Un magico Natale

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Impasta, prepara la frolla, attendi che sia pronta, stendi, prendi gli stampini e inforna. Lucia fissava con i suoi occhioni blu i biscotti alla cannella, che cuocevano dentro al forno, e mentalmente ripassava ogni passaggio. Le sembrava di non aver mancato nulla, i suoi biscotti natalizi erano quasi pronti per essere mangiati. Non aveva dimenticato nessuna forma. C'erano l'albero di Natale e il pupazzo di neve, il bastoncino di zucchero e il berretto di Babbo Natale, la renna e il pacco regalo.
In casa la magia del Natale era arrivata e lei, con un sorriso soddisfatto incastonato nei suoi lineamenti di porcellana, andò a prepararsi per la serata.
Un trillo di cellulare destò i suoi pensieri. Sullo schermo apparve un numero sconosciuto. Accarezzò leggermente lo schermo per scoprire chi c'era dall'altro lato.
«Lucia, amore, sono la mamma». La voce rimbombava dall'altro capo del telefono, facendo notare tutti i chilometri che le separavano.
«Mamma, ma lì sarà notte». Rispose preoccupata Lucia, quasi invertendo i ruoli.
«Non ti preoccupare, tesoro mio. Volevamo farti gli auguri. Qui non c'è molto campo e tra un po' scenderemo lungo il fiume in canoa». Il tono di sua madre era allegro e spensierato, come non lo sentiva da tempo.
«Scenderete il fiume in canoa, ma se tu fai il bagno solo dove tocchi?». Lucia si allarmò ancora di più.
«Tranquilla, siamo in ottime mani. Sono già arrivati Diletta e Massimo?».
«Saranno qui a momenti».
«Vedrai che passerete un magico Natale. Aspetta ti passo papà, vuole salut...».
Un beep inaspettato fece cadere la comunicazione. Lucia rimase qualche secondo a fissare il cellulare, poi sorrise all'apparecchio come se sua madre potesse vederla.
I suoi genitori avevano deciso di concedersi una seconda luna di miele dopo trent'anni di matrimonio ed erano partiti un paio di giorni prima per un tour del Sud America. Avevano insistito che lei partisse con loro, ma all'ultimo momento non era riuscita a farsi accordare le ferie. Sarebbe rimasta a Milano e avrebbe trascorso il giorno di Natale con i suoi migliori amici, che l'avrebbero raggiunta da Roma.
Diede un ultimo sguardo al forno e si diresse in camera da letto per cambiarsi. Un altro trillo cambiò di nuovo i suoi programmi.
«Diletta, ciao. Siete arrivati in stazione?» chiese, riconoscendo il numero dell'amica.
«Ehm, Lucia veramente abbiamo un problema». La voce di Diletta non preludeva nulla di buono. Lucia restò in silenzio, in attesa che l'amica finisse la frase. «Siamo al Pronto Soccorso, Massimo è scivolato in stazione e si è slogato una caviglia. Appena usciamo da questo inferno, saltiamo sul primo treno e ti raggiungiamo».
«Oddio, come ha fatto?» chiese Lucia, che qualche secondo dopo sbarrò gli occhi. Aveva appena realizzato che avrebbe passato da sola la vigilia di Natale.
«Mi dispiace tantissimo. Giuro che se non lo amassi così tanto lo ammazzerei con le mie mani. È caduto perché gli era sembrato di vedere un giocatore della Juventus».
«Uomini» ironizzò Lucia.
Il loro legame era così forte, che riuscirono a ridere di quello spiacevole imprevisto. Diletta dovette chiudere la comunicazione, perché era arrivato il loro turno.
Lucia restò imbambolata a fissare il cellulare. Un piccolo sbuffo proruppe dalle labbra. Cosa doveva fare? Non le veniva nessuno in mente da contattare. L'unico rimasto in città era quello sfigato del suo capo e non lo avrebbe chiamato per nulla al mondo.
Fissò l'albero di Natale, pieno di lucine colorate intermittenti, e fece spallucce. Per salvare quella serata ci sarebbe voluta solo una magia e lei non credeva più a quelle cose da quando era bambina.
Decise di non cambiarsi più, visto che sarebbe stata sola andava bene restare in jeans e felpa extra large. Fermò i lunghi capelli biondi in una coda alta e si diresse in cucina. Era ora di tirare i biscotti dal forno. Avrebbe fatto una cioccolata calda e quella sarebbe stata la sua cena. In TV davano Love Actually, che le avrebbe tenuto compagnia mentre lei si sarebbe stravaccata sul divano.
Sistemò i biscotti in un piatto a forma di albero di Natale e ne addentò uno. Un sorriso soddisfatto comparve sul suo viso. Erano i migliori biscotti che avesse mai fatto, peccato che li avrebbe mangiati solo lei.

***

Drin.
Una bussata di campanello decisa interruppe la sua solitudine. Non potevano essere Diletta e Massimo e non aveva nessuno nella sua vita, che potesse farle una sorpresa. Guardò fuori dallo spioncino e un grosso punto interrogativo apparve sul suo viso. Corrugò la fronte e arricciò le labbra vedendo fuori la sua porta un uomo anziano con la barba e tutti i capelli bianchi.
Drin.
Lo sconosciuto non si arrendeva. Decise di aprire.
«Salve. Sono un inquilino della Scala A, sto bussando a tutte le porte per chiamare a raccolta chi è rimasto qui stasera». La voce dell'uomo era squillante come una tromba, nonostante mostrasse molti anni, e aveva il sorriso di chi è rimasto giovane dentro.
«Salve», fu l'unica cosa che riuscì a rispondere Lucia.
«Io e mia moglie ogni anno prepariamo la cena nella sala dove si svolgono le riunioni comunali. Perché non si unisce a noi? Basta anche solo la sua presenza».
Lucia fece spallucce e si disse, perché no? Almeno sarebbe stata in compagnia, il divano sarebbe stato lì ad attenderla ancora per un bel po'.
Con un viso sorridente annuì a quel simpatico vecchietto, che non aveva mai visto. Afferrò il piatto dove aveva adagiato i biscotti e lo seguì fino alla sala riunioni.
Quando varcarono la soglia, Lucia non riconobbe la sala. Nell'angolo a destra era comparso un albero di Natale alto almeno due metri, addobbato con palline bianche e fiocchi rossi. Sul lato opposto c'era un grande tavolo pieno di cibo e piatti natalizi adagiati su una tovaglia rossa e verde. I contorni delle finestre erano stati abbelliti con strisce a led colorate e in sottofondo Frank Sinatra canta Let it Snow. Lucia intravide alcuni volti conosciuti, come la signora Frida del primo piano con la sua inseparabile gatta siamese e il signor Giorgio, che incontrava ogni mattina nell'androne del palazzo quando usciva per andare a lavoro.
Il signore con la lunga barba stava parlando con un altro signore, che non conosceva. «Io e mia moglie Nilde organizziamo il cenone qui ogni anno. È lei il motore di tutto». Le labbra del signore barbuto caddero sulla guancia della donna. «Oh Nicola, sei sempre così caro». Si girò e gli allacciò le braccia intorno al collo. Lucia li osservò da lontano intenerita. Sperava anche lei di trovare, un giorno, un uomo con cui invecchiare. Non come quel bastardo di Flavio, che l'aveva lasciata all'improvviso perché si era accorto di non esser pronto per un rapporto serio. Proruppe in un sospiro e si avvicinò al buffet. Era meglio non pensare all'amore; anzi, non voleva più pensare all'amore.

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