Capitolo 1.

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Dopo una giornata lunga e stancante, esco dal lavoro. Finalmente. Non ne potevo più di servire caffè amaro a gente acida, oppure a piccoli stronzi scappati dall'ufficio per una pausa caffè, che poi non dovrebbero avere la macchinetta del caffè in ufficio? Come avrete capito lavoro in una piccola  caffetteria, niente di che ma è meglio di niente.

Tralasciando tutto, attacco le cuffie nel cellulare e accendo la musica. Che canzone metto? Ne ho talmente tante che è difficile scegliere, ogni volta è la stessa storia. Allora accendo la riproduzione casuale, e inizio a cambiare canzone, fino a quando non arriva "The Weeknd".
Inizio a camminare per il viale illuminato e combatto il desiderio di muovermi a tempo della musica. Quindi cammino come le persone normali, avviandomi al semaforo.

É verde! Nel momento in cui arrivo alla prima striscia diventa rosso.

Merda!

The Hills, sempre di The Weeknd, risuona nelle mie orecchie, e uo combatto la voglia di oscillare la testa a tempo della musica.

Aspetto che il semaforo torni di nuovo verde, mi guardo intorno e mi assicuro che non ci sia nessuna macchina, e per fortuna non c'è nessuno, quindi inzio ad attraversare la strada; noto due fari con la coda dell'occhio che stanno arrivando dirtti a me, ma quando mi giro a guardare è troppo tardi.

***

Mi sveglio, mi fa male la testa, non riesco nemmeno ad aprire bene gli occhi, mi fa male tutto veramente. Dove sono?

Apro lentamente gli occhi e mi guardo intorno, riconosco le mura dell'ospendale. Io conosco questo posto. E lo stesso in cui è morta mia nonna mesi fa. No, io non voglio morire, non ci starò qui dentro. Devo andarmene, ma dove vado? Cosa sono questi fili attaccati al mio braccio? Voglio strapparmi via tutto.

Vicino al mio letto c'è un ragazzo, ha un braccio ingessato, e dei cerotti sul sopracciglio, non riesco a capire se siano cerotti o punti di sutura, e non ho nemmeno voglia di impegnarmi per scoprirlo. Lo guardo ancora un attimo, ha gli occhi chiusi, e le labbra semi aperte. Non voglio svegliarlo ma devo, devo sapere.

"Chi sei?" Chiedo debolmente. Ho la voce secca e assonnata, devo essere qui da un'pò di tempo, troppo.

Dannazione! Non riesco a ricordare niente.

Niente, non ripsonde, dorme come un ghiro e russa leggermente. Allora decido di smuovergli un braccio, ma sembra più che altro un leggero tocco. Non sento la forza, non riesco a forzare i miei movimenti. Mi sento stanca, ma non ne capisco il motivo, vorrei saperlo infatti.

"Mmmh..." gira la testa ancora più verso di me, e apre lentamente gli occhi. Li apre, li richiude un secondo e li riapre di scatto, mettendosi meglio sulla sedia.

"Come stai?" Mi chiede.
Oh cavolo non lo so come sto.

"Sono stata meglio." Rispondo debolmente. La mia voce risuona fredda, tagliente come vetro; ma non volevo essere stronza.

"Scusami per prima, davvero non dovevo addormentarmi, ma ero esausto, non c'è la facevo più e i miei occhi sono crollati giù, mi dispiace." Sì scusa, crollandosi il ciuffo di capelli via dal viso con la mano non ingessata.

Ho molte domande da porgli.
Sarà un interrogatorio, apparirà ai suoi occhi come una pazza psicopatica, ma non mi importa cosa penserà, non mi importa cosa pensano gli altri di me.

"Da quanto tempo sei qui?" Inzio con la domanda più semplice, quella che mi continua a risuonare nella testa.

"Dall'inizio. Non ti ho lasciata sola un momento, bhe apparte quando è venuta tua mamma, li sono uscito." Dice indicando la porta grigia.

Inside the storm.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora