Capitolo 1.

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Sequel di : "For your eyes Only"

Il ragazzo sedeva disperato, sul lettino posto accanto al muro, di quella piccola stanza dalle bianche pareti.

Quel bianco pareva soffocarlo, avvolgerlo in sé fino a farlo scomparire.

A volte, gli sembrava che quelle quattro pareti, avrebbero potuto schiacciarlo, ma forse era solo l'effetto dei medicinali.

Le lacrime, gli cristallizarono le pupille, rendendole acquose e facendo divenire più chiaro il verde delle iridi, che pareva spento.

Infine strinse gli occhi, permettendo a piccole rughette di formarsi ai lati di questi, e alle lacrime di bagnargli le lunghe ciglia e arrossargli gli occhi.

Queste, quasi avviate in un abituale percorso, scesero prima lente e poi veloci, per le sue guance scarne, bagnando la pelle lattea e d'un bianco cadaverico; prima d'arrivare alla delineata mascella e scorrere infine sul letto.

Il percorso d'alcune, fu deviato dai suoi grandi palmi.
Portò le sue longilinee mani, dalle unghie mangiucchiate, a sfregarsi più e più volte il viso dagli ormai, maturi lineamenti.

I palmi, coprivano quasi tutto il suo volto, le dita arrivavano alla sua lunga fronte, sotto poteva sentire la peluria, delle sottili sopracciglia;
col tatto sfiorava il dritto naso e le lacrime assaporavano le sottili labbra.

La gola era secca e deglutiva a vuoto facendo salire e scendere il suo pomo d'Adamo.

La fronte era coperta da un velo di sudore e vari riccioli gli erano appiccicati, ormai i capelli gli arrivavano lunghi, leggermente in sù delle spalle.

Era rannicchiato su se stesso, il corpo d'un possente uomo, altissimo, gambe magre ma muscolose e ventre piatto.

Un corpo che d'apparenza pareva essere d'un essere forte, ma che in realtà era solo un'involucro serviente per nascondere la fragilità e la debolezza del suo animo.

Coperto dal suo maglione, scosse di tristezza sembravano completarlo.

Non gli importava, quanto gli sarebbe stato piccolo quel pezzo di tessuto, gli bastava ricordare chi fosse stato il mittente.

Gli bastava chiudere gli occhi e perdersi in un parallelo mondo, piangere ancor di più, sentendo se pur immaginariamente il calore del suo corpo, riscaldargli il cuore.

Gli bastava chiudere gli occhi, immaginando che lui fosse stato al suo fianco, coccolandolo e amandolo, facendolo sentire speciale in un modo che solo lui sapeva intraprendere.

Gli bastava, ricordare il sapore delle sue labbra, poggiate sulle sue e il suo corpo tremare ad un semplice quanto importante contatto.

Gli bastava, ricordare il sapore dell'amore, il sapore della stessa vita.

I ricordi parevano essere l'unica cosa capace di estraniarlo dal sofferente mondo.
Perché nonostante ricordare gli facesse rimpiangere, quella che una volta era vita.
Era rimasta per lui, l'unica cosa da fare.

Non aveva un preciso stato d'animo, non prevaleva nessuna emozione dalle sue espressioni, nonostante il dolore che celava internamente, si sarebbe potuto scorgere solo osservando il suo tenue riflesso.

Non era nè amarezza, nè indifferenza che portava nei confronti della vita, che aveva saputo portargli via quello che di più caro aveva.

Solo vuoto.

Erano passati anni oramai, ma quel vuoto si estendeva dallo stomaco al petto, facendogli pesare il suo essere inutile.
Il suo essere umano.

Non voleva esserlo, non voleva "vivere", ma se vivere sarebbe equivalso a soffrire, allora avrebbe dovuto farlo.

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