Parallelo.

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Mi voltai e vidi Brian, in piedi dietro di me, sorridermi impacciato.

Alzai un sopracciglio, attendendo un segno da parte di quell'uomo, che continuava imperterrito a sorridere timidamente e guardarsi intorno.
"Hai bisogno di qualcosa?" chiesi indispettito: avevo parecchie cose da fare, quella mattina in ufficio, e non potevo permettermi di perdere troppo tempo.

Ad un tratto, il mio capo apparve sull'uscio, spiegandomi frettolosamente che quell'uomo avrebbe condiviso l'ufficio con me, da quel momento in poi, e che gli avrei dovuto presentare l'azienda e spiegare il lavoro. Sbuffando e rimpiangendo il letto caldo che avevo dovuto abbandonare quella mattina, mi alzai dalla sedia e uscii dalla stanza, seguito a ruota da quel tizio, del quale non sapevo nemmeno il nome.

Durante il tragitto attraverso gli infiniti e asettici corridoi dell'edificio, quell'uomo mi parlò di tutto un po', mentre io avrei volentieri preferito rimanere in silenzio, e venni a scoprire che aveva appena pochi anni in meno di me, ma che aveva deciso di trovare un posto fisso solo qualche giorno prima perché per parecchio tempo aveva preferito viaggiare ed esplorare il mondo; aveva perso tempo a fare tutte le stupidaggini che sognano le persone infantili e illuse, insomma. Mentre io mi rompevo la schiena a furia di lavorare, sperando in una promettente carriera, lui vagava senza una meta, assaggiando baguette e scalando l'Everest. Ma la cosa che mi faceva arrabbiare di più era il sapere che lui aveva raggiunto la mia posizione con un semplice colloquio di mezz'oretta, mentre io avevo dovuto guadagnarmela a forza di straordinari e notti insonni.

Mi voltai e vidi Brian un uomo identico a Brian, in piedi dietro di me, sorridermi impacciato.

Lo guardai storto per quelli che mi sembrarono anni, aspettando che si muovesse, o almeno dimostrasse di non essersi addormentato in piedi, ma lui continuò a mantenere quel finto sorriso in faccia e a guardare incuriosito i muri ammuffiti della cella.

"Che vuoi?" gli domandai, tentando di riportare quel tizio tra i vivi e sperando che mi rispondesse e si levasse il più velocemente possibile.

Tutto d'un tratto, una guardia apparve dietro all'uomo, sempre fermo immobile sull'uscio.

"Ci sono problemi?" mi chiese, indispettita.

"Chi è questo tizio?" domandai in risposta, indicando l'uomo con un cenno del capo e sperando che non fosse il mio nuovo compagno di cella, cosa purtroppo molto probabile.

La guardia sbuffò e se ne andò senza degnarmi di una risposta. Non tentai nemmeno di inseguirla e insistere, perché sapevo che mi sarebbe arrivato un richiamo nel giro di cinque secondi. Sbuffai e ordinai all'uomo di togliersi dall'uscio e sistemare le sue cose, spiegandogli che il suo lato della cella era il destro e che non avrebbe dovuto per nessuna ragione entrare nella mia parte, toccare le mie cose o anche solo parlarmi. Lui annuì, sorridendomi, si avvicinò al suo letto e iniziò a sistemare quelle poche cose che aveva con sé.

Guardai tutta la scena con la coda dell'occhio, tentando di non farmi notare. Quasi mi mancava il fiato nel vedere quanto quell'uomo fosse simile a Brian, sia nella corporatura asciutta che nei modi frettolosi ed entusiasti di fare le cose, sia nella pelle pallida in contrasto con i capelli neri che nella voglia di vivere che sembrava sprigionare ad ogni movimento.

Mi chiesi quanto tempo avrebbe impiegato quell'aura allegra a morire, costretta tra le quattro mura di quel carcere.

"Tra dieci minuti c'è l'ora d'aria" dissi distrattamente "Ti devo portare a fare un giro di questo posto, sono le regole quando hai un nuovo compagno di cella"

Una regola senza senso, inventata dal direttore del carcere per favorire la socializzazione, almeno a suo dire. Dato che il numero di suicidi stava salendo vertiginosamente, lui aveva deciso di fornirci un compagno, nonostante in quel carcere non ci fosse neanche un cane e potessimo permetterci due celle a testa, tanto grande e vuoto era quel posto. Il direttore si era però convinto che il problema principale fosse la scarsa conversazione tra detenuti, e si era inventato quella stupida regola, così ci saremmo garantiti almeno un amico.

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