Lo guardò a lungo, come si fa con i tramonti. Si soffermò sul profilo delle sue labbra, sulle quali il sole disegnava strani giochi di luce. Risalì fino agli occhi, stagni purissimi di rugiada smeraldina. Non lo amava, e come avrebbe potuto?
Senza proferir parola, posò delicatamente le mani sui suoi zigomi, su quella barbetta insipida che aveva violentato tante sue notti. Lo fece come fosse una cieca davanti alla Pietà di Michelangelo, solo che stavolta non ci sarebbero state sirene e campanelli d'allarme.
Non aveva ancora vent'anni, eppure già tutto le scivolava via dalla mente, e parole che prima rappresentavano qualcosa di colpo non significavano più niente. Era il vuoto cosmico ad ogni colazione, con o senza di lui. Perchè, in fondo, lei lo sapeva che non era felicità quella. Continuava a perseverare nello stesso vecchio errore: inseguire treni ipotetici, senza riuscire a prenderli al volo. D'altronde era sempre troppo impegnata a controllare di avere il biglietto, a guardare l'orologio, a ipotizzare itinerari alternativi. Poco importa se quell'occasione non sarebbe più tornata.
Muovendo le dita come durante un rito, gli chiuse gli occhi, quegli stessi occhi in cui avrebbe voluto disperatamente perdersi, ma non ci riusciva. Erano ghiaccio, come le sue mani in quell'inverno che, guarda caso, era il più freddo degli ultimi sei o sette anni. Interferenze emotive gli impedivano persino di prendere sonno, quasi come un avvertimento. Spettri insensati popolavano i suoi sogni, non più di carta velina, ma cartoni doppio strato.
Non lo baciò neanche, per quella sera bastava così. La luna piena rischiarava ormai i loro volti cupi, e solo la desolazione di quella piazza avrebbe potuto in qualche modo consolarli. Alone, together.
Fine primo tempo.