INIZIO
Capitolo 1.
Me ne stavo sdraiata a cavallo del vecchio divano di casa mia: portatile alle ginocchia, radio accesa e una inspiegabile sensazione di confortabilità. Era da un paio di giorni che non uscivo di casa, ma non ci facevo caso più di tanto. Tutto ció che volevo in quel momento, era potermi rilassare senza altri pensieri che potessero farfugliare nella mia mente.
Alla radio trasmettevano un singolo abbastanza popolare, di cui non ricordavo il nome, e molto spesso usavo quella fastidisiosa abitudine, per creare un po' di rumore nell'atmosfera morta che mi toccava subire ogni giorno. Nello stesso momento in cui rimuginavo qualche strano pensiero, la porta della stanza in cui mi trovavo, si aprì, provocando uno fastidiosio scricchioliio.
«Sono tornata, Lana.» disse mia madre entrando goffamente dentro casa. «Che cavolo ci fai ancora buttata sul divano?».
«Mi rilasso.» dico distrattamente.
«É meglio che ti sbrighi ad aiutarmi a scaricare la spesa dalla macchina.» dice in tono secco.
«Okay.»
Faccio per alzarmi in modo pigro, e mi metto subito in piedi, dopo qualche secondo. Seguo mia madre fuori dal cortile, fino ad arrivare alla sua macchina.
«É da un po' che non esci, che fine hanno fatto le tue amiche?» dice porgendomi due sacchi carichi di cibo e cose varie.
«Non lo so.» dico afferrandoli, per poi trascinarli verso la porta di casa.
«Prova a chiamarle, no?»
«Non ho voglia.»
Apro la porta di casa, appoggio i sacchi sul pavimento, e mi avvio verso camera mia, dato che mia madre aveva invaso più del 100% dello spazio che stavo occupando.
Davanti ai miei occhi si celava lo spettacolo di una cameretta, totalmente tinta di rosa e piena di cianfrusaglie varie per tutto il pavimento: fogli, libri e soprattutto vestiti.
Ho sempre odiato il colore rosa, ma mia madre ha sempre insistito per far diventare la mia camera, una sua idea di perfezione in base ai suoi gusti. Basta rendere un qualcosa rosa e grazioso, e lei impazzisce per quello.
Oltre al disordine e al colore della stanza, odiavo anche la fissazione di mia madre, nel riempire la stanza di bambole graziose, come se fossi ancora una bambina. Ormai avevo 16 anni, e tra due anni sarei andata al college, come avevo già pianificato da tempo. I miei voti erano abbastanza buoni, ed ero anche interessata alla letteratura e all'arte in sé. Amavo molto anche la musica, e uno dei miei sogni più grandi, era quello di poter divenire un qualcuno di importante, una volta diventata adulta.
Al momento, peró, pensavo di vivere la mia adolescenza; non avevo tanti amici, forse per colpa del mio modo di essere chiusa o forse della mia timidezza, ma amavo aiutare le persone. Proprio in quel momento, facendo un giro nella mia camera, notai la foto, ancora ben incorniciata, che avevo scattato assieme alla mia migliore amica, all'età di 9 anni. Oggi non ci parliamo più come prima, forse per colpa del mio cambiamento, ma continuo a volerle bene comunque, come una volta.
Un pensiero mi fulminó la mente, e ricordai che il giorno dopo sarei dovuta andare a scuola; non avevo assolutamente voglia di pensarci, proprio perché non vedevo l'ora che iniziassero le vacanze natalizie.
Il mio, era un liceo serio e complicato, con professori abbastanza esigenti e robotizzati ad avere sempre lo stesso comportamento freddo e distaccato con tutti, senza preferenze. Questo strano modo di porsi davanti ai loro studenti, peró, non mi ha mai influenzata negativamente, ma mi ha aiutata a diventare quella studentessa pignola e perfettina, in cui mi sono trasformata nel corso di tutti questi anni. Ultimamente, peró, nonostante il mio piacere nello studio, stavo perdendo la voglia di presentarmi a lezione, e non capivo il motivo.
Quella sera avevo solo voglia di riposarmi e non parlare più con nessuno. Per tutta la sera evitai mia madre.Capitolo 2.
Verso le 6 del mattino, la sveglia trilló in un modo frastornante.
