Attraverso un mucchio di ricette e la testimonianza del medico che le aveva scritte, il commissario si convinse che l'andare e venire della ragazza dalla farmacia si doveva quasi definitivamente attribuire a una meningite che aveva colpito un suo fratello, di undici anni, che ancora ne portava i segni: un'aria inebetita e spaventata, vuoti di memoria e difficoltà ad esprimersi. Poiché il padre andava in campagna a la- vorare e la madre di casa non usciva, il compito di andare a fare le ricette e di do- mandare chiarimenti al medico curante era rimasto a lei, che tra l'altro era la più vi- vace e istruita della famiglia. Naturalmente furono interrogati anche il padre e l'ex fi- danzato: ma così, tanto per esaurire quel ramo di indagine.
Convinto il commissario, alla ragazza restava da convincere un paese intero, 7500 abitanti, i suoi familiari inclusi. I quali, appena rilasciata dal commissario, ad ogni buon conto si avventarono su di lei e silenziosamente, tenacemente, accurata- mente la picchiarono.
La signora Teresa Spanò vedova Manno, che aveva tirato fuori tutte le fotogra- fie del farmacista per scegliere quella da far riprodurre in smalto, da incastonare nella tomba, vedeva su ognuna il bello e placido volto del marito animarsi al labbro di un ghigno appena percettibile e agli occhi di una luce fredda e derisoria. La metamorfosi del farmacista veniva così realizzandosi anche sotto il tetto in cui per quindici anni era vissuto da marito fedele, da padre esemplare. Torturata dal sospetto anche nel sonno, con un baluginare di specchi da cui il farmacista affiorava nudo come un verme e disarticolato come un manichino, risvegliandosi di soprassalto, la signora si alzava per tornare a interrogare le immagini del marito: e a volte pareva le rispondes- se dalla morte in cui era, e che tutto era morte e niente importava; e a volte, più spes- so dalla cinica e feroce vita che continuava. E decisamente sdegnati erano i parenti di lei, sempre pronti a rimproverarle quel matrimonio cui a suo tempo, con ogni mezzo, si erano opposti; mentre quelli del farmacista, ai margini del fastoso lutto così come lontani si erano tenuti dalla vita agiata e soddisfatta del loro parente, erano portati a considerare i fatti nei termini della fatalità: e che se tu cambi stato, e ritieni di toccare la ricchezza e la felicità ecco che il dolore, la vergogna, la morte più velocemente ti raggiungono.
Pur mancando ogni indizio, fatta eccezione per un mozzicone di sigaro trovato sul luogo del delitto (e presunsero gli inquirenti che nella lunga attesa, in agguato, uno degli assassini lo avesse fumato), non c'era uno nel paese che non avesse già, per conto suo, segretamente, risolto o quasi il mistero; o che si ritenesse in possesso di una chiave per risolverlo. Aveva la sua chiave anche il professor Laurana: ed era quell'UNICUIQUE che, insieme ad altre parole che aveva dimenticato, fortuitamente era affiorato dal rovescio della lettera per l'obliqua luce che vi cadeva. Non sapeva se
il maresciallo avesse fatto caso al suggerimento di guardare il rovescio della lettera o se comunque, nel corso ora delle indagini, nei laboratori della polizia avessero esa- minata la lettera per ogni verso: nel quale caso l'UNICUIQUE non poteva non essere al centro delle indagini. Ma in fondo era tutt'altro che sicuro, e che si fossero messi a esaminare la lettera nel senso da lui suggerito, e che una volta esaminata riconosces- sero l'importanza dell'indizio: e in ciò giuocava anche una certa vanità, quasi che ad altri non fosse dato di penetrare in un così evidente segreto o in una così segreta evi- denza; cui appunto bisognava, per la contraddizione che conteneva, una mente libera e pronta.
Così, per vanità, si trovò a fare il primo passo: quasi senza volerlo. Passando, come ogni sera, dal giornalaio, domandò 'L'Osservatore romano'. Il giornalaio se ne stupì: e perché il professore era in fama, non del tutto meritata, di furioso anticlerica- le, e perché da almeno vent'anni nessuno gli aveva mai domandato quel giornale. E lo disse, dando al professore una piccola palpitazione di gioia: «E da almeno vent'anni che non sento chiedere 'L'Osservatore'. Durante la guerra qualcuno lo leggeva, ne ar- rivavano cinque copie. Poi è venuto il segretario del fascio e mi ha detto che se non avessi disdetto 'L'Osservatore' mi avrebbe fatto ritirare la licenza di vendere gior- nali... Chi comanda fa legge. Lei che avrebbe fatto?»