Lucciole

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Thomas oramai era abituato ad aiutare i pazienti, avendo la madre medico ed essendo lei anche una delle primarie nella clinica privata, sapeva cosa doveva fare. Aiutava soltanto le persone sulle sedie a rotelle, le portava nelle stanze o nell'ambulatorio, teneva sott'occhio i bambini nella sala dei giochi, si assicurava che i pasti fossero serviti.
Oramai Thomas era di casa, nella clinica, così come era di casa Marco.
Thomas non sapeva esattamente quale malattia il ragazzo avesse, sapeva che c'entrava qualcosa il sangue e il livello di globuli rossi in esso, ma qualunque cosa fosse, Marco era spesso nella clinica.
Thomas, un po' perché Marco aveva la sua stessa età ed un po' perché era nella sua natura altruista, aveva subito cercato di fare amicizia col ragazzo.
Marco lo aveva guardato male, coi suoi occhi grigi e tempestosi, e i capelli biondo cenere che gli cadevano in fronte.
Aveva sempre una sacca di sangue attaccata alla flebo, Thomas non lo trovava strano, soprattutto considerando che la malattia del biondo riguardava i globuli rossi.
Marco non aveva voluto parlare con l'altro, dicendogli che poteva andarsene.
Gli occhi verdi di Thomas si erano intristiti, non capendo come mai il biondo non volesse parlargli, ma poco dopo trovò altre cose con le quali tenere la mente occupata, per non pensare al cipiglio che faceva capolino sul volto di Marco.
Si era passato un mano fra i capelli ricci e neri, aveva sorriso al biondo mentre usciva dalla stanza, ed era tornato al lavoro.

Proseguì cosí per un paio di settimane, le visite di Marco erano frequenti, ma in nessuna di queste Thomas riuscì a parlare al ragazzo. Non più di qualche parola spiccicata, la maggiorparte erano saluti di Thomas, ricambiati da un "ciao" più mogio di Marco.
Un giorno di quelli, però, mentre Marco aspettava pazientemente che le infermiere gli facessero il letto, propose qualcosa a Thomas, che stava tenendo in braccio il piccolo Matteo, compagno di stanza di Marco.
"Thomas, mi potresti accompagnare a fare un giro?", chiese il biondo.
Il ragazzo più alto guardò stupito l'altro, sorridendo al fatto che il biondo lo avesse chiamato per nome.
"Certo!", rispose sorridente. Appena le infermiere finirono di fare il letto ai due compagni di stanza Thomas aiutò Marco a sistemarsi una felpa sulle spalle e gli aprì la porta per farlo uscire.
Marco sembrava il solito di sempre, le occhiaie marcate, le lentiggini che con l'arrivare dell'inverno si erano sbiadite e le labbra screpolate.
Era più piccolo di Thomas, almeno di venti centimetri, ma al moro questo piaceva. Gli era sempre piaciuto essere più alto degli altri, gli sembrava di poterli proteggere meglio.
"Dove vuoi andare?", chiese il moro, salutando con la grande mano un'infermiera.
"Dalla cappella", fu la laconica risposta di Marco.
Thomas piegò la testa come un cagnolino smarrito, non capendo come mai Marco volesse proprio andare nella cappella, ma poi scrollò le spalle, decidendo che non era importante quanto il fatto che Marco finalmente gli avesse permesso di parlargli.
La piccola chiesa era all'ultimo piano della clinica, nella parte ancora vecchia. Era lì perché le persone speravano ancora in un Dio, ma Thomas aveva sempre e solo pensato che fosse lì a causa del grande organo, difficile da smontare e portare via. Era sicuro che altrimenti avrebbero usato quello spazio per altro.
Percorsero due corridoi, Marco trascinava i piedi nelle sue pantofole con i dinosauri, Thomas le aveva trovate adorabili, ma non lo aveva mai detto.
Il moro era poco dietro al biondo, salutando le persone che gli sorridevano con felicità.
Il ragazzo più alto dovette aiutare il più piccolo con l'albero della flebo quando dovettero entrare nella cappella, siccome c'era un piccolo scalino prima della porta.
Una volta entrati Marco andò diritto verso il grande organo in fondo alla sala, sedendosi sulla panchina ed osservando i tasti ingialliti dal tempo.
"Sai suonarlo?", chiese Thomas, incuriosito.
Marco scosse la testa, limitandosi a far passare la mano libera daa flebo sull'avorio polveroso.
"Thomas, tu hai mai visto cose... strane? Qua nella clinica, intendo"
"Mh, cosa intendi per strano?"
"Bha, non so... cose che non dovrebbero esserci"
Il moro inclinò la testa, osservando la mano affusolata di Marco spolverare i tasti oramai dimenticati di quello strumento.
"Che io mi ricordi niente, tu invece le hai viste?"
Marco si voltò improvvisamente verso Thomas, accorgendosi solo in quel momento di essere incredibilmente vicino al moro.
Il ragazzo più alto sorrise gentilmente e i suoi occhi azzurri sembrarono sciogliersi per la tanta gentilezza.
"Forse...", mormorò il biondo, lasciando cadere la mano in grembo.
"E cosa hai visto?"
"Lucciole"
Dopo uno sguardo interrogativo del moro, Marco abbassò lo sguardo.
"Lucciole, però d'inverno. Le ho viste qua sopra, fra le canne dell'organo"
"Non dovresti uscire di notte, non senza essere accompagnato"
Marco sbuffò, tornando di nuovo a puntare i propri occhi cinerei in quelli azzurri del moro.
"Non sono pazzo, rimani con me qua stasera e le vedrai anche tu"
Thomas osservò i tratti delicati di Marco, le lentiggini e le labbra screpolate, gli occhi grandi e circondati da occhiaie.
Si rispecchió nel grigio leggermente sporcato dal verde dei suoi occhi, per la prima volta concentrandosi nella propria immagine riflessa che in ciò che la rifletteva.
"D'accordo, starò con te"

☆☆

Non ho idea di cosa questo testo significhi, potrebbe anche avere un seguito. Forse no.
Grazie per aver letto♧

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