Parte 1

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  Some saw the sun
Some saw the smoke
Some heard the gun
Some bent the bow 

Heaven we hope is just up the road

***  


A Parigi il cielo è grigio.

Perrie non buttava mai via niente. L'affascinava l'idea di rianimare, di creare qualcosa di nuovo da qualcosa di vecchio. Che poi avesse delle scatole piene zeppe di cianfrusaglie, tenute negli armadi e mai tirate fuori, era un altro discorso. Non ce la faceva proprio a prendere quel sacco nero della spazzatura e gettare tutto. Neanche quel quadro, anzi soprattutto quello. L'aveva messo in fondo all'armadio, nella parte riservata ai cappotti e alle giacche, dopo averlo lasciato appeso per tre mesi al muro in cucina. Mesi in cui si era resa conto che lui non sarebbe mai venuto a cercarla e allora era meglio accettare di uscire con Gabriel Bloch, piuttosto che stare sola. Mesi prima non l'avrebbe mai fatto. Le piacevano la sua indipendenza e la sua autonomia, non era mai stata il tipo di persona che si annullava per un ragazzo. E non che lo stesse facendo, però si sentiva— vuota.
Tre mesi.
Tre mesi che non parlava e che non vedeva Zayn, tre mesi da quando era ritornata a Parigi. Agli altri, diceva che non le importava, si era anche sentita stupida a condividere la sua storia coi colleghi alla redazione. Anzi, un giorno si sarebbe licenziata e tanti saluti, lei di certo non avrebbe pianto nessuna perdita.

Londra e sole splendente – due mesi prima.

Zayn Malik non era mai stato tanto euforico in vita sua. Mai. Stava aspettando il momento giusto, sentiva da tempo che qualcosa nell'aria era in arrivo e fu proprio così. Niall Horan, quel dannato irlandese, si era presentato alla sua tavola calda. Se ne era uscito con un: «Senti amico, per ora non ho voglia di tornare all'università, ma proprio zero. Voglio restare qui e godermi un po' questa città.» Non gli era servito altro. Gli aveva dato la tavola calda, un: «Non so quando tornerò. Non so se tornerò. Per ora tienila tu, e poi—poi ci sentiremo.» ed era corso a casa. Casa, cioè quelle due stanze per lo più occupate da tele impiastricciate, qualche bottiglia di birra lasciata ai piedi del divano e dei vestiti sporchi per terra. Tirò fuori due valigie e non ci pensò nemmeno per un secondo di mettere i suoi abiti: si sarebbe portato via solo i quadri. La vita di Zayn Malik aveva cambiato verso nell'esatto istante in cui Perrie Dubois era entrato nel suo locale e ora voleva andarci fino in fondo a quella storia, eccome se voleva. Avrebbe provato a vendere le sue opere, fanculo a chi gli diceva che non avrebbero portato a niente. Di certo, se non avesse provato, non avrebbe ottenuto nulla. Prese un biglietto di sola andata per Parigi il pomeriggio stesso, l'avrebbe ritrovata, si disse e poi... poi non lo sapeva, sì magari sarebbe ritornato, per la sua famiglia. Ma non da solo, andava a Parigi, senza conoscere una parola di francese, per una ragione e questa volta non l'avrebbe lasciata andare.

In una biblioteca di Parigi, Quinto arrondissement.

Perrie sedeva composta, sorridendo, annuendo, guardando i volti stanchi e assenti del folto pubblico seduto passivamente di fronte a lei. La camicetta le stava stretta, non sopportava i capelli tenuti in quella coda alta e scomoda, c'era un odore acre e da vecchio nella stanzetta in cui si trovava, così soffocante con quella moquette polverosa e l'aria pesante. Ma Perrie continuava a sorridere e annuire, a rispondere cortesemente alle domande che le venivano poste, comportandosi come un'autonoma. Non c'era con la testa, non era la vera lei a parlare: era diventata uno dei tanti discorsi imparati a memoria che il suo capo le aveva preparato. Non poteva ancora permettersi un manager, non era ancora abbastanza famosa per poter scrivere davvero, quello che interessava a lei. Londra, la nuova capitale del mondo aveva fatto un successo straordinario , la sua redazione – la " Privé & Public " – adesso aveva un nome, era conosciuta, se ne parlava. Il suo capo non ci aveva pensato due volte: avrebbe scritto un altro saggio, questa volta su Parigi e poi l'avrebbe spedita in qualche altro Paese, avrebbero scritto una collana di quei saggi. "Questo è il salto che volevo per la redazione!", le aveva detto, "Proprio di questo parlavo. Ora sei nella barca, Dubois!" Neanche un complimenti, neanche un brava. E Perrie non aveva proprio potuto rifiutare, avrebbe potuto farlo? Era diventata una macchina pilotata, per poter produrre sempre più soldi, per poter vendere sempre più copie di libri che scriveva a stento. Ancora prima di farsi un nome.
Eppure lei ci aveva provato, aveva cercato in tutti i modi di non diventare quell'essere con la camicetta e la coda ben tirata, aveva provato a scrivere qualcos'altro e magari arrivare a pubblicarlo e probabilmente ce l'aveva già quello che sarebbe stato per sempre il suo scritto migliore, pronto e chiuso in un cassetto, ma non era più padrona della sua vita e delle sue decisioni. Doveva sottostare al volere di quello che non solo la sua redazione, ma ora anche una casa editrice qualunque voleva.
Così eccola, all'ultimo incontro col pubblico per presentare il suo libro.
«Ne usciranno altri? Ci farà scoprire altre città meravigliose in tutte le loro sfumature e ombre?» le chiese un giornalista. Pure la sua giacchetta marrone sapeva da vecchio.
«Sì e visto che questa è l'ultima signing vi vorrei anticipare una cosa.» il suo capo le aveva detto che questo avrebbe aumentato la curiosità del pubblico. "Sarà un'ottima mossa pubblicitaria, fidati!" certo. «Il mio prossimo saggio prenderà come soggetto la città più bella al mondo—la nostra Parigi.»
La reazione del pubblico fu più che positiva, i giornalisti avevano raddoppiato il ritmo delle domande e lei, meccanicamente li lasciava a bocca asciutta con: «Mi dispiace, ma questo è tutto quello che posso rivelarvi.»
Sì, era contenta di scrivere della sua amata città, ma non sentiva di meritarselo. Quel saggio su Londra non valeva tutto il successo che stava avendo, si sentiva come a barare. «Ci può dire, almeno, se lo ha già iniziato?»
No. Sorriso felino. «Ci sto lavorando.»
Qualche altra domanda sul processo di realizzazione del saggio, se era stata ispirata da qualcuno particolarmente – questa domanda la infastidì, ma rispose ugualmente con un secco no – la parte che più si era divertita a scrivere, cosa l'aveva colpita di più. E lei rispondeva da copione, come aveva già fatto altre mille volte agli incontri precedenti, andava bene così. Poi passò a firmare le copie. Aveva finito.
Quando la stanza era ormai vuota, Perrie tirò un sospiro di sollievo, abbandonandosi allo schienale della sedia.
«Buon lavoro, Dubois. Ci si vede domani in redazione.»
«Certo, capo.»
Certo. E quella era pure domenica. 


(continua)



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