Capitolo 1

105 3 0
                                    

25 settembre 1941



Sono ebreo, ma non risulto nelle loro liste. Sono ebreo, ma non ho un'identità.

Forse è questo che mi ha salvato e il mio aspetto da tedesco.

O forse sono i tre anni che ho passato in un letto d'ospedale: prima non ricordavo chi fossi, nè in che città fossi e poi quando i ricordi hanno iniziato a riemergere ho continuato a fingere di non sapere.

Ho detto di chiamarmi Hans Schmidt e di lavorare come fabbro in una fabbrica che sapevo essere stata chiusa due anni prima; ringrazio ancora il mio vicino di letto che mi raccontò quella storia pensando che io non ascoltassi, spirò poche ore dopo.

Presi i suoi documenti. Presi la sua storia e questa diventò la mia, era un tedesco lui, uno di quelli veri, uno di quelli che il Fuhrer chiama "Ariani". Ora sono lui e così continuerà ad essere fino a quando questa situazione non cambierà. Non voglio vivere in un ghetto, non mi piace questa situazione e comunque non avrei nessuno con cui vivere, sono solo da anni ormai.

E' fine settembre a Stoccarda, il clima autunnale sta arrivando a rinfrescare l'aria. Presto rinfrescherà, ormai è sera, il sole sta tramontando. Non ho soldi per comprarmi del cibo, anche questa sera non mangerò. Percorrerò a piedi la strada che mi separa dalla mia umilissima dimora, non è corta la via, ma ogni sera l'attraverso. Arriverò a casa quando il sole sarà ormai tramontato da un pezzo, mi coricherò e dormirò fino all'alba, mi sveglierò e ricomincerò tutto da capo.

Cosa faccio?

Nulla. Non ho un lavoro; esco, percorro chilometri senza dare nell'occhio, sgraffigno un po' di cibo quando mi è possibile e ritorno a casa. E' l'unica cosa che mi rimane; in realtà è di un mio conoscente, ma al momento si trova tre metri sotto terra e l'affitto è pagato per i prossimi dieci anni. Non ho mai capito il senso di tutto questo, ma ormai non mi pongo più domande. Gli anziani proprietari credono sia lui, non l'hanno mai visto e mi credono un funzionario del governo. Ringrazio che i miei abiti mi diano queste sembianze, fino a quando dureranno.

Manca poco a casa, ancora qualche centinaio di metri quando sento delle urla. Non capisco da dove provengano fino a quando non oltrepasso un vicolo cieco nascosto fra due palazzi.

"Lasciami!!!" urla una donna in un tedesco dall'accento strano.

"Sei una puttana!" urla un uomo che la sta arpionando per le braccia e le da un forte ceffone che la

fa cadere al suolo. Sono quasi tentato di proseguire, non sono problemi miei e non voglio che lo diventino. Ma un campanello, nella mia mente, mi frena. Mi blocco alcuni secondi, non si sono accorti di me e poi mi avvento sull'uomo che sta massacrando la misteriosa donna. Lo picchio a sangue, non mi interessa nulla in quell'istante solo ripagarlo del male che ha fatto. Non è molto forte, o almeno non mi sembra, si batte un po', ma alla fine molla e si accascia al suolo svenuto.

"Venga con me..." sussurrò alla donna. Lei mi porge titubante la sua mano e io l'aiuto ad alzarsi.

"Riesce a camminare?" chiedo.

La donna annuisce, ha visibili ferite sul volto, alcune nuove, altre coperte da sottili croste.

Non è tedesca.

"Lei deve essere medicata..." le dico sorreggendola fino alla fine del vicolo cieco, non oppone

resistenza, probabilmente non si rende ancora conto dell'accaduto. Fortunatamente la mia casa è a poche centinaia di metri più a sud e a quell'ora nessuno è in giro in quella parte di città. Apro la porta e la faccio entrare.

"Si sieda dove vuole, prendo i medicamenti" le dico allontanandomi.




Chiamatemi HansDove le storie prendono vita. Scoprilo ora