~The kid who survived

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BETH'S POV

La prima cosa che venne in mente a Beth quando scese dall'aereo fu che il Canada era troppo freddo per i suoi gusti.
Non che Londra fosse calda, ma di sicuro non così fredda.
Aveva già previsto la sua vita di merda in quell'insulsa città del Quebec.
Erano le 23.00 quando atterrarono, e le luci della città illuminavano la neve creando dei giochi di luce che facevano apparire la città quasi carina.
Recuperarono le valigie e chiamarono un taxi che li portò nella loro casetta.

Beth pensò che fosse carina, accogliente, e quando uscì di nuovo a contatto con l'inverno canadese, desiderò solo di entrarci e piazzarsi davanti al caminetto.
Si voltò e vide Harry prendere per il braccio Anne, mentre Ken trasportava le valigie più pesanti.
Prese la sua dal bagagliaio con un nodo in gola ed entrarono.
Era accogliente. Il riscaldamento non era ancora acceso, ma c'era qualcosa in quella piccola abitazione, che faceva sentire Beth a casa.
Stranita da questa sensazione, si guardò intorno, imprimendosi nella mente ogni dettaglio della sua nuova dimora.
Il salotto alla sua sinistra era grande, le pareti erano di un giallo pastello che davano alla ragazza un senso di tranquillità e benessere.
Niente a che vedere con la sua casa nell'amata Londra, ma ci andava vicino.
L'arredamento era antiquato, così come in salotto anche in tutta la casa.
In cucina regnava un gran lampadario che cadeva dal soffitto con imponenza.
Davanti a lei, le scale che portavano alle camere.
Harry fischiò. «Niente male.»

Beth si scelse la camera più bella e più spaziosa, e con un balcone che dava sul giardino.
Appena aprì la porta-finestra il vento invernale la fece rabbrividire, e la richiuse in fretta.
Non si sarebbe mai abituata a tutto questo, lo sapeva.
Era solo troppo giovane per decidere, ma appena compiuti i diciotto anni, se ne sarebbe tornata nella sua città natale, dove giacevano tutti i ricordi a cui lei era irrimediabilmente legata, e la vita alla quale era stata strappata senza alcun preavviso.

JUSTIN'S POV

Guardò in alto, dove Chris richiamava.
Si chiese cosa diavolo ci facesse il suo amico sul tetto di un palazzo abbandonato, ma non aveva tempo per le domande.
Il telefonò vibrò nella sua tasca. «Come diavolo ci sei arrivato?» chiese, senza nemmeno controllare chi fosse.
Sentì Chris ridere sommessamente. «Le scale antincendio. Si trovano sul retro.»
Justin allora riattaccò, sgattaiolando nel retro del palazzo, trovando subito le scale. Le salì rapidamente e arrivò in cima senza fiato.
Aveva sempre avuto un debole per le cose proibite, e tirarsi indietro nel suo vocabolario voleva dire essere deboli, equivaleva a non vivere, a buttare una vita al vento.
E l'ultima cosa che Justin voleva fare era tirarsi indietro.
Montreal splendeva sotto e intorno a loro. L'aria era fredda e la neve imbiancava i tetti di case e palazzi.
Il ragazzo, che non si arrendeva mai, si sporse oltre il cornicione e guardò in basso. Le macchine sfrecciavano a tutta velocità.  Quella strada era particolarmente pericolosa. Lui stesso aveva rischiato un paio di volte di farsi investire, ma sapeva bene cosa voleva dire, e non gli sarebbe importato.
《Allora? Che ne pensi?》la voce dell'amico gli arrivò grazie al vento.
Senza alzare il viso da sotto di sé -come un capo che guardava il suo esercito dall'alto, come se fosse la persona più invincibile del pianeta- annuì. 《È una figata. -si girò a guardare Chris- Allora? Ce l'hai?》
Il ragazzo sorrise, sventolando nella mano un sacchetto di nylon. 《Non potevo di certo venire qui a mani vuote.》
Justin si avvicinò e aprì il sacchetto. Non si è di certo fatto trovare impreparato.
Due canne erano già state girate e pronte per essere fumate.

