Il Winbar era un luogo di culto.
Si poteva riacquistare la fede nella vita e persino scontare i propri peccati. In quel luogo poteva accadere di tutto. E le facce, come in una chiesa di paese, erano sempre le stesse. Stesse facce al bancone e stesse facce all'ingresso. Quelle dell'ingresso erano facce tese, screpolate dal freddo, erano le facce dei soliti che restano fuori perché in quel modo mantengono il controllo di tutto. O almeno hanno quella sensazione lì e si sentono i padroni di casa, ma sono pronti sempre ad andare via alla chetichella, piantando tutti non appena arriva qualcuno di sgradito.
Anna e Chiara, appena arrivate, avevano salutato gli amici, si fa per dire, baci, battute, cicca con i tipi dell'ingresso e poi di corsa dentro, perché loro erano facce da bancone. Sedute al solito con due spritz in mano su quei sgabelli scomodi, perfetti però per dare l'illusione di essere alte.
Serata piacevole.
Anna al Winbar riusciva a rilassarsi ed era riuscita anche quella sera a non pensare; si era dimenticata del cornicione, della cazzata che stava per fare, del contratto a scuola che stava scadendo e persino di Fabio. Si era dimenticata persino di Fabio e del fatto che era passato un mese esatto da quando si erano lasciati.
Fabio, uomo medio-basso, muscoloso, egocentrico e vanesio con il quale si era frequentata esattamente per due mesi. Due miseri e lunghi mesi.
Fabio, un uomo che avrebbe dimenticato con la stessa facilità di come si dimentica di avere visto un passante se non avesse avuto l'ardire, questo Fabio da dimenticare, di dirle una banale verità: che non la amava.
"Non ti amo" le aveva detto esattamente una domenica. Non lo avesse mai fatto.
Lui, sdraiato sul divano vide Anna imprecare e sperare che su di lui crollasse la casa, che la terra se lo mangiasse, mentre con innocenza beffarda, incolpevole cavaliere a conquista consumata, la guardava attonito.
Lui che ne sapeva del potere che hanno le amanti abbandonate!? Era rimasto lì, con gli slip neri addosso mentre fuori arrivava la notte e non solo.
In quell'appartamento di Fabio, Anna aveva giocato per due mesi all'Amore, mentre Fabio si esercitava a perfezionare l'alcova dei suoi desideri. Stavano giocando a farsi compagnia anche quella domenica nella quale Anna, in barba ad una storia che era palesemente mediocre, aveva deciso di sbottare.
Era stato doloroso sentirsi dire "non ti amo" più di quanto lei credesse. Che Fabio non l'amasse poteva anche immaginarselo, in fondo non lo amava neanche lei. Di un tipo così non si sarebbe mai innamorata, non c'era nulla da prendere ma il fatto che glielo avesse detto l'aveva umiliata. Avere detto di non amarla dava a Fabio un'autorità spregiudicata che lei non poteva accettare. Quindi Anna fece ciò che solo i perdenti fanno: aveva insistito, convinta che la sua bellezza fosse vincente, che lui avrebbe contrattato, che la seconda risposta avrebbe riparato la prima.
"Non ti sei innamorato di me?" sottolineò ridendo come un'amante sconfitta.
"No." Le labbra di Fabio si erano aperte poco confermando la sentenza: no.
I capelli di Anna ancora rovesciati sul petto di lui, erano stati tirati indietro da un colpo di testa repentino per prendere le distanze dal corpo di Fabio, dall'offesa stessa.
Lui si accorse solo in quel momento della differente importanza che avevano dato alle stesse parole. Si ricordò che Anna era una donna e con le donne tutto è più difficile; cercò improvvisamente di ovviare: "Non ti amo, ma ti voglio bene."
Peggio.
La risposta, tragicamente vera, diretta e semplice, ovviamente risultò una dichiarazione di superiorità insopportabile. E ad Anna, l'ultima frase, era sembrata un'elemosina. Lei, che non amava Fabio, che non aveva trovato ancora l'amore vero, che non aveva un lavoro stabile, lei fece confluire tutte le frustrazioni di una donna in costruzione in quell'unico e non importante rifiuto.
Anna, senza motivo, pretendeva un "ti amo" che sarebbe stato fuori luogo. Si sentiva raccolta per strada, strappata dallo stelo, come facilmente si calpestano le ragazze in amore.
Fabio dal canto suo non vedeva la tragedia e Anna doveva essergli parsa una pazza, una che sale sui cornicioni delle case e minaccia di buttarsi. Dopo l'amplesso l'aveva ferita senza consapevolezza, con parole banali che l'avevano fatta precipitare a malo modo nel modo reale.
Impallidito per la scenata che vedeva svolgersi davanti a sé, provò almeno per buon senso a recuperare quelle parole che ormai avevano ferito e affondato Anna, ripetendole più volte che lei comunque era importante, che era una donna speciale, una ragazza meravigliosa e bla, bla, ma era troppo tardi. Anna, in piedi, era sprofondata nella sensazione di abbandono più imprevedibile, si era infilata la gonna con un dolore allo stomaco che non avrebbe voluto.
Sola nel campo dell'amore, come un albero abbattuto e lui con una faccia d'ebete a guardare attonito. D'improvviso e per capriccio e non certo per vero desiderio, ad Anna era sembrato di amare sul serio e perdutamente.Un mese e molti spritz dopo, quel dolore poteva dirsi superato sebbene non avrebbe mai potuto dimenticare di avere provato tanto dolore per nulla, di avere fatto una scenata di tale portata davanti ad un uomo che, per prima lei, non avrebbe voluto frequentare a lungo.
Qualcosa andava rivisto. Anna doveva fare i conti con un disagio che stava degenerando. Avrebbe dovuto riprendere il controllo. E questa volta non sarebbe bastata una serata al Winbar.
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Se mi capita divento una blogger
RomanceAnna è una giovane precaria senza speranza. Inaspettatamente viene assunta a scuola a tempo indeterminato. Avrà un lavoro! Potrà iniziare la sua vita. Che bella l'Italia, non le sembra vero. Sarà una prof! Sì. Una prof. Ma al prezzo di vivere a Stro...