Fragile

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Allora, non so se questa storia ha un senso o meno. L'avevo immaginata in tutt' altro modo, si è evoluta molto diversamente da quello che avevo progettato.
Sono molto restia a pubblicarla, ha qualcosa che non mi quadra, però per scriverla mi sono davvero spremuta, non mi va di eliminarla.
Ditemi che ne pensate perché sono davvero confusa ahahah, un bacio!

Gli occhi chiusi e la testa appoggiata al muro, la schiena dolorante schiacciata alla testata del letto, le gambe tirate al petto.
Gennaro non sapeva dire da quanto tempo fosse in quella posizione, quante canzoni fossero uscite dalle cuffie e finite nelle sue orecchie, quante volte si fosse morso le labbra e quante si fosse graffiato il dorso delle proprie mani, infastidito dal prurito causato dalla staticità della sua posizione.
Continuava a farsi trasportare via dalla musica, lontano da lì con la mente, eppure sempre incatenato in quel posto.
Le palpebre gli tremavano talvolta, quando la musica si faceva tremendamente meravigliosa e si sentiva sballottato in delle dimensioni più belle.
Improvvisamente i suoi pensieri presero una piega diversa, succedeva sempre così: che fosse dolore, tristezza, ansia, la sua mente faceva tutto da sola e si ritrovava a pensare cose senza neanche volerlo.
Così una fitta mozzafiato gli interruppe il respiro, non sapeva bene se fosse ansia o dolore, però faceva male.
Solo una parola aleggiava nell'aria.
Alessio.
Aprì gli occhi, la delusione nello scoprire di trovarsi sempre nella sua stanza.
Li gettò in basso verso il telefono che giaceva accanto a lui attaccato alla persa delle cuffie, lo prese e lo sbloccò. Nessun messaggio.
Strinse i denti, sentendo la mascella serrarsi.
Odiava il fatto di pensare al moro tutto il tempo mentre quest'ultimo sicuramente e giustamente si faceva i cazzi suoi, incurante che la mente di Gennaro fosse sempre fissa su lui.
Era un circolo vizioso.
Per quanto provasse a pensare ad altro, per quanto si impegnasse a stare bene, a sentirsi forte e completo anche da solo, non ci riusciva.
Era sempre stato un ragazzo complesso, interessato a ciò che gli altri neanche vedevano, incurante di quello che gli altri amavano, innamorato di cose che gli altri odiavano.
Si sentiva un involucro, un guscio contendente pensieri che non gli appartenevano.
In realtà non si sentiva appartenente a niente, solo ad Alessio.
La sua anima si era ancorata a quella del moro dal primo momento che l'aveva visto, quel comune pomeriggio di gennaio a Somma.

Il cielo era scuro, l'aria pungente sul suo viso.
Tutto sembrava infastidirlo, i clackson in lontananza, il vociare della gente sui marciapiedi, le nuvole grigie che in un altro momento avrebbe trovato bellissime.
Era agitato e timoroso, si sentiva stupido per questo, ma non poteva farne a meno.
Tre dei suoi amici più fidati camminavano alla sua destra, facevano battute a cui rideva senza averle nemmeno sentite per metà.
La custodia della chitarra appesa alla spalla sinistra dondolava ad ogni suo passo.
Aveva sempre suonato da solo, di fronte alle sue sorelle o ai suoi amici più stretti, si sentiva tremendamente a disagio all'idea di andare a suonare per la prima volta in piazza in compagnia di alcuni amici dei tre ragazzi che sghignazzavano al suo fianco, persone che aveva al massimo intravisto a scuola.
Non avrebbe mai confessato che si vergognava, così aveva accettato la proposta di esporsi a questi sconosciuti perché anche loro -a detta di Antonio- se ne intendevano di musica e suonavano, in particolare un tale di nome Alessio.
Arrivarono in piazza e Gennaro prese un grande respiro, congelandosi i polmoni.
Stiracchiò un sorriso imbarazzato quando si trovarono davanti ai tre ragazzi che li aspettavano, si presentarono i primi due e poi toccò ad il terzo, era moro e aveva occhi scuri e profondi.
"Piacere, Alessio, tu devi essere Gennaro" disse cordialmente porgendogli la mano grande.
Il biondo osservò le sue dita callose e le unì alla sua mano fredda, che si scaldò al contatto di quella dell'altro.
Rialzò lo sguardo e "solo Genn" disse, la voce gli era uscita eccessivamente gracchiante ma non ci pensò troppo, così perso nello sguardo gentile dello sconosciuto.
Questo allargò il sorriso e delle rughette presero luogo intorno ai suoi occhi.
Gennaro sentì come un amo partire dal suo petto sfrecciare veloce verso il corpo di Alessio e agganciarsi a lui.
In quel momento fu come se qualcosa dentro di lui si fosse spezzato, rimpiazzato da qualcos'altro che tutt'ora non sapeva cose fosse, se fosse buono o se fosse cattivo, sapeva però che era bello.
Tutta l'agitazione sembrò essere evaporata, si mise a ridere gioiosamente insieme a quei nuovi tre amici.
Poi, seduto su un muretto muschioso, si sentì incredibilmente sicuro di se quando impugnò la chitarra e iniziò a suonare wonderwall.
Una parte di lui aveva timore di sembrare scontato, non era una canzone difficile da suonare, l'altra gli suggeriva che era la cosa giusta.
Suonò l'ultima nota e intonò l'ultima parola, alzò gli occhi e scoprì di avere quelli scuri del moro incollati a se.
Questo lo guardò per un'altra manciata di secondi, sembrava star metabolizzando e elaborando qualcosa.
Poi sorrise, scosse la testa guardando in basso e fece qualche passo in avanti.
"Dobbiamo suonare insieme" sentenziò con sguardo eccitato e deciso.
Gennaro sentì il petto riempirsi di qualcosa di bellissimo, la gioia ad annebbiargli la mente.
Si morse le labbra e annuì stampandosi un sorriso timido sulla faccia.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 16, 2016 ⏰

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