Si sedette sul cornicione con le gambe a penzoloni, con lo spinello tra l'indice e il medio. Si godette per bene il paesaggio della città in cui era nato, catturandone ogni particolare, mentre il fumo raggiungeva i suoi polmoni e li abbandonava, mentre l'effetto della marjiuana gli annebbiava pian piano il cervello.
Intravide l'autostrada, più a nord, e la seguì con lo sguardo, finché la strada spariva aldilà dell'orizzonte e si addentrava nel buio.
Chiuse gli occhi, ma appena lo fece, le immagini di quella fredda sera di febbraio comparirono nitide e vivide.
Li riaprì e di nuovo si trovava sul tetto di un palazzo, Christian di fianco a lui, sei anni dopo.
《Amico, stai bene? Sembra tu abbia appena visto un fantasma.》 Doveva aver visto il suo cambiamento d'umore.
Succedeva, ogni tanto, che i fantasmi del passato tornassero a fare visita nella sua mente. Gli facevano mancare il respiro, gli toglievano il sonno, lo costringevano ad andare a scuola con due occhiaie enormi.
La canna, ormai ridotta al filtro, scivolò tra le dita di Justin e volteggiò nell'aria, fino a raggiungere il suolo, 10 metri più in basso.
Eccolo, il fiato che si faceva corto, e i volti dei suoi genitori pronti ad aspettare che chiudesse gli occhi.
Si alzò, camminando alla cieca nel tetto. Doveva andarsene, oppure poteva rimanere lì, poco importava. In ogni caso, non avrebbe dormito.
Sentiva l'amico chiamarlo, sentiva i fischi del vento sulle sue orecchie. La sua mente era troppo popolata.
La mente di un ragazzo malato.
《Dio mio, Justin. Ti accompagno a casa!》la mano di Chris si strinse attorno al suo braccio e non si accorse che era accucciato al centro del tetto, in cerca di un po' di aria.
Senza opporsi si fece trascinare giù per le scale antincendio, successivamente salì sulla sua macchina e appoggiò la fronte al finestrino. Chris non conosceva le sue crisi, Meg si, ma non lo abbracciava mai. Gli rimaneva solo vicino finché non si calmava e piombava nel mondo dei sogni.
L'amico guidava lanciandogli uno sguardo ogni tre secondi, preoccupato, impreparato.
Justin era troppo intontito per riprendersi e dare spiegazioni al ragazzo, ma avrebbe pensato più avanti a cosa inventarsi per giustificare questa sua crisi.
La casa di Meg era ormai vicina, e infatti la zia era già fuori ad aspettare il nipote.
Sembrava sapesse già che sarebbe arrivato, o forse Chris l'aveva chiamata.
Fatto sta che appena scese dalla macchina, lei lo afferrò per un braccio.
《Cosa avete fatto?》 Chiese al moro, come se fosse stato lui ad avere la colpa di tutto ciò.
《Niente, parlavamo e improvvisamente è impallidito e ha iniziato a respirare affannosamente.》
《Parlavate,eh?》 Chiese amaramente. Meg sapeva benissimo come passava il tempo Justin. 《 va bene Chris, grazie mille per averlo riportato a casa. Buona notte.》
Justin non sentì il saluto dell'amico, perché era già corso dentro casa. 《Dove credi di andare, signorino?》chiese la zia dai piedi delle scale.
Il ragazzo continuò a salire, con l'intenzione di ignorare la donna, come aveva eempre fatto. Sapeva bene che il modo in cui la trattava era sbagliato, ma guardarla e non pensare a sua madre, alla vita che gli era stata negata, non ci riusciva. Meg rappresentava una negazione ai suoi occhi.
《Justin! Mi vuoi stare a sentire una buona volta?》tuonò la donna dal piano di sotto, e Justin non poté che fermarsi, allibito dalla fermezza che non le era mai appartenuta.
Si girò a guardarla, stringendo spasmodicamente il corrimano. Era in quei momenti che avrebbe voluto spaccare il mondo o buttarsi giù da una finestra, era in quei casi che avrebbe voluto l'affetto di sua madre.
Ora, la voce di Meg era più calma, più contenuta. 《Ti... ti è successo ancora, vero?》
Al silenzio del ragazzo, la donna continuò. 《Le visioni. Sono riapparse?》
Justin annuì lentamente, la testa gli scoppiava. Anche Meg rimase in silenzio, incapace di dire altro.
D'altronde, cosa si poteva dire in questi casi? Che Justin aveva dei seri problemi, che sarebbe stato meglio per tutti se lui fosse sparito dalla faccia della terra, esattamente come i suoi genitori.
Magari, così,  avrebbe messo fine alle sofferenze di tutti.

