La situazione economica italiana vive un momento di depressione legato ad un quadro mondiale negativo nel 1904-1905. Questa situazione si aggrava per l'Italia nel 1907 con il terribile terremoto che scuote Reggio Calabria e Messina e che dissesta ulteriormente il già provato bilancio dello stato italiano .
Il regno d'Italia si imbarca in guerra coloniale per conquistare la quarta sponda. Nel 1911-12 l'Italia combatte contro l'impero ottomano per Tripoli e la Libia. La guerra sarà un piccolo laboratorio di quello che accadrà, poi, in misura molto più ampia con la prima guerra mondiale, con l'affacciarsi nell'affaire guerra di industrie che grazie allo sforzo bellico vedranno crescere i propri profitti, la propria potenza politico-economica; il deficit dello stato si aggraverà di circa due miliardi di lire.
Lo scoppio della guerra nel giugno 1914 assesta in un primo momento un colpo gravissimo all'economia; si verificano subito problemi con le importazioni e poi arrivano le misure restrittive al commercio imposte dal governo, successivamente attenuate, per cui c'è una limitazione anche alle esportazioni. Ma successivamente la situazione migliora e l'Italia inizia a trarre qualche minimo beneficio dalla sua posizione di neutralità.
Ma il movimento intenso, dietro le quinte, degli stati già coinvolti nel conflitto (soprattutto Francia e Germania) che cercano di tirare l'Italia nell'uno o nell'altro campo raggiunge il suo scopo quando nel 1915 l'Italia dopo le radiose giornate di maggio dichiara guerra all'Austria per quella che viene presentata come la quarta guerra di indipendenza.
L'Italia allo scoppio della guerra è fondamentalmente un paese agricolo, con una industria ancora poco competitiva e con alcuni suoi settori chiave dominati da capitali stranieri (notevole, ad esempio, la presenza di capitale tedesco nel settore delle energia e della nascente chimica).
Il governo italiano si trova a confrontarsi con realtà che hanno una diversa forza economica e industriale. Nel 1913 la produzione di acciaio era di 900 mila tonnellate contro i 17 milioni e 600 mila della Germania, i 7 milioni e 800 della Gran Bretagna e i 4 milioni e 600 della Francia cifra analoga a quella prodotta dalla Russia. Nella produzione di ghisa il divario era ancora maggiore con l'Italia che produceva circa 427 mila tonnellate un quinto di quanto prodotto dall'Austria -Ungheria, un decimo di quello che produceva la Russia zarista.
Arriva, comunque, il maggio del 1915 e l'Italia è in guerra. Lo stato si trova a doversi organizzare in maniera nuova per adeguare il proprio esercito alle esigenze dello sforzo bellico. In quest'ottica i controlli della pubblica amministrazione nei confronti delle aziende fornitrici vengono ad essere molto più labili che in situazioni di pace; in alcuni momenti cruciali del conflitto questo "controllo" viene quasi a sparire del tutto.
Lo stato nell'organizzarsi per razionalizzare lo sforzo produttivo nel periodo bellico arriverà a creare nel 1915 il ministero delle armi e munizioni; ministero che oltre al gabinetto del sottosegretario, ha due uffici per le ispezioni e per le richieste, tre ripartizioni (servizi generali, mobilitazione industriale, servizio tecnico armi e munizioni) e tre direzioni (artiglieria, del genio e aeronautica).
La ripartizione che incideva maggiormente nella programmazione dell'attività bellica dello Stato e, in cui, più stretti erano i rapporti con i privati era quella per la mobilitazione industriale. Ad essa compete "di determinare gli stabilimenti da considerare "ausiliari", di agevolare il coordinamento delle attività di questi con l'attività degli opifici militari, di intervenire nelle controversie economiche e salariali fra dirigenti e personale, autorizzare "le dimissioni, i licenziamenti ed i passaggi di personale fra l'uno e l'altro stabilimento, sorvegliare il lavoro delle maestranze minorili e femminili, nonché occuparsi delle scuole, del tirocinio dei nuovi operai, delle garanzie igienico sanitarie sul lavoro".