La cattiva strada

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Michael ricordava bene la cattiva strada, quella che Federico, anni prima, aveva dichiarato di non volergli far imboccare.


I primi due anni di liceo Federico Lucia - meglio noto come Fedez - li aveva passati con calma e serenità, nonostante gli altalenanti voti e la condotta quasi pessima. Poi, in terza liceo, lo shock.
Era un martedì d'autunno e Fedez guardava attraverso la finestra le foglie secche che cadevano dall'albero nel cortile. Era così terribilmente noiosa la lezione di arte che lui davvero non riusciva a seguirla. Ma neanche con tutto il cuore.

«Federico Lucia!»

La voce dell'insegnante durante quella lezione lo richiamò e minacciò più volte, ma non per questo Fedez le diede ascolto. Finché non ci fu un bussare titubante alla porta della classe e il ragazzo spostò immediatamente lo sguardo su di essa: ogni cosa in quella noiosa ora poteva essere interessante, perfino il collaboratore della segreteria che chiede di riavere indietro la pinzatrice.

«Avanti» sbuffò la professoressa.

La porta di aprì e mostrò un ragazzo troppo alto dai capelli ricci e i vestiti improbabili.
Ma come cazzo si è vestito questo? Fu la prima cosa che pensò Fedez. La seconda fu: ma quanto cazzo è alto?

«Ah, tu devi essere Penniman, il nuovo alunno!»

La donna si animò improvvisamente e Fedez si sentì destabilizzato. Cosa? Nuovo alunno? Cioè qualcuno stava entrando a far parte di quell'ecosistema in cui Fedez era al vertice della catena alimentare? Quella cosa avrebbe non poco sconvolto la quiete del ragazzo con i piercing. Mentre pensava tutto ciò la professoressa aveva già messo a disagio il ragazzo obbligandolo ad una presentazione che lo fece imbarazzare, a giudicare dal colorito che assunsero le sue guance. Fedez ghignò.

«Prendi posto vicino a Lucia.»

Fedez non ebbe neanche il tempo di realizzare che l'altro si era già seduto accanto a lui, disturbando la sua quiete e rubando il proprio spazio vitale. La presenza del ragazzo di cui Fedez non aveva neanche capito il nome era già ingombrante. Perciò tornò a guardare fuori dalla finestra, trovando un modo per riappropriarsi del suo spazio.

«Ehi, como ti chiami?»

Fedez si voltò di scatto confuso e capì che il ricciolino ce l'aveva con lui.

«Fedez» biascicò appena e vide l'altro inclinare la testa di lato, confuso.

Alla fine dell'ora la campanella suonò e tutti tirarono un sospiro di sollievo.
Fedez lanciò uno sguardo al riccio accanto a sé e lo vide intento a tirar fuori dalla borsa alcuni libri nuovi. Poi questo aprì la copertina di uno e ci scrisse con la penna quello che Fedez immaginò fosse il suo nome: Michael Holbrok Penniman Jr. scritto con una calligrafia un po' incerta da un ragazzo fin troppo concentrato. Fedez ringraziò perché non aveva seguito una parola del suo discorso e neanche avrebbe saputo il suo nome, altrimenti. 

E al di sotto il riccio scrisse più grande un MIKA tra parentesi.

«Cos'è, il tuo soprannome da checca?» Si lasciò sfuggire Fedez, sorridendo di scherno. Ma Mika non conosceva quella parola e perciò lo guardò confuso.

«Lascia stare. Se non posso neanche prenderti per il culo non mi servi a niente.»

Perciò Fedez decise che da quel momento lo avrebbe ignorato a vita.

La pausa pranzo fu un'ottima ragione per fumare una sigaretta, per Fedez. Raggiunse alcuni suoi amici più grandi e scambiò con loro qualche parola e qualche tiro. Da lontano Mika lo aveva seguito tutto il tempo come un segugio: non aveva amici e non sapeva cosa fare, e Fedez era l'unico che conosceva in tutto il liceo. Perciò decise di avvicinarsi a lui quando i ragazzi più grandi andarono via.

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