Our love.

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Ricorda: quando ami davvero una persona, continuerai ad amarla per sempre.
L'amore è una dolce dipendenza, in fondo.
È come droga, più ne riceverai più non potrai farne a meno... ma partiamo dal principio.
Mi chiamo Soul Eater Evans, ho ventinove anni e abito a Death City. Dopo periodi di duro allenamento che sembravano eternità sono ufficialmente diventato Falce della Morte e svolgo il ruolo di insegnante alla Shibusen.
Oggi è un giorno assai speciale per me. E, ad essere sinceri, non riesco a trattenere l'emozione; sono un po' agitato.

"Lei è il signor Evans?", mi aveva chiesto una delle dipendenti della struttura cinque minuti fa, trasportando con sé un carrello carico di oggetti indefinibili che avevano tutta l'aria di essere siringhe, medicinali e così via.

"Sì, sono io", le avevo risposto, giocherellando con i pollici. Ero fuori di me. Non che ora mi sia calmato.

"Bene. Rimanga ad aspettare qui fuori. Manca poco", aveva apostrofato prima di scomparire dietro un angolo.

( ... )

Adesso sono solo.
Mi trovo seduto in sala di attesa con la schiena dritta, rigida come un manico di scopa, non avendo la minima voglia di poggiarla contro lo schienale. In questo modo potrò scattare in piedi non appena riceverò la notizia.
Approfitto dell'assenza momentanea del personale per spararmi una sigaretta, sebbene il cartellino "no smoking" sia contrario.

Dopo aver finito l'opera getto il vizio nel cestino, chiudo le palpebre ed esalo un profondo sospiro, dandomi ai più sfrenati questionari.
Robe del tipo:
Andrà tutto bene?
Come sarà?
C'è bisogno che entri?
Quanto tempo manca ancora?

Neanche a farlo apposta, proprio nel mentre di quest'ultima domanda, sento il rumore di una porta aprirsi ed un quasi impercettibile lamento.
Credo che sia arrivato il fatidico momento.
Mi sollevo istintivamente, portando una mano sul petto impazzito.  Dopodiché, un gran via vai di dipendenti comincia ad animare la sala di attesa rimasta fino a poco tempo fa deserta.
Uno di questi, un uomo sulla sessantina con dei capelli grigi brizzolati nascosti sotto un cappello del mestiere, mi ferma esibendo un gran sorriso e mi fa:

"È fatta. Può entrare."

Non me lo faccio ripetere due volte.
Mi avvio a passi svelti verso la stanzina in fondo al corridoio, se potessi correrei anche.
Poi, giunto proprio di fronte alla porta, spalanco piano per prepararmi psicologicamente alla scena che di lì a poco avrei avuto dinnanzi.

Si tratta della donna della mia vita, Maka Albarn.
Sta tenendo tra le braccia un piccolo fagottino piangente, e lo guarda con l'amore che solo una mamma sa trasparire.
Mi avvicino ancora po', arrivando ad un lato del letto, e solo allora mi accorgo di un particolare: il panno che lo sta avvolgendo. È di colore rosa.

"È femmina, idiota", biascica lei ridendo sommessamente.

Era stato un parto faticoso. È un miracolo il fatto che riesca a parlare di già.
Sollevo l'indice e lo porto verso il visetto della nostra bambina, sfiorandolo. Ha una pelle così lisca e piacevole al tatto!

"Come la chiamiamo?"

"Mh, non saprei..."

È a quel punto che Maka assume la solita espressione pensierosa che tanto amo: le sopracciglia aggrottate e il naso arricciato.
Nel frattempo, guardando la creatura, cerco di scervellarmi per decidere un nome da darle.
I suoi occhi sono verdi come la speranza.
Voi non avete idea di quanto l'avessi desiderata, di quanto avevo sperato che vedesse la luce.
Luce...
mi viene un lampo di genio.

"Che ne pensi di Hikari?"

[Angolo della scrittrice:
Heyhey! Spero che vi sia piaciuto questo piccolo raccontino, uhuh. Ero troppo ispirata.♡
Lasciate un commento se vi va, mi piacerebbe avere una vostra opinione!
Arigatou.~]

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