Dear Michael

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Sydney, 10/02/2015

Caro Michael,
Sono tante le cose che voglio dirti, ma la prima tra tutte è questa: dal vivo sei mille volte meglio che dentro ad uno stupido schermo.
Sono qui, al concerto, esattamente davanti al palco, davanti a te. Schiacciata dalla folla contro la sbarra di ferro, senza fiato, ti osservo fare la cosa che ti piace di più, suonare e cantare.
Amo voi ragazzi e le vostre canzoni e, da quando vi ho conosciuto, sei sempre stato il mio preferito, mi hai sempre affascinata: quei capelli che ti stanno bene di qualsiasi colore tu li tinga, l'aria da cattivo ragazzo, la voce roca e mascolina, il modo in cui impugni le tue chitarre, la passione con cui suoni e canti; un insieme di fattori e sensazioni difficili da spiegare.

Lo so, non ha senso stare in silenzio e davanti ad un cellulare ad un concerto, ma il tornado di emozioni che ora ho dentro è troppo forte, e ho bisogno di placarlo scrivendoti questa lettera che domani mattina ti manderò e che forse nemmeno leggerai mai.

Sento tutto lo stadio urlare cantare e sopratutto sudare (non so li su da te, ma qui giù c'è un odore tremendo).
Vorrei trovare la forza di cantare anche io, di gridare così tanto dal svegliarmi senza voce domani mattina, ma non ci riesco. Preferisco stare in silenzio e godermi lo spettacolo, ascoltare ogni parola che pronunci e ogni nota che suoni, cercare di isolare tutto il suono e ascoltare solo e unicamente te.
Ti guardo e sorrido, tu mi rendi felice e nemmeno lo sai.
Un paio di volte hai anche guardato verso il gruppo di persone in cui sono ammassata, hai sorriso e fatto l'occhiolino a qualcuno di noi, o forse a tutte.
Ora, invece, avete appena finito di suonare Long Way Home e state facendo una piccola pausa.

Il palco è vuoto senza di voi.

Il mio cuore è vuoto senza di te.

Poche ore fa, quando hanno aperto i cancelli, ho corso come non mai (non amo lo sport, o meglio: è lo sport a non amare me), ho spinto delle ragazze e penso di averne anche fatto cadere un paio: per questo mi sento molto in colpa, loro meritavano quanto me di stare in prima fila, se non anche di più, e io, in 18 anni, non l'avrei mai fatto, ma c'è un motivo a tutto; oggi è il mio compleanno e poi sono sicura -e spero- che loro avranno altre occasioni di venire ad un vostro concerto, mentre per me questa è la prima ed ultima volta.

Io sto morendo, Michael.
Ho una brutta malattia (dal nome ancora più brutto, non ho idea di come si scriva) al cuore, e mi restano pochi mesi, forse 5 o 6. Ormai ho persino imparato a conviverci, a capire e a farmene una ragione. Io morirò molto prima di ciò che prevede natura per tutti.
Com'è quel detto? Tipo: "Il primo passo per superarlo, è ammetterlo".
È la più grande cazzata di tutti i tempi, non si supera mai, semplicemente ci si inizia ad abituare.

Sai, avrei voluto fare tante di quelle cose, come girare il mondo, andare a così tanti concerti da dover comprare due bacheche per attaccare tutti i miei ricordi. Ma avrei voluto anche un bel lavoro, uno splendido marito, due figli e magari anche un cane. Avrei voluto una vita normale.

A te forse nemmeno importa oppure nemmeno la leggerai. Sono una ragazza proprio come tutte le altre e ti arriveranno così tante lettere e che, con tutta la sfortuna che ho, la mia finirà nel dimenticatoio, sotto una valanga di altre buste bianche che butterei per non accumulare troppo.

Unpredictable - Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora