Appena scesa dal bus, Clara si passò la pesante valigia di mano in mano. Attese l'arrivo di sua zia in silenzio. Era sempre stata una donna molto severa, glielo aveva confidato suo padre. Ma la sua biblioteca era una delle più vaste, e belle, che conoscesse.
Zia Adele arrivò pochi minuti dopo. Clara non l'aveva mai vista vestita informale. Anche adesso, indossava un tailleur blu e bianco perfettamente abbinato alle scarpe col tacco a spillo. In vista delle vacanze estive (obbligatoriamente presso la villa della zia per lasciare respiro ai suoi genitori, costantemente impegnati col lavoro) la valigia era stata preparata di conseguenza: gonne tutte sotto il ginocchio, camicette dai colori pastello, vestiti colorati, ballerine, sandali chiusi in punta. Niente di corto, niente di pacchiano.
Nonostante le rigide regole, Clara amava le estati dalla zia; la villa pareva immune al trascorrere del tempo, l'aria era satura del profumo dei fiori del gelsomino, della carta dei libri sfogliati e di un qualcosa di speziato, probabilmente magia.
Era così assorta nei suoi pensieri che non si accorse che il viaggio era già finito. Vincenzo, il maggiordomo, le aprì la portiera e prese la pesante valigia, mentre zia Adele parcheggiava l'auto d'epoca. Il glicine sulla veranda aveva perso tutti i fiori e il verde delle foglie brillava sotto il sole.
La prima cosa che fece fu andare in biblioteca.
Era il cuore della casa. Articolata su due piani, contava libri d'ogni genere, rilegati in pelle e spolverati ogni settimana. L'odore dell'inchiostro fluttuava tra gli scaffali nello stesso modo nel quale la musica scorre nei corridoi, un pensiero ricorrente dell'aria fresca e immobile delle sale ombrose.
Aprì la finestra e si mise a passeggiare in mezzo alle imponenti librerie.
《Il tempo non scorre qui...》
Ma Clara doveva disfare la valigia. Salì di corsa le scale di legno chiaro, entrò nella sua stanza. Il letto a baldacchino, con la coperta di raso bordeaux, la attendeva come ogni estate. Mise gli indumenti nella cassettiera. Il tintinnio argenteo di un campanellino le comunicava che era attesa a tavola.
Mangiò con gusto i cibi semplici preparati dalla moglie di Vincenzo, attenta alla postura e alla posizione delle posate. Molti credevano che sua zia fosse la signorina Rottenmeier del ventunesimo secolo, ma per Clara era stata la sua maestra di vita: le aveva insegnato a capire le persone attraverso i libri, ad atteggiarsi attraverso il galateo. Le aveva insegnato a leggere. Era stata la sola a preoccuparsi della sua anima, oltre che della sua salute fisica. Le aveva fornito i mezzi per trovare la sua strada da sola.
Non poteva non volerle bene.
La sera accese una candela e si diresse in biblioteca; scelse un volume dallo scaffale della narrativa giovanile e iniziò a leggerlo accoccolata in una poltrona di velluto.
《Il tempo non scorre qui...》le aveva detto la zia la prima volta che era venuta nella villa. Con gli anni aveva dimostrato di avere ragione.
La storia l'aveva intrigata e rimase a leggere fino a notte inoltrata, quando le palpebre che calavano la riportarono alla realtà. Lasciò il lume dov'era; tornò su, nella sua camera, e una volta sotto le coperte si addormentò immediatamente.
Giù, nel cuore della casa, un'improvvisa corrente d'aria proveniente dalla finestra spalancata fece cadere la candela ancora accesa, lasciata in bilico su un tavolino che rotolò fino a sfiorare una libreria.
《Il tempo non scorre qui...》
Oh sì invece. Appena l'incendio s'appiccò, prese a scorrere tutto in una volta, il tempo che non era mai trascorso. Il fuoco divorò le pagine, le rese fiori di cenere, ma più mangiava e più aveva fame.Salì le scale di corsa, la sabbia della clessidra aveva accelerato e così faceva la fiamma, s'insinuò in tutte le stanze; la coperta di un un allegro bordeaux divenne di un lugubre nero, l'odore d'inchiostro divenne di brace.
Cent'anni trascorsero in una notte. Della villa paradisiaca non rimasero altro che muri carbonizzati e lo scheletro di un glicine morto da un secolo.