi iniettate di sangue. Sospirai guardandolo con finto disinteresse, e pochi secondi dopo stavo guardando all'estrema destra dell'ingresso di casa. La sua mano aveva urtato contro la mia guancia, in uno schiaffo che mi aveva fatto voltare completamente la testa.

"Come osi?"

Urlò quasi sconvolto guardandomi con ira.

"Lavoro da ben 35 anni per garantirti un futuro. I miei hotel non sono abbastanza per te? E' la tua dannatissima eredità, come puoi rifiutarla? Come puoi farmi questo? Dopo tutto.."

"Cosa? Dopo tutto..? Quello che hai fatto per me? "

Lo interruppi sorprendendolo ancora di più, tanto che indietreggiò un'altra volta - cosa piuttosto strana per lui-. La rabbia si dissolse lasciandogli solo amarezza, facendogli capire cos'era appena diventato: un uomo che non aveva più niente.

Lo guardai, e dal mio sguardo, sicuro come il sole si notò la pietà che provai per lui. In fondo io lo aveva sempre considerato un uomo senza arte ne parte, senza valore, senza nessun legame con il mondo, e indirettamente , non solo gli feci capire ciò che pensavo, riuscì anche a fargli capire che era la verità.

"Allora?"

"Vattene Louis.. e non tornare. "

Un ironico sorriso mi si formò sul volto mentre guardavo quell'uomo rifugiarsi nell'antro del menefreghismo sperando di riuscire a usarlo come scudo, scossi la testa e dentro di me sentii una frustrazione che non avevo calcolato, evidentemente una parte di me, aveva sperato di poter davvero sentire delle parole di affetto, se non di supplica, evidentemente una briciola del mio subconscio era ancora convinta del fatto che Troy Tomlinson sentisse dell'affetto per un figlio mai davvero riconosciuto come tale.

Annuii più volte indietreggiando con la testa bassa e gli occhi umidi. Era finita, era finita davvero. Dovevo solo girarmi e chiudere la porta, solo quello. Ma qualcosa me lo impediva. Alzai la testa, rompendo anche la regola del ' I veri uomini non piangono' e lo guardai dritto negli occhi, sentendo i miei riempirsi come fossi durante un temporale.

"Lei mi avrebbe incoraggiato. Mi avrebbe dato il suo appoggio, mi avrebbe accompagnato, si sarebbe assicurata che fossi felice e che stessi bene. E se sto andando via, è anche per lei. Diceva sempre quando si smette di sognare si inizia a morire, ricordi? Se ti sei arreso alla tua sorte buon per te, crogiolati nell'avara autocommiserazione che sognavi per la tua vecchiaia, ma inizia ad abituarti all'idea di viverla in solitudine. Anche se poi.. la mia presenza non ti ha mai cambiato nulla, non ha scombinato un solo giorno di lavoro, una sola pagina della tua agenda ricca di impegni, non una riunione, non una cena d'affari. Allora continua, fai quello che ti riesce meglio. Lavora e produci, rendi vano ogni giorno della tua vita, calpesta le promesse che le hai fatto. E' la tua specialità. "

Le parole uscirono da sole e io ne fui grato, conoscendomi sapevo, che dopo un attento ragionamento e un'accurata analisi avrei etichettato quelle affermazioni come meschine e inappropriate, ma per una volta, il mio istinto ebbe la meglio, la rabbia repressa, le delusioni accumulate e le profonde mancanze di una vita, si insinuarono prepotentemente prima nel mio cervello, spegnendolo, e poi nella mia bocca, facendomi dire ciò che tante volte avrei voluto dire, ma che sempre per la stupida cazzata della genetica non avevo mai detto.

Indietreggiai,poi mi voltai, scesi i due scalini che mi portarono sul tappeto che si allungava fino alla porta d'ingresso e riuscii solo a pensare che stavo per aprirla per l'ultima volta. Camminai con estrema lentezza verso di essa. Arrivato e messa una mano sulla maniglia, sentii il mio nome uscire dalla bocca di mio padre. Con la mano stretta alla maniglia presi una respiro e mi voltai con un'aria fintamente seccata da quell'interruzione.

"Louis?"

"Che c'è adesso? "

"Non avvicinarti alla tomba di tua madre. "

Poteva farlo? Non lo sapevo,quelle parole mi mandarono nel panico totale, ma fortunatamente riuscii a tenerlo ben nascosto,fu solo l'ennesima macchina ad aggiungersi al traffico già esistente nella mia testa. Abbassai lo sguardo e lo rialzai, colmo di risolutezza.

"Addio, papà. "

Aprii la porta, senza più voltarmi indietro, e la chiusi uscendo. Quella parte della mia vita era finita, l'avevo appena buttata al vento, non avevo una casa, non avevo un lavoro, non avevo mia madre , ne potevo andare alla sua tomba. Avevo un borsone con qualche vestito, una lettera di ammissione al Boston College and University e i risparmi di una vita ma di sicuro non avevo paura di ricominciare. 


what you see in me? [ Larry ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora