Darina, la madre di James, era la maggior parte del tempo dell'anno lontana da casa per lavoro e James viveva praticamente solo con il padre, Elihja.
Quando a James venne comunicata la morte della madre, non lo vidi più per un anno.
Rimase sconvolto, stava sempre a casa con suo padre, lo aiutava quando aveva del lavoro, aveva macchine o moto da riparare, ed era sempre chiuso nel garage che suo padre usava come ufficina per finire i lavori a casa.
Si chiuse in se stesso, non voleva più avere rapporti, era freddo e costantemente distaccato.
Mi dispiaceva per quell'angioletto dagli occhi azzurri, cercavo sempre di andarlo a trovare o di parlargli, ma lui non ne voleva sapere.
Sapevo che era un brutto periodo per lui, potevo solo immaginare cosa può significare perdere un genitore.
I miei genitori erano ancora vivi entrambi, anche se uno abita al lato apposto del pianeta.
Ma ormai ne ero abituata.
I miei genitori non stanno più insieme da quando io avevo circa un anno e mezzo, mia madre quando mi partorì aveva diciannove anni e mio padre ventuno.
Erano giovani, io fui il loro cosiddetto sbaglio adolescenziale.
Mio padre mi ama, mi ha sempre voluta, è stato lui a convincere mia madre a non scegliere l'aborto.
È l'unico pensiero che mi lega ancora a lui, l'unica dimostrazione del suo affetto, dal momento che quando compii sette anni si trasferì a Firenze e quando ne compii dodici in Svizzera.
Mia madre diceva che lui voleva stare lontano da me.
"Lui se ne lavato le mani, dopo avermi convinta che avere te sarebbe stata la cosa più bella, che saremo stati sempre assieme, che non mi avrebbe mai tradita. E ora guardalo; lui gira il mondo, si fa una vita e io sono qui con te. Se l'e cavata, lui. Mi ha piantata qui, con te." Mi ripeteva sempre mia madre.
Mi spingeva a provare odio per quel padre che diceva tanto di amarci e che poi se n'era andato, lasciandoci sole.