***

Il suono della campanella scolastica gli rimbalzò nella mente. A Justin sembrò che qualcuno stesse battendo dei piatti, con la sua testa in mezzo.
Nonostante ciò, s'incamminò tra i corridoi a sguardo basso. Non voleva assolutamente trovare qualcuno che avrebbe potuto fargli domande sulla sera precedente.
Al suo passaggio, tutti alzavano un po' la testa o distoglievano l'attenzione da quello che stavano facendo per lanciargli un'occhiata.
Era famoso tra isuoi coetanei; oltre ad essere Il ragazzo pieno di problemi mentali e che ha assistito alla morte dei suoi genitori, era anche un'attaccabrighe. Uno dei più noti, in realtà.
Lo guardavano come se fosse stato un caso clinico, un animale esotico.
Ciononostante, continuò a camminare, e quando arrivò alla sua classe -in ritardo-, il professor Coleman non si risparmiò la ramanzina.
《Bieber, quante volte ti dovrò ancora rimproverare prima che tu capisca che a scuola non si arriva in ritardo?》l'uomo sbuffò e si risistemò gli occhiali sul naso, prima di iniziare la sua lezione.
Justin prese posto nel suo solito banco, in fondo alla classe e tirò fuori il quaderno.
Finse di stare attento; come si aspettava non aveva chiuso occhio. Era rimasto a guardare il soffitto finché i primi raggi di sole non iniziarono a filtrare nella sua stanza.
Questi eventi erano quasi all'ordine del giorno, per cui non si meravigliò più di tanto. Ma gli occhi gli si chiudevano da soli.
Passarono due ore, e arrivò finalmente l'intervallo. Si diresse al suo armadietto e mentre stava riponendo un libro al suo interno, Chris lo affiancò.
《Ehi Jus! Come stai? Ieri mi hai fatto prendere un colpo, sai? In realtà non mi aspettavo nemmeno che venissi, ma ne sono felice.》
Troppe parole, pensò Justin, che chiuse la porticina e vi si appoggiò a braccia conserte. 《Sono un fiore, Chris.》
L'amico sporse il labbro inferiore. 《E sei anche di buon umore》commentò a bassa voce, pensando di non essere sentito. Ma Justin non obiettò, sapeva che l'amico aveva ragione.
Chris continuò. 《Ma mi spieghi cosa è successo esattamente?》
Il sangue nelle vene gli si gelò. Avrebbe dovuto dirglielo? No, era un suo segreto. Non voleva che il suo amico avesse pietà di lui. Doveva tenerselo per sé,  com'era giusto che fosse. Sapevano tutti che lui era il bambino sopravvissuto all'incidente che uccise i suoi genitori, e solo per quello si sentiva considerato una fiera da circo, compreso da uno dei suoi amici più cari.
《Ho avuto un mancamento. Sono anemico, ogni tanto succede.》
Inventò tutto, ma il suo amico non sembrò dubitarne. Infatti annuì comprensivo. 《Brutta storia amico, anche mia sorella lo è.》
Poi Christian si imbatté in discorsi che includevano ragazze, feste, alcol e poi passò al suo nuovo videogame. Justin lo ascoltò distrattamente, obiettando qualche volta, ma si capiva benissimo che aveva la testa altrove.
Quando raggiunsero il loro gruppetto di amici, il ragazzo si rianimò un po' e finì con il trascurare tutta la faccenda che gli infestava il cervello dalla sera prima.
Sapeva che non poteva durare per sempre, ma ormai era abituato a nascondere il vero sé stesso, e gli riusciva dannatamente bene.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 23, 2017 ⏰

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