PROLOGO

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Il cielo era ormai scuro. Il sole era calato, lasciando spazio alla luna e alla notte.

Yasmine era seduta in salotto a giocare con le sue bambole, che erano in assoluto la cosa che più amava.

Aveva già 3 anni, ma per me non era passato un solo istante da quando l'avevo tenuta in braccio per la prima volta.

La cena era pronta in tavola già da un po' ed ero molto preoccupata, perché Aiden non era ancora rincasato e di solito a quell'ora, eravamo tutti e tre, riuniti a tavola per cenare.

L'avevo chiamato varie volte, ma la segreteria aveva sempre preso il posto della sua voce calda e rassicurante.

Mi appoggiai al bancone e sospirai pesantemente.

Dov'era finito?

All'improvviso, vidi una piccola sagoma venirmi incontro: la mia bambina.

"Mammina, dov'è papà?", mi chiese, con la sua vocina tenera che riusciva a scaldarmi il cuore anche nei giorni più bui e freddi della mia vita.

Era evidentemente preoccupata, perché aveva imparato a memoria su quali numeri dovevano essere puntate le lancette dell'orologio, quando il suo papà arrivava dal lavoro, ed era ormai passata un'ora e mezza.

"Amore, starà ancora lavorando. Stai tranquilla, che tra poco torna.".

Non ne ero sicura al 100% e in me, si stava facendo spazio una preoccupazione enorme.

E se gli era successo qualcosa?

No, meglio non pensarci. Forse aveva il cellulare scarico e aveva fatto tardi per colpa del suo capo. Forse, non aveva trovato il tempo di avvertirmi.

Yasmine alzò le sue braccine verso di me, segno che voleva che la prendessi in braccio e così feci, iniziando poi ad accarezzarle i capelli biondi.

Aveva sicuramente preso il colore dei capelli da Chloe, la sua nonna paterna, perché nè io, nè Aiden avevamo i capelli così biondi come i suoi. Anzi, io li avevo di un castano molto scuro, quasi da sembrare nero e Aiden castano chiari.

"Mammina, ho tanta fame!", mi sussurrò dopo un po'.

"Allora iniziamo a mangiare, tanto papà arriverà di sicuro tra pochi minuti.".

La feci sedere nel suo sediolone, e sedendomi accanto a lei, iniziai a tagliarle a piccoli pezzettini la carne.

Ad un tratto, il telefono squillò. Strano che qualcuno chiamasse a quell'ora, ma scattai comunque in piedi, pensando che era Aiden e che chiamasse da lavoro.

Andai in salotto e alzai la cornetta del telefono fisso, che si trovava sul tavolino accanto al grande televisore.

"Pronto?", chiesi.

"Salve, lei è la signora Harris?", mi chiese la voce all'altro capo del telefono. Era una voce maschile, ma di sicuro non era mio marito.

"Si, sono io. Chi è lei?".

"Sono l'agente White e la chiamo per informarla che suo marito ha avuto un incidente.", fece una pausa.

A quel punto, col cuore che mi batteva alla velocità della luce nel petto, chiesi:"C-come s-sta?".

"Mi dispiace signora Harris, ma...suo marito non ce l'ha fatta...".

Il mondo mi crollò addosso. Non era possibile, era uno scherzo. Non poteva essere vero.



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