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Sono qui in piedi davanti alla sua porta. Riesco solo a restare immobile a guardare una maniglia verde, campeggiare sulla superficie bianca,  senza smettere di pensare a quanto quel colore vivido mi ricordi i suoi occhi.
Mi farebbero bene adesso.
Mi accontenterei persino di ricevere una delle sue occhiate di sufficienza perché significherebbe che sta bene. Che è sempre lei.

Invece ho lo stomaco sottosopra. Il masso che sento al centro del petto, sembra quasi essere reale, tanto mi  schiaccia i polmoni. Mi sembra quasi di non poter respirare e forse non ho tutti i torti. È come se l'ossigeno non riuscisse a raggiungere il cervello, non abbastanza da fermare la stanza, da zittire il fischio incessante che mi perfora i timpani.

Ho paura.

Paura di afferrare la maniglia e mettere un piede in quella stanza in cui il suo profumo sarà anestetizzato dall'odore di disinfettate che già riempie il corridoio.

Non so se riuscirò a vederla in quello stato.
Non so se il mio cuore reggerà o se si sbriciolerà come terreno argilloso sotto la forza di un terremoto, come ha fatto ogni volta che l'ho sentita scivolarmi tra le dita; inafferrabile come l'aria.

Lei è così: aria.
L'aria frizzante di primavera, profumata e tiepida, riempie ogni cosa senza accorgersene. Riempie anche me, in ogni spazio, in ogni cellula, ma credo che non si sia mai accorta nemmeno di questo.

Dovrei dirglielo; forse le farebbe piacere sapere che sono un'idiota, magari si sveglierebbe per ridere di me e della mia stupidità. Ne sarei felice, in effetti.
La verità è che vorrei solo sentire quella risata cristallina infrangere il silenzio e far tremare la stanza, far tremare me, come ogni altra volta.

Adesso la sento, la plastica, rigida sotto lo strato di sudore che m'imperla il palmo della mano. Tremo e non ne sono stupito, ma faccio comunque forza e sento la serratura scattare.

Avanzo.

Devo chiudere questa dannata porta. Chiudermela alle spalle e lasciare che questo spazio anemico si riempia solo di noi e dei nostri respiri, sebbene, nonostante il silenzio, il suo sia quasi impercettibile.
Non importa, cercherò di riempirlo io, per quanto non sia bravo nel farlo; quale contenitore vuoto è in grado di fingersi sostanza?
Io sono solo un corpo e lei è, da sempre, il motore che lo mette in moto, eppure adesso è spenta e io devo provare a funzionare da solo. Devo farlo per lei.

Fisso i miei piedi muoversi sul pavimento.

C'è una sedia accanto al letto, la sposto e mi siedo.

Come credevo il profumo di lavanda è così flebile che è quasi inesistente e proprio non ci riesco. Lo so che è qui davanti a me, dovrei solo alzare lo sguardo, ma non so assolutamente dove trovare il coraggio. È sempre venuto da lei, dal mio bisogno di proteggerla da tutto e tutti, dal mio insano desiderio di sacrificarmi per salvarla ad ogni costo, ma adesso c'è lei stesa inerme sul letto e non riesco proprio a spiegarmelo.

L'ho lasciata andare da sola e so che non mi perdonerei mai se non si risvegliasse più.

Ha ragione sua madre. Ha fatto bene ad urlarmi che è colpa nostra, a spingermi via. Forse avrebbe dovuto farlo con più forza, invece di limitarsi a buttarmi fuori da questa stessa stanza.

So che non mi vuole qui, ma avevo bisogno di farlo. Devo trovare un modo per aiutare sua figlia, devo provare qualsiasi cosa pur di farla tornare qui ed è questo pensiero che mi da il coraggio di alzare finalmente la testa, ancora rivolta al pavimento.

La prima cosa che vedo è la sua mano, è bianca e le vene sono più evidenti del solito. Non so cosa mi succede ma non posso fare a meno di prenderla e stringerla nella mia.

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