«LANA, SVEGLIATI! OGGI HAI SCUOLA!» urló mia madre dalla cucina.
Nonostante l'odioso rumore di quella fastidiosa sveglia, preferivo, rimanere incatenata al letto, piuttosto che andare in cucina a fare colazione, per poi dovermi preparare, improvvisando un abbigliamento al limite della decenza.
«Arrivo.» dissi nel mentre che cercavo di spegnere quell'aggeggio rumoroso.
Dopo qualche minuto, non so come, riuscii a far cessare i trilli e andai verso la cucina.
«Eccoti qui, ieri che fine hai fatto?»
«Ero stanca.»
«L'importante é che tu oggi sia riposata.»
«Già.» aggiunsi dando un sorso alla tazza di caffé.
In realtà per essere ben riposata avrei avuto bisogno di almeno altre due ore di sonno, ma tralasciamo.
Finii di bere tutto il caffé e mi precipitai verso lo specchio del bagno per vedere in che condizioni stavo: capelli arruffati, occhiaie evidenti e per completare, un' espressione simile a quella di uno zombie.
Mi feci subito una doccia veloce, e dopo aver finito, andai verso l'armadio di camera mia, per cercare un qualcosa di carino da vestire. Il massimo che riuscii a trovare furono un paio di jeans classici e un maglioncino rosso.
Vada per quelli, disse il mio buon gusto. In meno di 5 minuti riuscii a vestirmi senza problemi, e subito dopo mi precipitai nuovamente in bagno per aggiustarmi i capelli e truccarmi un po'. Avendo i capelli ricci, le opzioni per una acconciatura decente, che richiedesse poco tempo, erano più che scarse. Mi limitai a lasciare i capelli sciolti, ma in ordine, per poi passare al trucco, con un tocco di mascara e lucidalabbra trasparente. Durante tutto il mio preparamento, era passata circa una mezz'ora, ed ero ancora in tempo per prendere l'autobus. Come previsto, mia madre mi chiese se avessi voluto che mi accompagnasse, ma rifiutai. Uscii di casa correndo; anche se non ero in ritardo, mi piaceva farlo comunque.
Dopo 5 minuti arrivai alla stazione dell'autobus, ma non ebbi voglia di avvicinarmi per parlare con qualcuno, perció rimasi a distanza da tutti, appoggiata all' angolo di un palazzo in costruzione. Le pareti erano abbastanza friabili, e tutt'intorno si sentiva odore di cemento fresco, ma tutto ció non mi disturbava comunque. Girai la testa dal lato in cui nessuno mi poteva osservare e infilai gli auricolari per distrarmi un po'. La mia musica, era abbastanza diversa da quella che tutti ascoltano alla radio o nei sottofondi dei negozi di abbigliamento, perció la tenevo solo per me, come se fosse un oggetto custodito con egoismo. Oltre a questo, la mia musica era l'unico suono in grado di isolarmi con felicità, dal resto del mondo, e proprio per questo, desideravo sentirla sempre da sola, senza nessuno tra i piedi che potesse commentarla o giudicarla. Amavo confrontarmi con me stessa.
Dopo qualche minuto, sentii un rumore simile a quello di un autobus provenire verso la mia direzione, perció spensi la playlist di canzoni che avevo organizzato per oggi, e mi diressi verso gli sportelli che cominciarono ad aprirsi lentamente.
Il pulman era popolato esclusivamente da vecchi e donne di mezz'età. Penso che assieme a me, ci fosse stata solo un'altra ragazza della mia età, se non più grande. Aveva una carnegione scura, dei grandi occhi scuri, e dei bei capelli bruni, adornati con delle treccine afro, un po' dappertutto. Aveva un'espressione contenta, e per quasi l'intero viaggio, l'ho sentita parlare al telefono con un certo Toby, dato che ripeteva in continuazione il suo nome. Io, al contrario, rimasi in silenzio per tutto il viaggio, guardando fuori dal finestrino i tristi paesaggi autunnali. Il cielo era completamente ricoperto da nubi cariche di pioggia, e fuori soffiava un vento abbastanza gelido.
Una volta arrivata a destinazione, ringraziai l'autista ed uscii fuori dal mezzo pubblico.