"I can't escape this now, unless you show me how"
-Demons, Imagine DragonsLe cuffiette riproducevano la stessa playlist da almeno mezz'ora, e io mi ero stufato.
Spensi il cellulare e lo sistemai nel piccolo zainetto che mi portavo sulle spalle.
L'aria mi inumidiva i capelli, e il lungo mare di Brighton era prevalentemente deserto.
Sentii dei singhiozzi nervosi provenienti dalla spiaggia.
A causa della mia miopia, mi dovetti avvicinare il più possibile per capire chi fosse.
Mi salì un groppo in gola.
Sofia.
Ero combattuto, non sapevo se andare finalmente da lei o evitare.
Il mio istinto ebbe la meglio, così entrai in quell'angolo di spiaggia deserto.
Camminai piano sulla sabbia morbida verso di lei e mi accucciai al suo fianco.
Si accorse della mia presenza e tentò di trattenere i singhiozzi, voltandosi a guardarmi.
«G-Genn?» strabuzzò gli occhi.
Annuii.
Capivo il suo stupore, non ci eravamo mai davvero calcolati seriamente, nonostante io l'avessi davvero calcolata, sempre.
«C-Cosa fai qui?»
Alzai le spalle, abbassando gli occhi.
Rimanemmo in silenzio un paio di secondi.
«Credo debba andare» si asciugò il viso dalle lacrime nere per il trucco, prendendo il suo borsone e tentando di alzarsi.
«Aspetta» la afferrai per un braccio, con un coraggio che non avrei immaginato potesse uscire da me.
Mi guardò sconcertata, per poi tornare a sedersi.
«È tutto okay?» le chiesi.
Mi fissò, tentando di trattenere dei singhiozzi ed annuire.
«Non è vero» le asciugai due lacrime «dai, a me puoi dirlo» posai la mia mano sulla sua.
Da quando ero diventato così confidenziale?
Mi fissò stranita.
«E perché ti interessa?» Boccheggiai.
Cosa avrei dovuto dirle?
«Beh... Stai piangendo disperatamente da sola, qui. Un po' mi importa» alzai le spalle indifferente.
Avrei dovuto dirle milioni di cose diverse.
Ci pensò su un attimo, poi abbassò gli occhi.
«È per la danza... Mi hanno scelta per fare una delle protagoniste dello spettacolo di fine anno e oggi sono andata alle prove. È stato un autentico disastro e le mie insegnanti si sono arrabbiate tantissimo... Sono a pezzi» singhiozzò.
Le feci una leggera carezza sulla mano.
«Sono sicuro che era solo una giornata così, tu sei bravissima e ti riprenderai velocemente» tentai di rassicurarla impacciato.
«E tu come fai a dire che sono brava? Come puoi saperlo?»
Altro punto debole.
Boccheggiai nuovamente.
«Beh... Alle elementari ballavi sempre all'intervallo, e anche alle feste eri sempre al centro dell'attenzione per come ti muovevi» arrossii.
Cazzate.Oltre a guardarla ballare in classe e alle feste, io andavo ad ogni saggio della sua scuola di danza di nascosto.
Mentre Alex e gli altri erano giustificati perché ci stavano più tempo insieme ed erano più legati, io senza dire nulla a nessuno mi subivo due ore di ragazzine ciccione che si sentivano ballerine russe per vedere lei.
Mi pagavo dieci sterline del mio salvadanaio di biglietto per osservarla, e non ne rimanevo mai insoddisfatto.
Andava avanti così dai nostri ormai vecchi 13 anni, e non avevo mai perso un solo spettacolo.
Il Gobbo di Notredame, Rocky Balboa, Romeo e Giulietta e via dicendo, aggiungendo anche numerosi nomi francesi incapibili dei pezzi di danza classica.
Era sempre rimasta convinta che avrebbe vissuto di danza, consumandosi i muscoli fino all'indicibile, con il desiderio grande di entrare a far parte della compagnia di un certo Peparini, un italiano, di cui non so nemmeno se il nome fosse giusto.
Ce la menava dicendo sempre che era uno dei più grandi coreografi mai esistiti.
Però un giorno entrò in crisi capendo che aveva troppa poca tecnica per farlo, aveva lasciato da parte questo suo sogno, senza smettere però di danzare.
Era il suo ossigeno come per me la musica.
Si appassionò alla scrittura e alla fotografia, ma questa è un'altra storia.Fece un risolino al ricordo di quei momenti.
Io fin da allora mi ero sentito fregato da quei grandi occhi.
E non era mai cambiato.Era cominciata in una maniera strana.
L'oculista mi aveva appena comunicato che ero daltonico, e dopo che mia madre mi ebbe spiegato il significato dell'aggettivo, andai in giro a dirlo ai miei compagni di classe, come se fosse chissà che malattia.
Sofia aveva sentito le voci sull'argomento ed era venuta verso di me.
«Sei daltonico?» mi aveva chiesto «dimmi, di che colore ho gli occhi?»
Eravamo bambini, era curiosa di sapere come la potessi vedere.
«Marroni chiari, con delle sfumature verdi» le avevo risposto.
Mi aveva guardato delusa.
«Ma allora non lo sei! Questi sono i miei occhi normali!» aveva urlacchiato.
Erano gli unici occhi, oltre i miei, che riuscivo a vedere correttamente.
Lo avevo trovato come un segno.
Solo dopo capii che era stata un'autentica condanna, innamorarmi di quegli occhi da Bambi e quei capelli più neri del carbone.
Di quella ragazza timida che ballava sempre, anche quando camminava, che si faceva notare per la sua ironia e che alle feste attirava l'attenzione per come veniva coinvolta dalla musica da ballo.
Io mi ero limitato a guardarla, da lontano, tentando di evitare di sporcarla con la mia essenza.
Lei era la luce, io il buio.
L'intelligenza, l'ignoranza.
La voglia di farcela, la rassegnazione.
A vedersi eravamo due poli opposti, ma non potevo immaginare invece cosa si nascondesse dietro quell'immenso sorriso bianco, che per tanto tempo era stato coperto da un apparecchio, che io trovavo comunque le stesse divinamente, a contrario di altri.
Eravamo così simili in realtà, e io non me ne ero mai reso conto.
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Demons
Short Story"I can't escape this now, unless you show me how." -Demons, Imagine Dragons