Un corvo, nero come le notti d'inverno, osò affacciarsi alla finestra di un negozio che vendeva uccelli. Era la fame che lo aveva spinto così vicino agli affari degli uomini. Per un po' se ne stette ad osservare i grassi pennuti che si sbafavano, al riparo delle loro gabbie, ciotole stracolme di semi, semini e grani prelibati. Un pappagallo con le piume verdi come il muschio e una cresta porporina, vide il corvo rinsecchito che lo guardava con un occhio spiritato (perché gliene mancava uno), e per poco non gli andò di traverso un grosso chicco di granturco. Passata la paura, grazie soprattutto alle sbarre della gabbia che lo proteggevano, si schiarì la voce e disse: – Oh, guardate quel povero uccello. Certo, è libero di volare, di planare e di gracchiare, ma si vola, si plana e si gracchia male quando la fame ci attanaglia la pancia!
Un altro pappagallo, con piume lunghe e rosse come i tramonti settembrini, aggiunse: – Eh già! Se ne affacciano tanti come te, pochi corvi a dire il vero, ma tanti piccioni e anche qualche gabbiano. Ve ne state tutti lassù alla finestra a guardarci mangiare, invidiando la nostra fortuna. La disperazione vi si può leggere sul becco! Noi qui all'asciutto, con tutto questo ben di dio, ed il gentile zio Fernando che ci pulisce la gabbia ogni due giorni. Una vita di lusso...
Da un'altra gabbia si alzò la voce cinguettante di una canarina, tra tutte la più vanitosa: – E poi guarda le nostre piume come sono lisce e robuste, merito del cibo che ci danno e di questa bella stanza temperata, non come voi, poverini, che vi tocca a mangiare quel che trovate per terra e a starvene al riparo sotto le grondaie e sugli alberi.
Poi fu la volta di un signor usignolo, tutto impettito perché si credeva un uccello importante. – Inoltre, se permettete, qui nessuno litiga mai. Ognuno ha la sua gabbia ed è contento. Magari a volte succedono dei battibecchi, ma nessuno si fa male. Invece mi hanno detto che là fuori ve le date di santa ragione, anche per un misero tocco di pane. Che creature sfortunate!
Il corvo, che se ne stava appollaiato alla finestra con la pancia che gli brontolava dalla fame, non ne poteva più di tutti qui petulanti cinguettii. Gracchiò qualcosa in corvesco antico che nessuno capì e prese il volo. Mentre raggiungeva il suo albero preferito, ripensò a tutte le cose che quegli uccelli nelle gabbie gli avevano detto. Per un momento vacillò, complice la disperazione arrecata dalla fame, e incominciò a dubitare della grandezza della libertà. Eppure lui, forse più di ogni altro della sua specie, era un vero spirito libero. Stava pensando col suo cervello o con la sua pancia?
Poi finalmente raggiunse il suo albero, una grande quercia che dominava la città. Si appollaiò sul ramo più alto e si guardò in giro. "Eccolo!" e si buttò in picchiata verso il verme che si era affacciato dal terreno, piccolo ma abbastanza gustoso da far zittire per un po' la pancia brontolona e far tornare il buon umore al nostro amico corvo.