Giancarlo era stato educato, fin da piccolo, a ricevere un si ad ogni sua richiesta.
Del resto la vita era stata crudele con lui, sua madre era morta in un incidente stradale quando lui aveva appena due anni.
Suo padre aveva pensato che l'aiuto immediato, ad ogni sua necessità, sarebbe stata la giusta ricompensa al torto subito.
Così, da giovane universitario, si era venuto a trovare in difficoltà al primo vero no.
Cristina, la sua ragazza, l'aveva lasciato ma Giancarlo non capiva il significato di un rifiuto, di un no secco che sarebbe rimasto tale nonostante le sue lamentele.
Questa circostanza dolorosa non l'aveva mai sperimentata in modo serio, abituato com'era ai deboli 'no' che diventavano un 'ni' e sotto l'urto delle sue vigorose proteste si trasformavano in deleteri 'si'.
Pensò bene, perciò, di chiamare, dalla sua sede universitaria, il padre per dirgli " portami qui Cristina".
Il padre aveva invano tentato di far ricredere la ragazza ma alla fine si era arreso e, suo malgrado, aveva dovuto comunicare al figlio che questa volta non ce l' aveva fatta a spianargli la strada.
Era giunto il temuto momento di dover affrontare la salita della difficoltà, di sudare e combattere per raggiungere la serenità della pianura.
Ma questo allenamento mancava a Giancarlo che non aveva il fiato che ti danno le delusioni e le sconfitte, le sue gambe erano molli perché abituate ad un tragitto comodo che non gli aveva di certo sviluppato i muscoli della resistenza e della capacità di guardare oltre la difficoltà contingente.
Questa volta la soluzione del problema spettava solo a lui che, mancando di immaginazione e creatività, metteva in evidenza l'incapacità di rappresentarsi mentalmente una prospettiva meno angosciante rispetto alla cocente delusione che gli si parava davanti.
Ecco cosa escogita: ingoia un flacone di compresse per farla finita.
Lo smarrimento che aveva provato era troppo devastante per pensare con lucidità ad una logica richiesta di aiuto che non fosse una assurda pretesa.
Il padre lo guardava ora aldilà del vetro che separa i visitatori dai pazienti nel reparto di rianimazione.
Una storia che poteva sembrare, all'inizio, quasi banale e che invece rischiava di finire in tragedia.
Cosa spinge i giovani a tentare questo gesto estremo, di fronte a difficoltà affettive che un tempo venivano superate con una maggiore abilità?
Perché si rimane così facilmente incastrati in questa voragine emotiva che ti ingoia oscurandoti qualunque prospettiva futura?
Queste domande hanno bisogno, da parte del mondo degli adulti, di risposte e di atti concreti capaci di promuovere nei giovani la capacità di chiedere aiuto nel momento del bisogno, prima che tutto diventi 'buio' e l'uscita di scena si configuri in un gesto estremo.
Il cuore di Giancarlo, pochi giorni dopo il suo ricovero, smetteva di battere.
Finisce qui una storia come tante altre del mondo giovanile.
Un mal di vivere che stronca l'esistenza di ragazzi troppo fragili per andare oltre le mille contraddizioni dei nostri tempi.
Tutto questo si poteva evitare?